20 Febbraio 2016

La morte ha il gusto del luppolo: quattordicesimo capitolo

La morte ha il gusto del luppolo: quattordicesimo capitolo

Condividi, stampa o traduci: X

 

 

Alberico aveva dato ordine che nessuno entrasse nella cella dove aveva torturato Peter.

Lo aveva lasciato lì, sanguinante e lacrimante, in balia del dolore e dei propri rimorsi.

Avrebbe ordinato che venisse curato alla sera, solo dopo un po’ di sana e purgatrice sofferenza.

Era la dura legge dell’espiazione dei peccati!

L’investigatore del Vaticano doveva reclutare i soldati della guarnigione cittadina ed, al contempo, far spiccare i mandati di cattura per quel Robert e per tale Frank.

Erano i principali sospettati per gli omicidi, non potevano restare in libertà…

Al contempo, un interrogatorio forse peggiore di quello subìto da Frà Peter li avrebbe attesi.

Una confessione sarebbe stata la prova regina.

La condanna a morte per impiccagione, la giusta condanna per il Reo.

Alberico aveva tante qualità ma tra esse non si annoverava, certamente, l’indole guerriera.

Avrebbe avuto bisogno, quindi, del braccio armato della Legge per trarre in arresto quegli uomini rozzi e violenti.

Mentre lasciava le mura del convento, Alberico notò una cosa strana: un frate, un giovane uomo dell’età dello sventurato assassinato per ultimo, stava correndo veloce come un tuono verso la città.

Il prete si ripromise di chiedere, al proprio rientro, il motivo di una condotta così poco onorevole e pacata, che mal si addice ad un uomo di Chiesa.

La caserma cittadina era poco più di una capanna di grosse dimensioni: interamente costruita in legno ricoperto di pece nera come la notte, mostrava il logoramento degli anni ed in alcuni punti sembrava una rigogliosa foresta in miniatura, ricca di muffe, muschi e licheni.

Sarebbe stato un pittoresco angolo, uno scorcio di antichità, se non fosse che, ad ogni buon conto, quel luogo rappresentava la presenza e la potenza del Re in quelle lande isolate.

In altre parole… indecoroso.

Ormai Alberico non si stupiva più della fatiscenza delle strutture; in fondo, in un povero villaggio, non potevano esserci strutture degne di pregio!

In realtà, però, alcune costruzioni svettavano, se non per le dimensioni, per la cura dei dettagli.

Una era, sicuramente, il Monastero recentemente messo a nuovo, con graziosi affreschi che ne adornavano la coorte e la chiesa ad esso annessa.

Un’altra struttura che, nella sua modesta mole, risultava degna ed accogliente era la casa del Signorotto locale, un piccolo Lord che non aveva neppure il privilegio ed il rango per poter presiedere ai consigli di Guerra del proprio Re.

Un vassallo di vassalli, insomma, tale Lord Charlie McOwen.

La villa, come la caserma ed una cappelletta in mattoni, si ergevano su quella che voleva essere la piazza principale, un circolo mal lastricato su cui si assiepavano bancarelle e carovane di viandanti.

Mentre entrava nella caserma, il prete notò con la coda dell’occhio un’immagine scura correre quasi alle sue spalle.

Si voltò e lo vide: era il frate, quel giovane che aveva visto correre via dal convento poco prima della sua uscita dallo stesso luogo.

Ed ora…

Ora era lì!

E stava di nuovo correndo nella direzione opposta alla sua!

Che strano!

Lo chiamò!

Di nuovo!

Una terza volta…

Nessuna risposta, neanche agli appellativi “Frate” o “Fratello”.

Veramente strano…

Il prelato si convinse che, una volta rientrato al convento, avrebbe esatto una risposta esauriente da quel giovane e scalmanato monaco.

Ma, in quel momento, le priorità erano altre.

Alberico entrò nella caserma, stretta in mano la Bolla Papale.

«Buongiorno, sono…»

«Il prete che un po’ di giorni fa ha fatto quel rumoroso siparietto davanti alle porte del monastero».

«Ah,» rispose Alberico un po’ in imbarazzo «Vedo che la mia fama mi precede».

«La cittadina è piccola, un fatto del genere non si scorda per molte lune. Ditemi, dunque, avete bisogno della guardia cittadina?»

