Numero 02/2022

12 Gennaio 2022

Malto: un approfondimento sulle tecnologie di produzione

Malto: un approfondimento sulle tecnologie di produzione

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La produzione del malto è una delle fasi più importanti, ma meno conosciute della produzione della birra. In effetti, la maggior parte dei birrifici industriali ed artigianali non producono direttamente i malti, ma li acquistano da aziende specializzate, in genere di natura industriale.

Sinteticamente, la maltazione consiste nel far germinare i semi di orzo, quindi, bloccare lo sviluppo della cariosside mediante l’essicazione, a cui segue una più o meno spinta tostatura.

Il processo di maltazione include 4 fasi fondamentali:

  • bagnatura delle cariossidi
  • germinazione
  • essicazione
  • torrefazione

Tutta la fase di germinazione è progettata per ricreare le condizioni necessarie alla germinazione del seme “ingannando” le sue funzioni biologiche e iniziando una catena di reazioni enzimatiche atte a produrre le risorse che il germe userebbe per produrre il cotiledone, le radichette e, in seguito, una pianta d’orzo. Le cariossidi vengono messe a macerare in acqua in lunghe vasche a temperatura controllata (28°-30°C). Durante questa fase l’orzo inizia ad assorbire acqua e tutto l’endosperma viene idratato: la respirazione del germoglio aumenta e quando l’umidità raggiunge il 32% inizia la germinazione. L’embrione, convinto di trovarsi nel terreno per iniziare un nuovo ciclo vegetativo sintetizza l’acido gibberellico (un fitormone utilizzato dalle piante per regolare il prioprio organismo), che pervade e risveglia l’intera cariosside. Respirando, l’embrione abbisogna di ossigeno ed emette anidride carbonica. Per evitare il soffocamento dell’embrione, durante la bagnatura, c’è quindi la necessità di alternare periodi in cui l’orzo è sommerso dall’acqua (con insufflazione di aria in modo da mantenere l’aerobicità), e periodi in cui l’acqua viene drenata mentre una aspirazione consente la continua rimozione dell’anidride carbonica.

 

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Alla fine dell’operazione di bagnatura, che ha tipicamente una durata da 24 a 48 ore a seconda della varietà di orzo, del calibro, del contenuto proteico e delle temperature di acqua e aria, l’orzo inizia ad emettere la radichetta. Gli strumenti che il chicco utilizza per rendere disponibili le riserve di amido contenute nella cariosside sono gli enzimi amilotici e proteolitici che si occupano di scindere rispettivamente l’amido e le proteine immagazzinate nell’endosperma, affinché la plantula possa usufruirne fino allo sviluppo di una sufficiente autonomia fotosintetica. La germinazione vera e propria si protrae dai 5 ai 7 giorni. In questo periodo il seme germina e produce una radichetta, la futura pianta; durante questa fase il malto viene ventilato tramite grate di ventilazione che creano una corrente calda permettendo la corretta crescita della pianta. Sempre in questa fase vengono prodotti inoltre diversi enzimi che non serviranno in questo momento per il processo di maltazione, ma più tardi, durante il processo di brassatura: sono infatti gli enzimi idrolitici e peptolitici, che serviranno a scindere l’amido e le catene proteiche utili per la crescita del lievito. Altro elemento importante da tenere in considerazione in questa fase è il controllo delle gibberelline e delle auxine, le molecole che controllano il ciclo di crescita della pianta; in certe realtà, generalmente quelle industriali, gibberelline ed auxine vengono controllate artificialmente, per velocizzare ed omogeneizzare il prodotto. Questa fase è una delle più delicate in termini di tempistiche all’interno del processo produttivo, poiché bisogna passare alla fase di essicazione e tostatura prima che la plantula inizi ad utilizzare l’amido per preparare la nuova pianta a discapito dell’efficienza e delle capacità edafiche del malto in corso di produzione. Indicativamente, si può passare all’essicazione quando la radichetta ha raggiunto una lunghezza pari a quella del chicco stesso.

