Numero 31/2017

3 Agosto 2017

Birrificio Porta Bruciata: alla scoperta di un’eccellenza bresciana

Birrificio Porta Bruciata: alla scoperta di un’eccellenza bresciana

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La mia passeggiata serale la concludo sempre con una birra nel locale di un amico. Alcuni giorni fa, appena entrato, ho notato tre nuove birre alla spina. La cosa mi ha incuriosito e mentre ne bevevo una mi sono messo a cercare su internet chi le produceva… il Birrificio Porta Buciata di Rodengo-Saiano. La prima cosa che leggo sul loro sito è: “L’empatia che si crea tra l’uomo e la sua birra, in una precisa circostanza, in un determinato luogo e momento: è questo ciò a cui noi lavoriamo” ed anche “Le nostre birre sono pezzi di noi che hanno preso vita propria” Concetti affascinanti, di persone sicuramente innamorate del proprio lavoro. A questo punto non potevo fare altro che chiedere direttamente a Marco Sabatti, il birraio, di parlare della sua esperienza.

 

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Solitamente molti birrai provengono da un passato di homebrewer. Voi siete una strana anomalia, avevate occupazioni in settori estranei alla birrificazione, ma una grande passione per il cibo e l’artigianalità dei prodotti. Ci raccontate la vostra storia e perché avete deciso di produrre birra nella terra del Franciacorta?
Il passato da homebrewer è croce e delizia di molti birrai. È vero, noi non siamo stati homebrewer, e questo ci ha portato alcuni piccoli svantaggi, ma anche tanti vantaggi. I limiti più evidenti sono quelli del non aver vissuto la pratica birraria con la spensieratezza e sana incoscienza che solo chi brassa a livello casalingo può permettersi. Questa libertà d’azione e avventatezza hanno in alcuni casi portato alla creazione di ricette straordinarie, che probabilmente in un birrificio non sarebbero mai nate. Tuttavia i vantaggi di esserci subito approcciati in modo professionale sono veramente notevoli: il primo è quello di aver imparato a fare birra su di un impianto produttivo vero e proprio, abituandoci sin da subito all’utilizzo di strumentazioni professionali per il controllo delle tante variabili di processo, e acquisendo tecniche complesse e una competenza specifica. Il secondo vantaggio è quello di non esserci mai sentiti degli “esperti” a priori. Infine il nostro approccio penso ci abbia anche aiutato nel tener distinto ciò che è lavoro da ciò che è pura passione: queste due dimensioni nel nostro birrificio si intersecano e si sovrappongono tutti i giorni, ma cerchiamo di aver sempre chiaro in testa che la prima responsabilità l’abbiamo verso i nostri clienti.  Detto questo, come puoi immaginare, siamo sempre stati degli appassionati di birra fin da tempi insospettabili: la mia prima tessera del CAMRA risale al 1995!  La scelta della Franciacorta come sede del birrificio nasce da un lato da un’esigenza logistica: siamo facilmente raggiungibili da fuori e al tempo stesso vicini alla città di Brescia dove abitiamo, dall’altro dal fatto che è una terra meravigliosa, dove la forte tradizione vitivinicola non è in antagonismo col nostro mondo, ma risulta complementare. Infine ci piace constatare, un po’ romanticamente, che qui l’acqua ha dei tratti simili a quelli di Burton upon Trent…
 
Marco, ho letto che prima di iniziare la tua avventura hai fatto esperienza in alcuni birrifici per imparare il mestiere di birraio. Hai incontrato diffidenza e difficoltà ad inserirti in questo nuovo mondo? Com’è stato ricostruire una professione da zero?
Sono un tipo piuttosto pragmatico e prudente, in genere non amo le improvvisazioni, salvo qualche guizzo di sana follia ogni tanto. Era per me imprescindibile imparare a produrre birra da chi ritenevo sapesse farla ai massimi livelli, e così ho preso contatto con Lorenzo Guarino del Birrificio Rurale di Desio. Ci siamo conosciuti ad un corso di Unionbirrai, e successivamente abbiamo concordato insieme un vero e proprio piano di studi e di pratica presso il suo birrificio. Per me è stato un investimento importante, anche in termini di tempo, ma poter stare fianco a fianco ad uno dei pionieri della birra artigianale italiana come Lorenzo si è rivelato essere fondamentale. Con lui condivido l’approccio scientifico, la capacità di problem solving, la metodicità, l’importanza del chiedersi il perché delle cose.  A fianco di questo rapporto con il birrificio Rurale ho approfondito gli aspetti teorici della birrificazione frequentando il CERB dell’Università di Perugia, dove ho trovato persone capaci e preparate, anche se con uno spirito molto diverso da quello di un birrificio operativo… Queste due esperienze sono state complementari e mi hanno permesso di avere una visione più completa del mondo nel quale stavo per entrare.