«Sì. Lei è l’ufficiale in comando?»

«No, mio buon Signore. Il Capitano Fredor è impegnato, in questo momento. Ma non dubito di potervi essere ugualmente di aiuto».

«Ebbene, io avrei bisogno di trarre in arresto Alcuni individui».

«Con quale accusa? Ma soprattutto, con quale autorità? Non mi consta che i preti possiedano titoli tali da spiccare dei mandati di cattura».

«Io sì. Vi ho portato questo documento, credo che lo troverete dirimente».

Il prete porse la bolla al soldato, il vice del Capitano Fredor.

L’armigero studiò minuziosamente il foglio di pergamena, in silenzio, assorto.

Dopo alcuni minuti, abbassando il foglio, ponendolo sul robusto tavolo di legno, rialzò lo sguardo ad incrociare quello di Alberico:

«E così voi siete un inquisitore Pontificio, in vero! Mi era sembrato quantomeno strano che un prete in pellegrinaggio sostasse così tanti giorni nella nostra cittadina e che, sempre lo stesso prelato, cominciasse a fare domande a destra e a manca ai buoni cittadini di Bullhornes Town».

Il tono del soldato era pacato, ma non nascondeva certo l’irritazione e la contrarietà.

«Vi chiedo scusa, se non mi sono presentato subito per chi sono realmente, ma le esigenze delle indagini richiedevano di mantenere l’anonimato fino al momento giusto».

«Se la vostra intenzione era quella di non farvi notare… debbo confessarvi che non ci siete riuscito molto bene…»

«Effettivamente la mia presentazione ufficiale dinnanzi al monastero…»

«Ed anche la visita alla taverna, il Black Horse, il fatto che Voi, all’interno di quel locale vi siate appartato con una nota… donna di compagnia, il secondo omicidio al monastero, le domande fatte qua e là… già, la gente mormora… ed il compito di un buon soldato è quello di prestar attenzione a tutte queste voci. Vi avremmo fatto convocare a giorni, se non vi foste presentato voi, di vostra iniziativa».

«E io che credevo che il compito dei soldati fosse quello di dare la caccia ai ladri e agli assassini!» rispose in modo acido il prete, evidentemente risentito del fatto di esser stato troppo notato «Beh, grazie a Dio son giunto in tempo per spiegarvi la mia posizione… non sarebbe stato piacevole passare un paio di notti nelle patrie galere da innocente, non credete?»

«Perfettamente d’accordo!» rispose il guerriero a denti stretti.

«Bene, ora che abbiamo chiarito che siamo tutti dalla stessa parte, potreste dare ordine ai vostri soldati di arrestare due individui? Uno si chiama Robert, è un uomo rude che abita queste terre. Credo che lo conosciate, ma vi ho fatto un ritratto; ho avuto modo di conoscerlo in circostanze… sospette. L’altra persona è un tale di nome Frank, se volete una sua descrizione, l’oste del Black Horse saprà darvene una più che esaustiva. Suggerisco di affrettarsi ad ottenere tale descrizione, saltuariamente il sospettato fa una visita in città; sarebbe spiacevole lasciarselo sfuggire, qualora venga a Bullhornes Town mentre non sappiamo ancora che faccia abbia, non trovate?»

«Sì… Padre Alberico, giusto?»

«Esatto».

«Come vi ho accennato poco fa, il mio superiore non è qui, in questo momento, ed è lui che prende le decisioni di un certo peso, come questa, tanto per intenderci. E comunque so dirvi per esperienza che non arresterebbe mai un cittadino come il Robert che cercate, senza avere l’avvallo di Lord McOwen».

Alberico non fu sorpreso da quella rivelazione: il capitano, come in tutte le città del mondo, era completamente asservito al potente di turno.

Ma l’autorità Papale di cui lui era in possesso lo poneva al di sopra di un qualsiasi nobile! Solo i sovrani non erano soggetti alle sue decisioni.

Se durante le indagini, per esempio, un Conte si fosse trovato invischiato nella faccenda, sarebbe stata prerogativa di Alberico arrestarlo ed interrogarlo con ogni mezzo, pur di svelare il mistero! Perfino i Vescovi, nonostante nell’ordinario gli fossero superiori, avrebbero dovuto piegarsi al suo volere, nell’ambito delle indagini affidategli dal Papa in Persona!

