Numero 25/2023

21 Giugno 2023

Steinbier: le birre di roccia

Steinbier: le birre di roccia

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Le pietre roventi sono state utilizzate per produrre birra in un’area geografica molto vasta che comprende il Nord Europa, la Russia e l’Europa centrale.
Senza dubbio però, il territorio in cui questo metodo si è radicato maggiormente è quello austriaco, in modo particolare nelle regioni della Carinzia e della Stiria, dove veniva prodotta, appunto, la Steinbier, (dal tedesco Stein:pietra; Bier:birra), letteralmente birra con pietre, ossia quella che oggi può essere considerata come la capostipite delle birre prodotte con pietre roventi.
Secondo alcune fonti, infatti, la produzione di Steinbier in Carinzia copre una finestra temporale di più di un millennio, tanto che i birrifici più antichi di cui si hanno notizia risalgono al XIV secolo.
In alcuni scritti, tra cui quelli di R. Waizer (Kulturbilder und Skizzen aus Kärnten, Klagenfurt, 1890 ) si affermava che la Steinbier fu importata in Carinzia dai Windisch, ossia le popolazioni che parlavano sloveno, e che questa era diffusa solo nei territori occupati da queste popolazioni.
In realtà è stato dimostrato in seguito da Raimond Dürnwirth nel suo articolo Vom Steinbier che la
Steinbier veniva consumata e prodotta anche dalla popolazione tedesca.
La Steinbier prodotta in questi luoghi viene descritta come una bevanda “mezza fermentata”, consumata dai ceti sociali meno abbienti, come la classe contadina, i quali la producevano per il proprio uso e consumo.
La produzione di Steinbier nelle fattorie era strettamente legata all’andamento stagionale del raccolto di frutta e cereali. Durante il periodo compreso tra luglio e dicembre, se il raccolto di frutta, soprattutto di susine, fosse stato abbondante, veniva prodotto un fermentato diverso dalla Steinbier. Quest’ultima invece veniva prodotta nello stesso periodo solo qualora la resa dei cereali fosse stata più abbondante. La Steinbier non veniva prodotta solo nelle fattorie, ma anche nelle taverne che la servivano ai loro clienti, inoltre esistevano veri e propri birrifici Steinbier.
Le rendite date dalla produzione di questa birra erano limitate, motivo per cui i birrai che la producevano solitamente esercitavano anche un’altra professione. Un esempio emblematico a tal proposito è il birrificio di Kaschitz, a Waidmannsdorf, a cui era annessa anche un’azienda agricola in piena attività.
È interessante notare come in Carinzia e Stiria la produzione di Steinbier non si rifaceva solo ad un metodo di produzione, ma piuttosto era considerato come vero e proprio stile.
La birra ottenuta infatti veniva brassata seguendo lo stesso procedimento dalla maggior parte dei produttori.

 

Ingredienti
Le materie prime necessarie per la produzione di Steinbier venivano coltivate direttamente dai birrai, i quali erano anche in grado di costruire autonomamente l’impianto di produzione.
Infatti, in una petizione risalente al XVIII secolo, ritrovata dal priore del convento di Viktring, a Klagenfurt in Austria, si richiede che coloro i quali producono Steinbier possano fabbricare il proprio impianto senza doverlo acquistare, a differenza di chi, invece, produce birra in caldaie di metallo – quest’ultimi erano costretti all’acquisto dell’installazione nel rispetto di altre leggi
dell’epoca.

In principio, il malto utilizzato per la produzione di Steinbier consisteva principalmente in avena,
anche se talvolta poteva essere aggiunta una percentuale d’orzo. Con il passare dei secoli, invece, si preferì utilizzare una miscela di più cereali, che comprendevano orzo, avena e frumento.
In das Steinbierbrauen in der Steiermark, F. Pichler afferma che la birra prodotta con malto d’orzo era di qualità superiore rispetto alla birra prodotta con avena ed orzo. Il prezzo della Steinbier, infatti, era stabilito in base alla tipologia di malto, con un rapporto di 2:1 tra orzo e avena.