I principali metodi per gestire la germinazione sono:

  • Pavimenti: il malto viene lasciato a riposare in un magazzino molto semplice, generalmente un semplice seminterrato ove il malto forma uno strato di 10 cm di profondità; sotto il pavimento vi è un falso fondo graticolato che serve per areare il malto, spesso rastrellato per essere reso uniforme. Il trattamento è abbastanza grezzo e presenta il problema dell’operatore che deve effettivamente camminare sopra il prodotto per interagirvi. Questo metodo è ormai abbandonato, in quanto estremamente legato alla manodopera e dalle basse capacità produttive

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  • Cassoni Saladin (più utilizzati a livelloindustriali): i cassoni Saladin sono delle “trincee” di profondità generalmente vicina al metro dove il malto verde viene sistemato in andane di 2-3 metri; la lunghezza di questi efficienti cassoni è generalmente all’incirca intorno ai 10m ma è possibile trovarne di più grandi nelle industrie che forniscono maggiori quantità di malto; anche in questa tipologia è presente il falso fondo per garantire il passaggio omogeneo dell’aria. La movimentazione fisica nei cassoni Saladin è costituita una serie di coclee meccanizzate che passano a spianare le andane per rendere estremamente omogeneo il prodotto in sostituzione dell’azione umana. Questo sistema offre una maggiore produzione ad un minore prezzo, ed è perciò la più utilizzata dalle grandi industrie che puntano ad ottenere elevate quantità senza dover essere costrette ad assumere un grande numero di addetti.

 

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  • Sistema Laussman: il sistema Laussman è un sistema altamente meccanizzato che offre una elevata qualità. Tuttavia il costo di impianto è veramente alto e la sua logistica male si presta a produzioni in grande scala. In pratica il sistema Laussman è costituito da una serie di vasche adiacenti dove il malto viene spostato ciclicamente da una all’altra in modo gentile, tramite rulli e coclee delicate, che permettono di rimescolare completamente il prodotto semplicemente rovesciandolo nella vasca successiva. Nonostante questo processo sia il meno invasivo per quanto riguarda il prodotto è anche quello che comporta un più alto costo di impianto, nonché la necessità di uno spazio maggiore a pari portata produttiva.

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  • Malterie a tamburo: sono delle macchine all-in-one, che consentono di svolgere al proprio interno tutte le fasi del processo di maltazione, compresa l’essicazione e torrefazione. Si tratta di tecnologie piuttosto moderne e che trovano impiego prevalente per la realizzazione di macchine di bassa capacità, tipicamente impiegate dalle malterie artigianali.

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Una volta che la radichetta raggiunge la lunghezza desiderata, è tempo di eliminare la vitalità del germe tramite essiccazione. Le cariossidi vengono poste ad essiccare. Lo scopo dell’ essiccazione è interrompere la germinazione e le relative reazioni biochimiche e ottenere un prodotto, il malto finito, stabile, conservabile e macinabile. I tempi d’ esposizione ad alte temperature, più della granaglia di partenza o della sua origine, determinano la tipologia di malto creato. Tale pratica viene svolta tramite gli stessi influssi d’aria usati per controllare la temperatura di macerazione e di germinazione; la temperatura viene usata per abbattere l’umidità ad una soglia (4%) alla quale qualsiasi processo enzimatico viene fermato ed annullato. L’essiccazione inoltre contribuisce a creare una friabilità del chicco ed una durezza utili alla molitura: garantiranno una rottura del chicco e non un semplice schiacciamento. Questa fase dura generalmente 48 ore ad una temperatura che si attesta intorno ai 40°. Durante questa fase ovviamente il malto deve essere sottoposto a tutte le pratiche di arieggiamento e movimentazione che abbiamo visto fino ad ora per evitare disomogeneità con presenza di malti verdi.

