15 Dicembre 2015

Luppolo italiano: due chiacchiere con Eugenio Pellicciari sull’esperienza di Italian Hops Company

Luppolo italiano: due chiacchiere con Eugenio Pellicciari sull’esperienza di Italian Hops Company

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La produzione di luppolo sul suolo italiano continua a riscuotere grande interesse da parte di tutto il settore brassicolo. Se molte realtà sono ancora allo stato embrionale, qualcuna sta già iniziando a raccogliere i primi frutti come Italian Hops Company, uno spin-off universitario che dopo un triennio di ricerca in collaborazione con l’università di Parma, ha lanciato in questo 2015 i primi luppoli. La risposta dei birrifici non si è fatta attendere: in quattordici hanno colto la palla al balzo, proponendo le proprie creazioni con il luppolo fresco modenese.

A descriverci questa realtà, Eugenio Pellicciari, agronomo e giornalista, che con il socio Gabriele Zannini ha fondato nel 2014 questa società.

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Eugenio, Italian Hops Company deriva da un progetto di ricerca dell’università di Parma. Come è nato questo progetto e in che modo siete arrivati all’apertura di questa azienda?

Durante il mio corso di studi in agraria presso l’università di Parma, venni a conoscenza che erano state rinvenute delle fonti storiche che attestavano che nella zona di Marano sul Panaro (MO) fu coltivato luppolo tra ‘700 e ‘800. Provai a proporre alle autorità locali una collaborazione con l’università per recuperare questa tradizione ed il progetto andò in porto ad inizio 2012. La prima fase fu di reperimento di genotipi da quasi tutt’Italia, con il risultato di impiantare in un campo sperimentale 70 genotipi autoctoni e 10 di luppoli esteri. Nel 2014, con il mio attuale socio Gabriele Zannini, abbiamo fondato lo spin off Italian Hops Company piantando i primi rizomi. Il 2015 è stato il primo anno di raccolto per le prime due varietà piantate (Cascade e Nugget) mentre altre sono in radicamento. Siamo partiti da luppoli americani per avviare il sistema e creare l’infrastruttura necessaria per commercializzare un domani le varietà autoctone selezionate nel progetto di ricerca, anche se ci vorranno ancora diversi anni.

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Il primo raccolto ha avuto subito un grande risalto. Quattordici birrifici italiani si sono cimentati con il vostro wet hop. Che impatto ha avuto il vostro luppolo sulle birre prodotte e che riscontro avete avuto dai birrifici?

Prima di questo raccolto, i birrifici che avevano lavorato con luppolo verde si contavano su una mano. Ci è piaciuta fin da subito l’idea di realizzare birre con wet hop soprattutto per proporre qualcosa di nuovo ai mastri birrai. Il luppolo fresco conferisce alla birra una connotazione molto particolare: è un po’ come usare in cucina spezie secche o fresche. Il luppolo secco è certamente più pungente e con un aroma caratterizzante mentre quello fresco ha uno spettro di odori e sapori decisamente più ampio. In molti tra birrai e consumatori finali si aspettavano una ventata di luppoli ‘in faccia’, in realtà si sono trovati un ventaglio di aromi più esteso ma non necessariamente più esplosivo. L’esperienza è stata molto interessante, abbiamo collaborato con tanti birrifici di valore che si sono cimentati con tanti stili diversi e nonostante le prime difficoltà, soprattutto l’importante massa di luppolo da gestire, il risultato finale è stato positivo.

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Visto queste incoraggianti premesse, che progetti avete per il prossimo futuro?

Abbiamo parlato già con con tanti altri produttori intenzionati a cimentarsi con questa produzione: vorremmo realizzare una rete nella nostra zona, in modo da formare così nel corso degli anni una vera e propria rete di produzione. Già per il prossimo anno contiamo di crescere qualche ettaro rispetto ai due di questa stagione.

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Credi che sia un modello esportabile anche in altre zone d’Italia?

Assolutamente si e darebbe certamente un grande valore aggiunto al luppolo Italiano che crescendo in terroir diversi potrebbe assumere sfumature di sapori e profumi differenti.

 

Qual è la tua visione sul luppolo italiano? I luppoli autoctoni si potranno affiancare ai luppoli stranieri? Qual è il valore aggiunto di luppoli autoctoni alla birra italiana?

Prima di lavorare con varietà italiane è importante strutturare una buona rete produttiva per poi integrarle via via. Chi si occupa di selezione di varietà autoctone all’estero parla di 8-12 anni di ricerca, noi abbiamo iniziato da alcuni anni ma c’è ancora parecchia strada da fare, lavorando sulla selezione dei ceppi ed individuando quelle che sono le peculiarità dei nostri luppoli. Sono convinto che il luppolo autoctono sia fondamentale nell’ottica di definire stili di birra totalmente italiani e credo questo possa rappresentare un grande impulso soprattutto per le esportazioni dei nostri prodotti.

 

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Paolo Testi
Info autore

Paolo Testi

Ho 31 anni e vivo in una cittadina tra Bologna e Imola. Ingegnere per professione, amo giocare a pallacanestro, leggere e viaggiare.
Ho imparato ad apprezzare e ricercare le birre artigianali per il gusto e le sensazioni che sanno regalarmi: in ogni bottiglia è racchiusa la storia di un birraio, le peculiarità del suo territorio, il tutto condito da tanta creatività e passione.
Con i miei racconti spero di trasportarvi in questo affascinante viaggio tra luppoli, malti, lieviti ma soprattutto persone.