Numero 42/2016

17 Ottobre 2016

Birra in lattina: passato, presente e futuro di una rivoluzione annunciata

Birra in lattina: passato, presente e futuro di una rivoluzione annunciata

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Lattina o Bottiglia? Questo è il dilemma!
Di approcci scientifici a riguardo non c’è traccia, ma solo preferenze che spesso non sono nemmeno sorrette da giustificazioni sufficienti. Per addentrarci meglio nell’argomento ci è sembrato giusto partire da lontano, dagli albori della storia, per andare poi ad analizzare l’argomento con un approccio il più oggettivo possibile, provando a mettere sul tavolo pro e contro che l’utilizzo di un contenitore porta rispetto all’altro.

Il packaging della birra, come accade per molti altri prodotti alimentari, ha tante storie da raccontare, riuscendo a influenzare disponibilità, modalità di consumo e popolarità della bevanda stessa. Una in particolare ci incuriosisce: la storia della lattina, dapprima accolta come rivoluzionaria, poi etichettata come qualitativamente inferiore e infine riabilitata come simbolo della nuova era della birra artigianale.

 

Anticipando la fine del Proibizionismo, la American Can Company fin dal 1931 dedicò risorse e tempo a studiare una lattina che fosse adatta alla birra, che resistesse alla forte pressione della CO2 e che avesse un rivestimento interno in grado di proteggerne il profilo aromatico e gustativo. La soluzione venne finalmente trovata nel gennaio del 1935: il birrificio Krueger di Richmond (Virginia) iniziò a distribuire la sua Cream Ale in lattina.

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L’introduzione in Europa di questo contenitore rivoluzionario avvenne l’anno successivo, nel marzo del 1936, grazie al birrificio gallese Felinfoel; da lì molte furono le innovazioni e i miglioramenti che vennero apportati alla lattina, in forma, modalità di apertura e materiale: quella sicuramente più importante fu l’introduzione nel 1958 dell’alluminio in sostituzione della latta, che fece da apripista alla rivoluzione moderna del cibo in scatola, simbolo del consumismo nelle iconiche rappresentazioni della Pop Art. Fu proprio a partire da quegli anni che la birra in lattina conobbe un grande, seppur breve, successo, dovuto a moltissimi fattori positivi che ancora oggi fanno la sua fortuna:

  • È infrangibile, essendo composta di alluminio, quindi non si può frantumare.
  • Protegge la birra dalla luce, a differenza del vetro che, per quanto scuro possa essere, non sarà mai impenetrabile come una lattina.
  • È  facile da stoccare e da trasportare, a differenza delle bottiglie che non si impilano e sono molto più pesanti.
  • È impermeabile all’ossigeno. Il tappo a corona delle bottiglie a volte può tradire, la chiusura ermetica di una lattina mai.

Abbiamo parlato di grande successo, ma breve, perché nel tempo si sono affermati fra consumatori e addetti ai lavori alcuni pregiudizi, alcuni fondati altri onestamente molto meno, che hanno fatto cadere la lattina e il suo utilizzo nel dimenticatoio per circa 40 anni:

  • La bottiglia è migliore nella difesa dagli sbalzi termici, a cui l’alluminio è più sensibile.
  • Per motivi puramente estetici si ritiene la lattina un contenitore troppo dozzinale, associato ad un modo di bere che mal si addice ad un consumo attento alla qualità.
  • La bottiglia di vetro, da un punto di vista prettamente ecologista, inquina meno di una lattina. Parliamo di materiali entrambi riciclabili, ma mentre il vetro, una volta trattato a dovere, può essere riciclato un numero infinito di volte, l’alluminio è soggetto a ossidazione, diventando ad un certo punto non più riutilizzabile per la destinazione alimentare che qui a noi interessa.

Bisognerà attendere i primi anni 2000 per ritrovare la parola birra associata alla parola lattina non in termini denigratori o peggio ancora dispregiativi: nel 2002, il birrificio statunitense Oskar Blues fu il primo a compiere il grande passo e a prendersi il rischio di una scelta tanto coraggiosa quanto visionaria: acquistare una canning line e proporre la Dale’s Pale Ale in lattina.

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Da allora la strada è stata lunga e ha visto diversi attori battersi per affermare la dignità, se non addirittura la superiorità, della lattina come uno dei contenitori ideali per la birra. In America molte delle remore e ostilità nei confronti di questo tipo di packaging paiono essersi attenuate; in Europa invece la situazione sta cambiando solo in questi ultimi anni, con il Regno Unito a fare da apri pista. BrewdogCamden Town e Moor sono solo alcuni degli esempi di successo in questo campo, successo a cui ha contribuito anche l’altro grande vantaggio che le lattine offrono: lo spazio a disposizione per comunicare e raccontare la storia del prodotto e del birrificio.

