Numero 43/2021

31 Ottobre 2021

Storia e attualità delle Pumpkin Ale!

Storia e attualità delle Pumpkin Ale!

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Le Pumpkin Ale rappresentano uno dei pochi stili originari degli Stati Uniti; la loro storia è legata a doppio filo con quella dei primi coloni delle terre americane. Arrivati sul suolo del nuovo continente il 9 settembre del 1620, dove sorge l’odierna Plymouth, nello stato del Massachusetts, gli Inglesi partivano dalla madre patria con un carico pieno di sogni e speranze.
I coloni portavano con sé un’ulteriore convinzione, ovvero che bere acqua significasse mettere la propria vita nelle mani del Signore: innumerevoli sono i casi di malattie provocate dalla scarsa qualità dell’acqua, i cui corsi venivano utilizzati per scaricare tutti i rifiuti immaginabili. Non essendoci alcuna conoscenza riguardante la purificazione dell’acqua, già a partire dal 1400 diverse fonti attestano una demonizzazione del suo consumo: Sir John Fortescue afferma, per esempio, che gli Inglesi: “[…] drink no water unless it be… for devotion.” [Non bevono acqua a meno che non sia per devozione].

 

Il Parlamento inglese provò addirittura a promulgare una legge contro l’inquinamento delle riserve idriche, ma senza successo: ogni goccia d’acqua che si poteva trovare nel Regno Unito era irrimediabilmente guastata. Nonostante l’acqua del suolo americano non fosse in alcun modo contaminata, i primi coloni si guardavano bene dal berla, memori della condizione idrica della loro madre patria. Ma come si dissetavano allora i primi abitanti del Nuovo Mondo?

Semplice: con la birra. La birra era la bevanda per eccellenza del XVII secolo, dal consumo giornaliero frequente, bevuta a qualsiasi ora del giorno, dal primo mattino (alcuni ne bevevano una pinta addirittura prima di colazione, per poi replicare durante) fino a tarda notte. Il consumo coinvolgeva ogni fascia d’età, e accompagnava anche i lavoratori durante le fatiche del giorno.
I Pellegrini consideravano la birra essenziale per il benessere sociale, culturale e fisico della colonia in fasce; la birra era più che una necessità, era indispensabile.

Molto più di un mero retaggio culturale, quindi. Bere birra era anche decisamente più salutare: infatti, per poter brassare, bisogna bollire la birra, uccidendo di conseguenza gran parte dei microbi presenti nell’acqua. Oltre a ciò, la birra era considerata (e lo è tuttora) un alimento dalle forti proprietà nutritive, e alcuni medici addirittura ne prescrivevano il consumo in caso di affaticamento e altre malattie.

Non stupisce dunque che uno dei cargo più importanti per i coloni fosse quello contenente birra; le scorte dell’acqua non erano assolutamente la prima scelta, essendo stipate al caldo e rovinandosi in fretta. Probabilmente, considerando l’esperienza dei coloni, sarebbero state comunque evitate.
L’inverno del 1620 per i primi abitanti sul suolo americano fu decisamente duro: non erano abituati al clima rigido della East Cost, non c’erano edifici dove rifugiarsi, le scorte di cibo erano scarse, e peggio ancora, la birra era quasi finita. Di tutte le privazioni, quest’ultima era considerata la più grave, tenendo conto dell’importanza che occupava nella società degli Americani ante litteram. Inclusero quindi un birrificio alla lista dei primi edifici che avrebbero eretto nell’immediato.
Con la costruzione del birrificio, ultimato nei primi mesi del 1621, i problemi non cessarono per i coloni; infatti, a farsi sentire era ora la mancanza di materie prime, specialmente per quanto riguarda il materiale fermentabile. I carichi di malto e di birra attraversavano l’Atlantico solo saltuariamente, e i primi tentativi di coltivare l’orzo furono infruttuosi.

 

Fortunatamente, ad aiutare i coloni vennero in aiuto i Nativi della tribù dei Wampanoag, che insegnarono loro a fare birra con le risorse del luogo. Si hanno dunque testimonianze di bevande alcoliche brassate con il mais, come riporta il Capitano George Thorpe nel 1620: “[i coloni avevano] “trovato un modo per fare una buona bevanda dal mais Indiano, la quale preferivano a della buona birra inglese”. Inoltre, Thorpe nello stesso anno afferma che “il Sig. Russell, il farmacista, provò ad introdurre in Virginia del tè di sassofrasso come un vino artificiale […]”.

È evidente dunque, che i primi colonizzatori cercavano di fermentare con qualunque cosa potessero trovare sulle terre del suolo americano. Da un lato, i coloni trovarono un’abbondanza di cereali sostituibili all’orzo, come riporta nel 1683 Thomas Paschall, un abitante delle colonie: “’Qui cresce della buonissima Segale […] anche dell’Avena, e  tipi di Mais Indiano (due dei quali possono essere Maltati e si può ricavare da essi della birra buona come
quella con l’Orzo)’”.
Oltre a questi cereali sostitutivi, i coloni cercavano, come abbiamo già visto, di produrre bevande alcoliche con ortaggi, frutta, gemme di conifere (si hanno notizie di frequenti birre con gemme di abete, betulla e sassofrasso) presenti in abbondanza sul suolo americano. Tra questi, degni di nota il caco e il topinambur.