Il processo di maltazione di questi cereali veniva eseguita dagli stessi birrai, nello stesso birrificio, seguendo un procedimento piuttosto semplice: l’avena veniva macerata per ventiquattro ore, mentre l’orzo ed il frumento per quarantotto. La fase di germinazione, invece, durava in media 8-9 giorni, durante la quale l’avena veniva rivoltata una volta sola, mentre il frumento 1-2 volte.
Interessante notare che nel birrificio Kaschitz a Waidmannsdorf, in Carinzia, il tino di miscela fungeva anche da vasca di macerazione, di conseguenza, la birra veniva prodotta solo quando
non si maceravano i cereali, questo a sottolineare ancora una volta come la produzione di birra non era costante ma si affiancava alle altre attività svolte dai birrai.
L’impianto necessario per la produzione di Steinbier era rudimentale.
Consisteva in due tini in legno, uno per l’acqua preriscaldata e uno per l’ammostamento con un foro centrale sul fondo da cui far defluire il mosto.
I tini potevano anche essere quattro. In tal caso un tino veniva utilizzato per miscelare una porzione di malto separatamente con acqua scaldata da pietre roventi, mentre nel quarto avveniva un vero e proprio arrostimento del luppolo.
Da circa l’inizio del Novecento nei birrifici Steinbier poteva essere trovato anche un pentolone posto su un fornello, il quale serviva a scaldare l’acqua per la cotta. Il pentolone era dotato di un rubinetto ed era collegato al tino di impasto tramite una canaletta in legno.
Altra struttura fondamentale era una vasca in muratura, nella quale venivano bagnate delle ceste per il trasporto di pietre roventi, al fine di non carbonizzarle.
Venivano utilizzate tenaglie in ferro o in pietra, con lunghi manici in legno per estrarre le pietre dal fuoco, mentre si adoperavano forche a due o tre rebbi, in legno o in ferro, per gettare le pietre nei tini.
Gli Scheit, simili ad un remo, in legno, venivano utilizzati, invece, per mescolare l’impasto.

 

 

La fermentazione primaria avveniva in dei tini in legno, dopodichè la birra giovane veniva trasferita in delle botticelle dove avveniva la fermentazione secondaria. Queste venivano poi tappate ed
utilizzate anche per la mescita.
Il Grumetl che consisteva in una fossa lunga in media 2-4 metri, larga 1 metro e con una profondità crescente fino ad un picco massimo di 1 metro. Terminava a raso con il pavimento da un lato. Questa fossa era coperta da una tettoia e separata dalla sala cotte per motivi di sicurezza.
Il Trog, un tronco di legno cavo, che veniva utilizzato per formare una vasca lunga circa 2 metri e larga 30 centimetri e profondo 50 centimetri. Posizionato sotto il tino di ammostamento, fungeva da tino di filtrazione.

Le pietre utilizzate per la produzione di Steinbier erano le Grauwacke, un particolare tipo di roccia presente in Carinzia, scelte in virtù della loro resistenza agli sbalzi di temperatura causati dall’immersione nel liquido freddo. Potevano essere utilizzate fino a 10-12 volte ed erano grandi circa la dimensione di un pugno.
Erano necessari circa 200 kg di pietre per hl.
I contadini le fornivano ai birrifici locali, venendo retribuiti da quest’ultimi con della birra.
Infine venivano utilizzati rami di ginepro, i quali fungevano da fondo filtrante e servivano ad aromatizzare. Come le pietre, anch’essi venivano forniti dai contadini locali.

Produzione
Il metodo di produzione era molto lungo e faticoso. Si iniziava a mezzanotte circa arroventando le pietre. Nel Grumetl si accendeva il fuoco con rami e fieno, per poi inserire le pietre che impiegavano 2-3 ore a diventare incandescenti.
Dopodichè queste venivano estratte dal fuoco con tenaglie di ferro e portate ai tini nelle ceste, precedentemente immerse in acqua per 1-2 ore. Intorno ai tini vi erano dei banchi di pietra per poter appoggiare le rocce.
Quest’ultime venivano poi inserite nel tino di preriscaldamento in cui veniva scaldata l’acqua.

