Numero 38/2016

21 Settembre 2016

Birra agricola & birrifici agricoli: definizione legale, Cobi e nuove prospettive

Birra agricola & birrifici agricoli: definizione legale, Cobi e nuove prospettive

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Nell’anno in cui, finalmente, anche in Italia si è arrivati ad una definizione legale di Birra Artigianale, di cui abbiamo abbondantemente parlato nei mesi scorsi, ci è sembrato doveroso richiamare alla mente una modifica legislativa intervenuta ben 6 anni fa che, quasi in silenzio, ha compiuto una piccola grande rivoluzione nell’universo brassicolo italiano, in quel periodo ancora così confuso: stiamo parlando del Decreto Ministeriale 212/2010 che, riconoscendo la birra come prodotto agricolo a tutti gli effetti e il birrificio agricolo come azienda impiegata nella produzione e nella vendita diretta di Birra Agricola, ha segnato una svolta importante nel quadro normativo e, di conseguenza, nel mercato di produzione e commercializzazione della bevanda in Italia. Il concetto di birra agricola è basato su una similitudine con quanto già esisteva da tempo per le case vinicole: un agricoltore che nelle sue vigne coltiva uva destinata alla produzione vinicola può anche produrre e commercializzare il proprio vino. Ormai da diversi anni è passato, anche a livello legislativo, il concetto che la stessa autoproduzione può essere applicata anche ad altri prodotti agricoli, tra i quali l’orzo e quindi la birra.

Allo scopo di tutelare, promuovere e valorizzare l’attività svolta dai birrifici agricoli nasce, nel 2003 da un’idea di Fabio Giangiacomi, Il COBI – Consorzio Italiano di Produttori dell’Orzo e della Birra, l’unico consorzio italiano che riunisce più di 80 agricoltori che, oltre ad essere coltivatori di orzo, sono contemporaneamente produttori di birra agricola.

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Per la produzione di birra di origine agricola, le aziende sono tenute a rispettare alcune rigide regole, ai sensi del provvedimento ministeriale e del regolamento interno a COBI, che ha aperto nuove prospettive di crescita per il settore agricolo, da un lato, e per i birrifici e le aziende brassicole, dall’altro. Le aziende agricole produttrici di orzo hanno potuto così diversificare le proprie attività, creando una malteria o un birrificio aziendale, e quindi ampliando la propria clientela e aumentando i loro introiti. Per poter rimanere in regime agricolo, gli agricoltori devono produrre birra agricola, cioè con una percentuale di materia prima prodotta in proprio, o comunque all’interno del Consorzio, non inferiore al 51%, che sale comunque al di sopra del 70% per i birrifici agricoli aderenti al marchio Birragricola registrato dal consorzio stesso.

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Le aziende devono inoltre rispettare l’avvicendamento colturale della buona pratica agricola, adottando le migliori tecnologie e tutto quanto serve ad ottenere il miglior risultato finale. Possono aggiungere elementi aromatici utilizzando solo prodotti legati al proprio territorio e non possono usare in alcun modo prodotti conservanti. La trasformazione dei cereali in malto e questo in birra avviene utilizzando soltanto i propri impianti di piccole dimensioni non industriali, ma comunque professionali, tali da garantire la sanità e qualità della birra. E’ esattamente per questo motivo che è nata la malteria consortile del COBI ad Ancona, in cui i soci produttori mettono in comune l’orzo prodotto ottenendone malto tracciato e certificato.
Ulteriori limiti riguardano la commercializzazione della birra che deve avvenire in contenitori in grado di impedire qualsiasi possibile contaminazione con agenti esterni, che possono entrare a contatto diretto con il prodotto modificandone nel tempo la qualità finale.

Il fatto che il malto dovrebbe essere almeno per il 51% prodotto internamente, rappresenta in ogni caso la principale differenza tra i produttori agricoli e quelli di birra artigianale, che al contrario possono acquistare malto di qualunque provenienza dove meglio preferiscono. Precisiamo che, alla luce della recente definizione legislativa del termine Birra Artigianale, moltissimi birrifici agricoli possono giustamente, in virtù delle loro caratteristiche, essere definiti anch’essi birrifici artigianali, poiché conformi alle modifiche intervenute alla l. n°1354/1962.
In poche parole, quelli agricoli costituiscono una specie di sottogruppo dei birrifici artigianali, che producendo in proprio il loro malto vengono classificati come birrifici agricoli, con tutte le differenze fiscali del caso ma sempre nel rispetto delle regole sulla concorrenza sleale.

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Il punto cardine per l’esistenza dei birrifici agricoli è la questione della maltazione in proprio: l’idea di poter produrre birra, tramite il proprio orzo e rimanendo nel regime fiscale agricolo, è stata resa possibile dalla costruzione del maltificio consortile. Dall’insieme dell’orzo qui conferito e selezionato viene tratto il malto; ad essere precisi, quindi, ogni birrificio non usa esclusivamente il suo malto bensì il malto prodotto dall’intero consorzio, cosa che permette comunque di mantenere un controllo diretto sulla filiera produttiva e sulla qualità del prodotto. Esistono però dei birrifici agricoli che si fregiano di tale titolo che non aderiscono ad alcun consorzio e che non hanno una propria malteria; il malto da loro usato viene quindi probabilmente da una delle due malterie industriali italiane che, a meno che il birrificio in questione non sia una grandissima azienda agricola in grado di riempire con le sue coltivazioni un intero silos, difficilmente potranno restituire all’azienda esattamente il malto del suo orzo.

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Importantissimo è quindi, da parte dei birrifici, essere rigorosi con il proprio modo di lavorare per mantenere alto il buon nome della birra agricola, mantenendo sempre un alto livello qualitativo, esattamente così come è necessario che il COBI diventi sempre più vigile e rigoroso nei confronti dei suoi stessi soci.

In realtà, oltre al COBI, esistono anche pochissime realtà italiane di piccole malterie, annesse a birrifici agricoli, ma ancora in fase di strutturazione.

Un aspetto fondamentale per tutti i birrifici agricoli è l’essere in primo luogo agricoltori e amare quindi il proprio lavoro, le proprie origini e il territorio in cui si opera, mettendo la stessa cura e amore che si riversa nella produzione birraia, in tutti i loro prodotti. Cosa quest’ultima importantissima per tutte quelle aziende che operano anche come agriturismi e che nei propri locali offrono al pubblico, tra le altre cose, la loro birra e altri prodotti realizzati con gli stessi cereali. Il concetto stesso di birra agricola, così legato alla produzione in proprio e al concetto di filiera a km 0, è un atto d’amore e un investimento in termini di promozione economica e turistica verso il proprio territorio, che sarebbe miope sottovalutare in un’epoca caratterizzata dalla forte riscoperta di uno stile di vita lento e tradizionale.

 

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!