Con tali e tanti presupposti, chi era quel Signorotto, l’ultimo tra i nobili, per potersi esimere dall’obbedirgli?

«Capisco…»rispose distaccato il prete, «e dove si trova, di grazia, il Capitano Fredor, in questo momento? Avrei comunque una certa urgenza di conferire con lui!»

«In questo momento si trova a colloquio con Lord McOwen in persona. Sarà…»

«Sarà a dir poco entusiasta di vedermi! E così potrò approfittare anche della presenza di Lord McOwen, in modo da conferire con tutti e due nello stesso momento, per poter accorciare i tempi».

«Ma…»

«Non vi sto chiedendo un parere, vi sto impartendo un ordine. Devo forse ricordarvi che in questo momento sono la carica più illustre di tutta Bullhornes Town, e a che cosa si va incontro, nel caso mi si disobbedisse?»

«No… certo che no… solo che non so come reagiranno alla vostra intrusione il mio nobile capitano ed il Lord e Signore di questa cittadina».

«Reagiranno come si conviene, a meno che non desiderino perdere tutto ciò che hanno, vita compresa».

Alberico era stato perentorio.

Non aveva più tempo da perdere.

Ogni minuto trascorso a far parole inutili, era un minuto donato all’assassino, che avrebbe potuto colpire nuovamente.

«Andiamo, confido che mi facciate da araldo».

Mesto mesto, il giovane sodato non potè esimersi dallo svolgere quella gravosa missione; avrebbe preferito affrontare una banda di fuorilegge, rispetto a subire l’eventuale collera  del Capitano e del suo Signore.

Ma il prete era, realmente, l’uomo più potente di Bullhornes Town e scontentarlo avrebbe significato essere appeso ad una forca.

I due superarono le guardie poste davanti al cancello della villa, come anche tutti gli armigeri che nella casa erano schierati.

Ad un cenno di Alberico, il giovane busso alla porta della sala dove si stava svolgendo il colloquio privato tra il capitano ed il Lord.

«Avanti» fu la risposta di una voce proveniente dall’interno, ovattata e ridotta ad un sibilo dalla pesante porta di legno.

I due entrarono, l’uno con lo sguardo basso e l’altro visibilmente impettito.

L’uomo impettito esordì:

«Mi dispiace disturbarvi, miei buoni Signori, sono Padre Alberico, un Messo Pontificio incaricato di indagare sugli omicidi avvenuti in questa ridente cittadina. Siccome in queste terre voi rappresentate la Legge ed il Re, è per me un piacere fare la vostra conoscenza e poter collaborare con voi».

Passò una mezz’ora, tempo durante il quale il messo Pontificio spiegò la sua posizione ai nobili interlocutori, visibilmente infastiditi dall’intrusione, ma impotenti dinnanzi all’autorità del Papa.

«Quindi, se ho capito bene, ci state chiedendo di incarcerare un nostro concittadino ed un forestiero che sporadicamente viene qui, a Bullhornes Town?»

«Esattamente, miei buoni Signori. Desidero interrogarli, onde scoprire che cosa c’è sotto a questi omicidi e per poter assicurare al più presto il colpevole alla…»

Alberico fu interrotto dall’ingresso nella sala di un guerriero, un soldato giovane e privo di gradi.

Entrando, il ragazzo trafelato eseguì un rozzo saluto militare e, prima di poter essere redarguito per il proprio comportamento, esordì:

«Chiedo scusa per la mia intrusione, miei Signori… ma c’è stato un altro omicidio. Un altro frate».

«Oh Signore!» fu il commento di McOwen.

«Presto, tutti i soldati in allarme! Voglio che mi portiate quell’assassino qui! Vivo!» erano gli ordini di Fredor.

Alberico afferrò il braccio del capitano che si voltò verso il prete:

«Voglio quei mandati di cattura. E li voglio adesso. Che almeno il tizio che si chiama Robert sia condotto in caserma immediatamente. Sono stato abbastanza chiaro?»

«Cristallino» rispose Fredor tentando di reprimere la collera.

 

Condividi, stampa o traduci: X

Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.