Sul fondo del tino d’impasto venivano posti 6-8 rami di ginepro, ben stretti tra loro, che formavano uno strato compatto spesso circa 40 cm. Su questi venivano versati alcuni secchi di acqua calda proveniente dal tino di preriscaldamento, fino a coprire i rami completamente. Poi il birraio poneva, in modo uniforme, 20-30 pietre roventi sul letto di rami, schiacciandoli.
Avveniva poi il cosiddetto arrostimento del luppolo.
Il luppolo veniva posto sulle pietre roventi che sporgevano dall’acqua, creando un fumo intenso ed irritante che riempiva tutta la sala cotte. Il tino di impasto veniva coperto con grandi teli ed il luppolo lasciato arrostire per 1-3 minuti. Successivamente vi venivano versati sopra altri secchi di acqua calda ed il tino veniva ricoperto per altri 10 min.
Il dosaggio del luppolo utilizzato era circa 70g/hl.
Dopo questi procedimenti, i teli venivano rimossi, si versava lentamente prima il malto di avena, rimestandolo continuamente con il Scheit, in modo da non far precipitare il malto sotto i rami di ginepro. Dopodichè si versava il resto del malto, ossia avena, orzo e frumento (1/3 cadauno). Si aggiungeva altra acqua preriscaldata, e si impastava per circa mezz’ora.
Si continuava a rimestare, aggiungendo pietre e aumentando lentamente la temperatura.
Non è chiaro se tutti i birrai Steinbier portassero a ebollizione il loro mosto, dato che non utilizzavano termometri, quindi poteva trattarsi di un semplice “sobbollire”.
Per portare ad ebollizione erano necessarie 4 ore circa, lasso di tempo in cui i birrai continuavano a rimestare in piedi su dei soppalchi intorno ai tini cercando di non scomporre i rami di ginepro sul fondo. L’impasto veniva bollito per circa un’ora e mezza/due, dopodichè veniva fatto riposare nel tino per due ore. Durante questa pausa si portava a bollore dell’acqua per il risciacquo delle trebbie nel tino di preriscaldamento utilizzando altre pietre roventi. Di seguito si estraeva l’asta di legno che fungeva da tappo del tino di impasto, il mosto caldo defluiva nella vasca al di sotto di esso, detta trog.
Il mosto veniva fatto ricircolare, riportandolo con un cucchiaione al tino finchè non scorreva limpido.
Durante il trasferimento, prima che malto, pietre e luppolo fossero visibili avveniva lo sparge, ossia il risciacquo delle trebbie, fatto con l’acqua preriscaldata precedentemente.
In alcuni casi se questa non era sufficiente, veniva pompata acqua fredda fino a riempire il tino, da una pompa in legno posizionata al di sopra del tino di miscela, la quale pescava acqua direttamente dalla falda acquifera. Il trog era collegato con una canaletta ai tini di fermentazione, utilizzata per il trasferimento del mosto.
In alcuni birrifici questo passaggio doveva essere fatto manualmente, tramite l’uso di secchi.
I tini di fermentazione venivano precedentemente “sanificati” con il vapore, ribaltandoli su un secchio in cui erano poste pietre roventi ed acqua.
Il mosto caldo veniva raffreddato con dei galleggianti, i Gärgbotichschwimmer.
In questi galleggianti veniva inserito ghiaccio, il quale, sciogliendosi, raffreddava il mosto nel tino di fermentazione. Questi potevano anche essere utilizzati durante la fermentazione e venivano consumati circa 0,75-2,0 kg di ghiaccio in 12 ore per ogni hl di birra in fermentazione.
Il mosto veniva raffreddato a circa 20-25C°.

 

Arrivati a questo punto si aggiungeva lievito ad alta fermentazione, prelevato direttamente dalle botticelle richiuse con un tappo di legno dopo la mescita.
Le trebbie esauste venivano date ai contadini o utilizzate dai birrai stessi come mangime per bestiame.
Il risultato finale era un mosto con un grado Plato pari a 6.
Dopo 17-24 ore di fermentazione primaria, la birra giovane veniva travasata nelle botticelle di mescita precedentemente lavate con acqua calda ed agitate
con una lunga catena di ferro all’interno.
Durante le prime ore, la fermentazione era ancora vigorosa e, dal cocchiume lasciato aperto, fuoriuscivano molta schiuma e residui di luppolo. Dopo 2-3 giorni le botticelle venivano chiuse ermeticamente. Queste erano in grado di contenere circa 25-50 litri.

Il declino del mito
Il declino delle Steinbier iniziò nella seconda metà del XVIII secolo circa, con l’affermarsi dei Kesselbierbrauer, ossia i birrai che producevano birra in recipienti metallici.
Lentamente si iniziò a sviluppare un settore di birrai artigiani e si avanzò la richiesta di un addestramento professionale come condizione necessaria al fine di esercitare il mestiere. I Kesselbierbrauer ottennero gradualmente un ruolo di rilevanza, fino a pretendere che i birrai Steinbier non potessero più produrre né vendere, richiesta che non venne però soddisfatta.
I birrari Steinbier iniziarono ad adottare le caldaie riscaldate dal basso, denominando tale tecnica «fuoco dal di sotto».
In parallelo a questo scenario tra produttori, sembrerebbe essere avvenuto anche un cambiamento nei gusti dei consumatori, i quali iniziarono a preferire la birra prodotta in recipienti metallici.
L’ultimo birrificio a produrre Steinbier fu il birrificio Holzeger di Waidmannsdorf. Fondato nel 1645, chiuse nel 1917, probabilmente a causa dell’avvento della Prima Guerra Mondiale.

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Lorena Ortega
Info autore

Lorena Ortega

Mi chiamo Lorena Carolina Ortega, sono nata a Rosario, in Argentina. Nel 2013 ho deciso trasferirme in Perù, dove sono diventata Beersommlier e giudice BJCP.
Ho lavorato per 5 anni per birrificio Nuevo Mundo nella mansione di Responsabile di eventi, dove ho conquistato alcuni dei miei obiettivi: incentivare gli studenti universitari alla passione per il fenomeno della birra artigianale con tours per il birrificio; riunire la birra e la musica con l’organizzazione di un festival ad edizione bimensile chiamato Rica Chela, sostituire la vendita di birra industriale con la birra artigianale nel festival Selvamonos, un evento musicale con piú di 11°edizioni; iniziare la diffusione di birre artigianali in ristoranti gourmet e collaborare nell’organizzazione del primo franchising di bar di birra artigianale a Lima e nella formazione dei camerieri. Adesso in Italia, da febbraio 2019 vivo nella città Terracina, cercando di portare avanti la mia passione per la birra nel territorio mediterraneo.