 

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L’intera essiccazione ruota intorno alla reazione di Maillard, ossia il fenomeno per cui gli zuccheri e proteine ad una certa temperatura si trasformano in sostanze caramellate. Tale reazione è composta da una serie complessa di fenomeni che avvengono a seguito dell’interazione tra zuccheri e proteine durante il processo; la gestione delle percentuali di caramellizzazione è il fulcro della fase di essiccazione, poiché determineranno successivamente la tipologia del prodotto ed il suo utilizzo. Un’altra particolare attenzione va tenuta durante il processo di essiccazione al fine di gestire una molecola presente in natura nei cereali (la S-Metilmetionina o SMM) che durante il processo si trasforma in Dimetilsofuro (DMS), sostanza dal caratteristico odore di mais bollito (o di “minestrone” a detta di qualcuno) che avrebbe uno sgradevole impatto sulla birra successivamente prodotta; più il processo di essiccazione è lungo e a temperatura elevata, maggiora sarà la conversione di S-Metilmetionina (SMM) in Dimetilsofuro (DMS), ma anche la dispersione di quest’ultimo e quindi minore sarà la presenza residua nel malto.

IL DSM rimasto nel malto tuttavia non è destinato a condannare il prodotto; nonostante il DSM sia estremamente solubile e sia quindi direttamente solubilizzato nel mosto durante l’ammostamento in birrificio, la sostanza è anche particolarmente volatile, e sia in essiccazione, sia successivamente in bollitura, essa verrà rimossa dall’evaporazione. Un’altra sostanza dannosa nel malto è il Dimetilsulfurossido (DMSO), dovuto all’ossidazione del DSM, sebbene come sostanza sia meno impattante sulle caratteristiche organolettiche del prodotto, una volta disciolto nel mosto esso non viene eliminato dalla bollitura: rimane nel prodotto; durante la fermentazione il lievito riduce il DMSO e lo ritrasforma in DMS, aggirando le cautele prese in bollitura.

 

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La torrefazione, è lo strumento attraverso il quale si procede a dare vita alle vere e proprie categorie di malto che sono:

  • Malti base: dopo l’essiccazione il malto non più verde viene portato ad una temperatura fra i 75 ai 100 gradi centigradi, per altre 48 ore. Tale fase è molto delicata poiché il semplice cambiamento di temperatura crea il vero e proprio prodotto commerciale, ancor più dell’origine del malto di partenza. Ad esempio, un malto “monaco” è uno dei più scuri fra i malti base, poiché la temperatura di lavorazione è molto vicina ai 100 gradi, comportando perciò una maggiore percentuale di microcaramellizazioni che danno tali tonalità. Il risultato prescinde dal fatto che la provenienza dell’orzo possa essere la campagna tedesca o canadese.
  • Malti caramello: i malti caramello subito dopo l’essiccazione ed il trattamento base vengono portati a 75° per un paio d’ore ma poi proseguono a temperature vicino ai 120° per altre due, con la stessa metodica dei malti base, le temperature di passaggio riconoscono malti caramellati diversi tra loro; più le temperature si alzano più si hanno luogo le reazioni di Maillard, e pertanto i malti caramellati offrono un minor apporto di zuccheri fermentescibili rispetto ai malti base.
  • Malti tostati: per raggiungere tale colore devono subire un trattamento di tostatura a 200° per 2-3 ore, dopo le quali gli zuccheri nel chicco verranno “bruciati” a tal punto da ottenere appunto, i colori tipici di una sostanza bruciata. Questa colorazione nera, accompagnata dagli aromi della tostatura (caffè, cioccolato, tostato, affumicato) è il motivo per cui noi vogliamo ottenere il prodotto. Questi malti perdono la quasi totalità dei loro zuccheri in reazioni di Maillard e perciò non hanno praticamente influenza sul Plato del mosto. Poiché al superamento dei 200°C si creano sostanze cancerogene pericolose per la salute, l’ottenimento di tostature differenti si basa sull’aumento dell’esposizione a temperature appena inferiori (180-190°C) e pertanto è necessario porre più attenzione alla durata che alla temperatura di tostatura.

Subito dopo i processi di essiccazione e torrefazione si ha un ulteriore processo di vagliatura delle radichette che, sebbene secche, rimangono spesso attaccate alla cariosside e possono dare tonalità amare sgradevoli al prodotto e cambiare la percentuale di assorbimento d’acqua durante il mash. Devono perciò essere eliminate tramite un semplice processo di movimentazione a spinta e di spazzolatura.

 

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!