5 Ottobre 2013

L’orzo da birra in Italia: note storiche e prospettive per il futuro

L’orzo da birra in Italia: note storiche e prospettive per il futuro

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In Italia la coltivazione dell’orzo distico per la produzione di birra è di recente sviluppo. Fu introdotta, infatti, intorno al 1930. Prima il malto veniva acquistato prevalentemente dall’Austria, dalla Boemia e dalla Baviera. Questi Paesi adottarono poi un provvedimento che vietava l’esportazione dell’orzo che veniva maltato in Italia, imponendo l’acquisto del malto finito ad un prezzo più alto.

Orzo distico.

Questa situazione incentivò, quindi, l’avvio della coltivazione nazionale dell’orzo distico. I primi tentativi di coltivazione in Italia furono un insuccesso per le differenze di clima, che si traducevano in scarsa idoneità e resa alla maltazione. Nonostante le potenzialità di sviluppo della coltura sul territorio nazionale, il miglioramento genetico dell’orzo è stato pochissimo curato in Italia e moltissimo nei Paesi nordici. L’introduzione di varietà selezionate per il Nord-Europa,non fu semplice, in quanto la selezione fu prevalentemente orientato su varietà distiche primaverili, poco resistenti al freddo ed alla siccità e quindi con difficoltà di adattamento sia ai climi del Nord che del Sud Italia.
Ancora oggi la maggior parte delle varietà di orzo da birra diffuse nella nostra penisola sono straniere, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Prima di introdurle in coltivazione è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali italiane. In particolare va accertata la resistenza al freddo delle varietà primaverili, selezionate per essere seminate dopo l’inverno nei paesi di origine, ma che in Italia vengono spesso impiantate in autunno, così come confermato da un recente studio condotto dal CERMIS.
Nonostante lo sviluppo della coltivazione, la produzione di orzo e malto a livello italiano è ancora fortemente deficitario. La produzione di orzo da birra utilizzato dalle malterie nazionali si attesta attorno 100.000 tonnellate annue. Rispetto alla produzione birraria nazionale, oltre i 2/3 del fabbisogno devono essere importati.
Inoltre, la recente diffusione di micro-birrifici, spesso connessi ad aziende agricole ed alla possibilità di maltazione conto terzi, ha favorito la diffusione di esperimenti di coltivazione di varietà locali ed antiche cultivar italiane di orzo, consentendo il recupero della biodiversità e del germoplasma di linee genetiche destinate all’estinzione.

 

Quest’ultima prospettiva, in previsione dell’espansione del mercato delle birre artigianali, può rappresentare un interessante sviluppo futuro per la creazione microfiliere di produzione ad alto valore aggiunto, strettamente legate al territorio di origine delle materie prime. In quest’ottica, la presenza di micromalterie costituirebbe un importante contributo alla tipicizzazione delle produzione birrarie locali; a livello industriale, invece,  un’analoga filiera avrebbe un impatto assai più ampio dal punto di vista agricolo, migliorando la redditività fin dalla fase di coltivazione.

 

 

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Redazione Giornale della Birra
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