Numero 35/2023

30 Agosto 2023

Birre analcoliche: le snobbate, alla ribalta!

Birre analcoliche: le snobbate, alla ribalta!

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Negli ultimi anni le birre analcoliche si stanno facendo strada nel mercato della birra a causa delle sempre più severe campagne di sensibilizzazione contro l’alcool e i suoi effetti nocivi sulla salute; inoltre le leggi che riguardano il consumo di bevande alcoliche stanno diventando sempre più severe al fine di ridurre il numero di incidenti mortali causati dalla sua assunzione.
Per questo motivo il mondo birra (industriale ma, ultimamente, anche quello artigianale) cercando di offrire un prodotto che può essere consumato anche da chi dovrà guidare al termine della serata.
La definizione di birra analcolica è disciplinata una legge dal D.P.R. 30 giugno 1998, n. 272, Art. 2. che legifera così: “Tale denominazione è riservata alla birra con grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8 e con grado alcolico volumetrico non superiore a 1,2%.”

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Il processo di fabbricazione di tali tipologie di birra può prevedere diverse modalità, differenziabili in due categorie: tecniche di diluizione e tecniche sottrattive. Le prime si basano sul fermentare mosti a ridotto contenuto di carboidrati fermentescibili, appositamente preparati, che sono ulteriormente diluiti con acqua in modo da abbassare il T.A.V. (Titolo Alcolometrico Volumico) al livello previsto. In particolare, elementi di rilievo della fabbricazione sono la preparazione di mosti con basso grado saccarometrico e basso potere diastatico, indirizzando così l’attività enzimatica verso la formazione di destrine, anziché di zuccheri fermentescibili. Si impiegano, inoltre, ceppi di lievito con vie metaboliche a basso potere alcoligeno o che degradano l’alcol per via ossidativa.
Le tecniche sottrattive prevedono, invece, la separazione dell’alcol dalla birra finita mediante metodiche chimico – fisiche molto avanzate, quali: evaporazione sottovuoto, dialisi su membrana, osmosi inversa.
Questi processi, seppur strettamente controllabili, determinano la sottrazione dalla birra non solo di alcol, ma anche di altre sostanze a peso molecolare simile a quello dell’etanolo. Ulteriori processi di frazionamento dell’estratto consentono di ricavare una soluzione contenente gli esteri e gli alcoli superiori del prodotto originario, che vengono, quindi, reintegrati nel prodotto.
I primi a scommettere sulle birre analcoliche sono i grandi produttori di birra che stanno investendo in una nicchia poco frequentata, quella delle birre analcoliche e con poco alcol, come dimostra una recente intervista del CEO Heineken Jean-François van Boxmeer a The Huffington Post: ”Abbiamo visto un lato positivo nelle birre analcoliche, una crescita per il nostro business”. Proprio Heineken sta seguendo un nuovo brand, Maxx, una versione tutta naturale delle sue birre analcoliche. Nel 2013 ha lanciato la sua prima radler, 60% limonata e 40% birra con 2.0% di volume o totalmente analcolica, che ha visto un buon successo di pubblico. Heineken registra un aumento del 7.7% lo scorso anno nel settore delle birre sperimentali con poco alcol o analcoliche, come la birra con tequila. Un settore quello delle birre analcoliche seguito con forte interesse anche da Anheuser-Busch InBev e Carlsberg.
Van Boxmeer continua:” Il consumatore tende ad andare verso delle offerte specifiche e lontano dai grandi marchi. La gente adesso vuole scoprire nuove cose, vuole essere sorpresa dalle novità”. Secondo uno studio del gruppo Euromonitor International, agenzia di ricerca marketing, le vendite delle birre con poco alcol e analcoliche sono aumentate dai 3.36 miliardi del 2008 ai 5 miliardi del 2013. Uno dei motivi di questa crescita è dato dal fatto che molti paesi musulmani preferiscono di gran lunga questa tipologia di birra per motivi religiosi.
Ultimamente negli Stati Uniti le birre analcoliche stanno avendo un successo incredibile:
I dati più recenti sul tema ci arrivano dal Great American Beer Festival. Per la prima volta la Brewers Associations ha infatti inserito nelle categorie giudicate anche le birre non alcoliche. Secondo le ultime rilevazioni di mercato, una buona fetta dei clienti è costituita dai millennials, che hanno deciso di fare più attenzione alla propria salute e ridurre il proprio consumo di bevande alcoliche. I dati d’altronde indicano una flessione dei giovani consumatori che nel 2016 sono stimati in circa il 35% del totale, contro il 63% del lontano 1994. Se si guarda alle statistiche fornite dall’IRI, autorevole azienda che si occupa di ricerche di mercato, le vendite fuori sede di birre analcoliche (industriali e non) negli USA sono salite del 18% quest’anno, raggiungendo quota 78.5 milioni di dollari durante il mese di agosto. Non si può prevedere quanto questa tendenza permarrà, ma alcuni birrifici artigianali sono pronti a scommetterci.
Spesso si pensa alla fuorviante immagine delle birre industriali analcoliche ma nel mondo craft sono diversi gli stili birrari che si possono adattare a questa pratica, soprattutto con il crescente interesse verso ingredienti particolari o insoliti. Possiamo trovare quindi Wheat Ale, IPA di diverse tipologie, Golden Ale e così via.

 

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Parallelamente si sta verificando una trasformazione anche dall’altra parte della barricata, cioè all’interno dei birrifici. Se fino a un decennio fa le birre analcoliche erano esclusivo appannaggio delle grandi industrie del settore, oggi la tecnologia permette anche ai birrifici artigianali di operare in questo segmento.
Un segnale importante è arrivato dalle ultime edizioni dei principali concorsi internazionali, dove nelle categorie delle birre analcoliche – tradizionalmente dominate dall’industria – si sono piazzati alcuni birrifici artigianali.
Ed è proprio sulla qualità del prodotto finale che si gioca la sfida più grande per i birrai, perché realizzare un buon prodotto a basso contenuto alcolico, se non addirittura senza alcol, è un’impresa abbastanza ardua. Per le birre che non richiedono processi particolarmente “strani”, al birraio è richiesta l’abilità nel mantenere gusto e consistenza anche a fronte di una gradazione alcolica nettamente ridotta. Bisogna quindi trovare il giusto compromesso tra corpo, alcol, carattere e bevibilità. Se allarghiamo l’analisi alle birre analcoliche, è opportuno segnalare che negli ultimi anni la tecnologia ha fornito un ventaglio più ampio di soluzioni ai birrifici. Ogni strada implica differenti pro e contro, ma in generale realizzare queste birre è oggi un processo economicamente più sostenibile per i piccoli produttori. Non solo si stanno moltiplicando gli studi di settore ma stanno cominciando ad apparire macchinari ad hoc prodotti espressamente per i microbirrifici, come ad esempio accaduto in passato con le linee di inlattinamento.

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Redazione Giornale della Birra
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