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C’è mai stato un momento durante il quale vi siete pentiti di aver aperto un microbirrificio?
Credo che tutti i birrai, prima o poi, si siano trovati a pensare la fatidica frase “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Prescindendo dai risultati economici, per i quali ci vorranno anni prima di vedere qualcosa, le situazioni più demotivanti sono in genere legate alla difficoltà di un mercato sempre più complesso e volubile. Fortunatamente poi davanti ad una pinta di buona birra di solito questi cattivi pensieri svaniscono.

Portabruciata, Fanny, Orifiamma, nomi che traggono ispirazione dal passato della vostra terra. Una scelta per identificare le vostre radici?
In effetti i nomi di quasi tutte le nostre birre rievocano personaggi, luoghi o eventi storici legati alla città di Brescia. Quello che però abbiamo sempre cercato è di non fare richiami espliciti, ma lasciare a ciascuno la fantasia di attribuire ai singoli nomi il significato che vuole. Per esempio, per il nome della nostra golden ale, Fanny, ci siamo ispirati ad una nobildonna bresciana di fine ‘700, femme fatale, moglie ribelle, patriota indomita, seduttrice imperterrita. Ma poi tanti clienti ci trovano di tutto e di più: il nome di un’amica, il suono piacevole della parola, alcuni inglesi anche un riferimento sessuale che a noi era del tutto sconosciuto. Quindi, sì, ci piace trovare nell’onomastica delle birre un collegamento al territorio, ma quello che tentiamo di fare è cercare di esprimere col nome anche il carattere della birra stessa.

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Orifiamma “Birra dell’anno 2017” a “Beer Attraction” categoria American Ipa. Nel momento in cui viene comunicato la vittoria di un premio di questo livello a cosa si pensa?
Come puoi facilmente immaginare, quel premio è stato per noi motivo di orgoglio e di gioia, ma soprattutto lo abbiamo vissuto come un riconoscimento del duro lavoro fatto negli ultimi due anni. Nonostante infatti la convinzione di aver sempre dato il massimo per ottenere un prodotto di altissima qualità, un riconoscimento esterno, soprattutto se autorevole come Birra dell’anno, è un qualcosa che contribuisce a darti fiducia e a farti capire che sei sulla strada giusta. La categoria delle American IPA è poi forse la più ostica e difficile del concorso. Inoltre aver superato sul podio altri birrifici più noti è stato per noi ulteriore motivo di conforto nelle scelte fatte sul processo di produzione e nei risultati ottenuti.

E’ mai capitato di collaborare con altri birrifici? Con chi lo vorreste fare se capitasse l’occasione?
Ad oggi non abbiamo mai realizzato una collaboration beer, forse per modestia, forse perché le vediamo spesso come delle trovate commerciali, o forse semplicemente perché non se ne è presentata l’occasione. Ci sono tanti birrifici che stimiamo e di cui apprezziamo le birre, non me la sento di fare un elenco.

Le vostre birre prendono spunto dalla tradizione anglosassone. In questi ultimi tempi si parla molto di nuovi stili “Juicy”, Sour, Iga… che ne pensate? Ricerca ed evoluzione?  
Come sai, siamo appassionati di birre luppolate e quindi siamo attirati da tutti gli stili dove il luppolo ha un ruolo dominante. È altresì vero che siamo un po’ tradizionalisti, quindi vedo molto improbabile una nostra juicy: non credo che la torbidità possa essere un valore aggiunto in una IPA. Ci piace sempre invece sperimentare nuove varietà di luppoli: a settembre, per esempio, presenteremo la nostra nuova session IPA
con luppoli australiani molto caratterizzanti. Le IGA, vivendo in una terra vocata al vino, sono uno stile che ci incuriosisce, anche se, in generale, il mondo sour ci è un po’ estraneo. Sono convinto che i birrifici che vogliono fare tutto, alte fermentazioni, basse, sour, rischiano di non riuscire a lavorare sempre al meglio. Noi abbiamo preferito specializzarci nelle alte fermentazioni e nelle IPA in particolare: non è solo una questione di tecnica, ma anche di filosofia e di concetto stesso di birra.