Il birrificio fondato da Justin Hawke, in particolare, ha da poco ricevuto uno storico riconoscimento in tal senso, che ha premiato il coraggio dimostrato dal birrificio di Bristol nella sua opera di stravolgimento della linea di inscatolamento: il CAMRA (The Campaign for Real Ale) ha dato per la prima volta in assoluto l’accreditamento di Real Ale ad una birra in lattina, al birrificio Moor Beer Company che, caso unico al mondo, potrà così vantare un riconoscimento che coniuga la tradizione più antica della cultura brassicola anglosassone con la rivoluzione moderna portata dall’avvento della lattina.

Nell’era della scoperta, o riscoperta, di uno stile di vita sano, slow e consapevole, un ruolo centrale è sicuramente occupato dal cibo, il buon cibo, reso accessibile e alla portata di una platea di consumatori sempre più informati e consapevoli. La birra, come del resto tutti i prodotti di qualità, ha di fatto rivestito da subito un ruolo centrale in questa rivoluzione culturale dei giorni nostri: il consumatore vuole essere informato sul prodotto, vuole capirne le differenze e riconoscerne le caratteristiche, vuole avere informazioni sulla sua produzione e associare un volto a un birrificio. In poche parole vuole una storia, che sia autentica, credibile e raccontata in maniera semplice e intuitiva.
I birrifici hanno quindi l’opportunità, ma anche il dovere, di raccontare le proprie storie e quelle dei propri prodotti, utilizzando tutti i mezzi a loro disposizione. Ed è qui che la lattina fa la differenza: uno strumento come la lattina è perfetto per comunicare il ricco e affascinante mondo che si cela dietro un prodotto come la birra artigianale. Un packaging che il consumatore ha tra le mani e attraverso cui può soddisfare ogni sua curiosità.

 

In Italia gli esempi sono ancora pochissimi, e fra questi quasi tutti sembrano aver perso o anche solo rimandato una grande opportunità, a causa di una serie di problematiche complesse: il negare di riconoscere alla comunicazione un ruolo fondamentale nel dialogo con il consumatore; il favorire operazioni che sembrano dettate da scelte commerciali più che dalla convinzione di voler comunicare la propria storia; il basarsi su di un design che vacilla perché forse privo di un’idea, di un contenuto forte da poter tradurre in elementi visivi.

Il primo esperimento quasi italiano fu quello degli svizzeri di Bad Attitude nel 2010, ma si trattò di un caso isolato. A distanza di sei anni sembra però che ora siamo al cospetto di un punto di svolta e che le lattine siano in procinto di invadere la birra artigianale italiana.
Cosa ci spinge a questa conclusione? I motivi sono diversi, ma uno dei più importanti è entrato a gamba tesa nel mercato della birra artigianale italiana nel corso di quest’anno: il birrificio Baladin ha annunciato la Baladin Pop, la prima birra artigianale italiana in lattina. Una mossa che forse non molti si aspettavano e che, data l’influenza dell’azienda di Piozzo su tutto il movimento nazionale, nei prossimi mesi potrà alimentare diversi tentativi di emulazione.

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La Baladin Pop viene presentata così dal suo creatore, Teo Musso, che nulla ha da imparare in termini di sfruttamento del suo marchio e della sua immagine:
“Baladin POP è la prima birra artigianale italiana… In lattina! Birra in stile Baladin reinterpretata in chiave pop con l’intento di proporre una birra di grande qualità ma facilmente fruibile. POP è rivoluzionaria, in Italia, nel packaging essendo proposta in lattina di alluminio da 33cl. La grafica si ispira a quello che è stato uno dei movimenti culturali più rappresentativi del secolo scorso: la musica pop. Sono 6 le declinazioni cromatiche che vogliono creare il gioco del “collezionare” come è stato nella cultura pop degli anni settanta. Ovviamente il contenuto è lo stesso per tutt’è 6: la birra POP”.
L’aspetto interessante è che la lattina, apparentemente la cosa più lontana dalla filosofia proposta da Teo, dimostra come il reale intento del pioniere del movimento brassicolo nazionale sia quello di cambiare totalmente pelle per raggiungere un consumo ancora più popolare, dopo anni di birrificazione elitaria. In tutto ciò il richiamo alla musica, al collezionismo, alla grafica retrò si sposa alla perfezione.
Stiamo dunque per assistere alla capillare diffusione delle lattine anche nella birra artigianale italiana? La querelle, lo avevamo anticipato, è più che mai aperta.
Andrea Turco di Cronache di Birra a riguardo ha scritto: “La lattina sembra mettere sul piatto della bilancia maggiore praticità logistica e protezione; il vetro si porta in dote un fascino e un’estetica irraggiungibili da un barattolo di latta, anche se l’abito non dovrebbe fare il monaco. O forse sì?”. Noi, dal canto nostro, non possiamo che condividere.

 

 

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