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Cosa ne pensate del mondo birrario, ovvero del modo col quale si sta evolvendo?
I microbirrifici sono moltissimi, forse troppi. Secondo me siamo ancora in una fase di entusiasmo ed euforia, dove il successo di pochi crea illusioni di riuscita in molti altri. È sicuramente un mondo complesso, dove conta ancora molto la componente umana. Questo lo rende piacevole e collaborativo, ma a volte implica la convivenza con un po’ di invidia e acredine, soprattutto in questi momenti di forte cambiamento, dove alcuni nomi storici sono stati oggetto di interesse da parte dell’industria (vedi Birra del Borgo, Birrificio del Ducato, etc.). Noi siamo profondamente convinti della nostra natura artigianale, che è la ragione stessa del nostro piccolo successo. Crediamo sia necessario un enorme sforzo nella distribuzione, che probabilmente oggi è l’anello debole della filiera. Spesso il problema non è trovare i clienti che apprezzano la nostra birra, ma è renderla accessibile con regolarità nelle principali città, dando delle referenze di locali dove sia possibile trovarla alla spina con continuità.

In voi c’è tanta attenzione per le materie prime e cura per la qualità del prodotto finito. E’ altrettanto importante tutelarlo anche durante la distribuzione. Quali rischi si corrono e quali metodiche adottate per difendere il vostro lavoro?
Essendo birra non pastorizzata è ovvio che il principale rischio che si corre è la deperibilità del prodotto, se non conservato adeguatamente. A questo aggiungi il fatto che le nostre birre sono generalmente molto luppolate, quindi la freschezza permette una maggior godibilità e preservabilità degli aromi. Nelle città più vicine al birrificio cerchiamo di fornire i pub direttamente con un nostro mezzo, garantendo così la massima qualità dei fusti (da cella a cella). Nelle regioni invece più lontane ci appoggiamo a piccoli distributori locali che sappiano prendersi cura del prodotto tanto quanto facciamo noi.

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Quando crei una birra pensi anche a quale cibo potrebbe essere abbinata?
In genere no, lo studio degli abbinamenti avviene dopo. È chiaro che, una volta definito lo stile, sappiamo più o meno dove andremo a parare, ma la degustazione della birra dal vivo è insostituibile nel creare degli abbinamenti vincenti: in questo Chiara, mia moglie e socia, è maestra. Tra l’altro è sempre lei che seleziona i luppoli, ed è quindi spesso in grado di creare un filo conduttore tra le varietà scelte e il corretto food pairing. Corpo, tenore alcolico, grado di amaro e bevibilità sono alcune tra le altre variabili che teniamo in considerazione.

Credo molto nell’importanza di creare una “cultura della birra”, qual è il vostro atteggiamento su questo tema? Organizzate eventi di degustazione presso il birrificio o è mai capitato di stringere collaborazioni per la divulgazione di questo tema?
Il tema della diffusione della cultura birraria ci è molto caro. Qui nel bresciano stiamo facendo un lavoro molto faticoso, ma che ci sta dando delle grandi soddisfazioni.  La nostra provincia dal punto di vista brassicolo è storicamente stata succube dell’influenza austriaca, ne consegue che la birra per antonomasia a Brescia è sempre stata a bassa fermentazione, chiara, e dalle note maltate dominanti. Esattamente il contrario di quello che produciamo noi!  Siamo riusciti a diffondere l’amore per il luppolo andando contro le tradizioni locali, e questo grazie anche ad una serie di iniziative sul territorio come per esempio la collaborazione con Slow Food nell’organizzazione del Master of Food sulla birra.
È ovviamente bello vedere i giovani che apprezzano le nostre IPA e APA, ma vi assicuro che è anche molto gratificante ricevere i complimenti da persone anziane che rimangono stregate dalla nostra Orifiamma!

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Se provate a guardare al futuro, cosa immaginate?
Per nostra natura e per esperienza siamo piuttosto prudenti: questo ha fatto sì che lavorassimo molto sulla qualità del prodotto prima di farci conoscere sul mercato. A differenza quindi di altre realtà che mirano a repentine crescite esponenziali e prevedono continui cambiamenti, noi siamo partiti con una struttura già ben dimensionata, che ci sta consentendo di crescere in maniera graduale senza dover stravolgere il nostro modo di lavorare. Immaginiamo quindi un futuro dove possiamo continuare a brassare le nostre birre con la passione e l’artigianalità che ci contraddistingue, riuscendo magari a raggiungere zone d’Italia dove ora non siamo presenti.

Sono parole che provengono dalle terre della Leonessa d’Italia e di Angelo Canossi. Pensieri di una persona che lavora con tenacia, professionalità, orgoglio e un pizzico di gelosia dei propri risultati, come è giusto che sia.

Sito del birrificio: www.portabruciata.it 

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.