 

 

Qui entra in scena la zucca: infatti, le cucurbitacee erano disponibili in enormi quantità, e si rivelarono particolarmente adatte al brassaggio, grazie alla presenza di molti zuccheri fermentabili. La prima attestazione di un consumo di birre prodotte con l’uso della zucca risale agli anni Trenta del XVII secolo.

Le Pumpkin Ale dell’epoca coloniale erano decisamente diverse dagli esempi attuali dello stile: erano prodotte senza malto d’orzo (o con quantità minime) e spesso prevedevano non solo l’aggiunta di zucche, ma anche di altri ingredienti, come frutta e cereali alternativi. Quindi a differenza dello stile attuale, dove la zucca serve quasi esclusivamente a conferire un’aggiunta nell’aroma, essa veniva utilizzata come fonte principale di materiale fermentabile.
Assieme a birre prodotte con l’uso di melasse (della quale ci è pervenuta una ricetta redatta da George Washington) e crusche, le Pumpkin Ale erano birre bevute principalmente dalle classi meno abbienti, in quanto il malto d’importazione era decisamente costoso.

Lo stile in realtà non riscosse molta fortuna nella popolazione, essendo considerata una birra da brassare solo in tempi di assoluta necessità; era preferita la maltazione di cereali diversi dall’orzo, ove possibile.
Questo ha probabilmente a che fare con una delle peculiarità dello stile dell’era coloniale, ovvero un certo “twang” o “tang” (traducibile liberamente con “pizzichio”, “odore/sapore pungente”), decisamente fastidioso. Anche l’aspetto (ma questo è vero di tutte le birre del periodo) probabilmente non era invitante, essendo le birre scure e torbide.
La prima attestazione storica di una ricetta di una Pumpkin Ale risale ad oltre un secolo dall’arrivo dei coloni, precisamente nel 1771. L’American Philosophical Society, fondata nel 1743 da Benjamin Franklin, tra i numerosi documenti pubblicati anno vera una ricetta per una Pompion (termine arcaico di Pumpkin) Ale, redatta da un non meglio identificato pseudonimo chiamato Naso. Lo stesso autore afferma di essere entrato in possesso di questa ricetta da una persona che sarebbe riuscita a far passare questa birra come prodotta con esclusivamente malto d’orzo.
L’unica vera differenza percepibile, sempre a detta di Naso, sarebbe il famoso “twang” del quale abbiamo già parlato. Per sopperire a questo sentore pungente, l’autore descrive come la pratica di invecchiamento di due anni della bevanda abbia migliorato complessivamente la bevuta.

 

 

Nel 1801, il dottore Samuel Staerns nel suo libro The American Herbal or Materia Medica cita la birra alla zucca subito dopo le Porter e le Ale. Stearns considerava le Pumpkin Beer particolarmente salutari, notando che: “Diversi tipi di birra, Ale e affini, sono spesso preparati seguendo le prescrizioni dei medici, tutte queste bevande spiritose, incluse birre alla zucca e alla crusca, partecipano delle virtù degli ingredienti messi in queste bevande alcoliche.

La produzione delle Pumpkin Ale continuò lungo tutto il XVIII secolo, complice anche la difficile reperibilità del materiale fermentabile nei futuri Stati Uniti. Il XIX secolo segna la fine della prima epoca delle Pumpkin Ale, anche a causa della scarsa reputazione della zucca, vista come qualcosa di rustica e bizzarra, e la fornitura stabile di malto d’orzo di qualità. Riapparve come ingrediente caratterizzante attorno agli anni Quaranta dello stesso secolo, ma solamente per un breve periodo e non in maniera così diffusa come nei due secoli precedenti.

La scelta di utilizzare birre scure come base si ispira all’aspetto delle birre del XVI e del XVII secolo, mentre l’utilizzo della purea di zucca probabilmente dona una certa intensità di sapore, evitandone i sentori pungenti derivanti dalla fermentazione.

Tra il periodo di diffusione delle Pumpkin Ale e la loro attuale presenza sul mercato ci fu una fase di totale oblio. Lo stile fu riscoperto solo a partire dagli anni ’80 del XX secolo, quando negli Stati Uniti stava esplodendo il fenomeno della birra artigianale. Molti birrifici cominciarono a riproporre sul mercato una tipologia che affondava le sue radici nella storia della nazione, resuscitando quindi uno stile che era andato perduto.

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Marco Piacentini
Info autore

Marco Piacentini

Sono nato l’8 Gennaio del 1990, il giorno di Elvis Presley, ed amo la birra artigianale da quando la legge mi ha consentito di berla.

Non ho mai bevuto con consapevolezza e mi sono sempre avventurato, sbagliando e provando, nei vari locali che Roma e provincia potevano offrire.

Ho bevuto birre che non ero pronto a bere, alcune le ho detestate, altre le ho amate e porto sempre con me un sottobicchiere a mo’ di portafortuna. Quale?

Quello della Tripel Karmeliet, la prima birra “artigianale” che mi ha fatto avvicinare al mondo delle belga.

Nel 2018 con il mio amico Federico abbiamo dato vita ad un progetto amatoriale, Beata Birra, e da lì è aumentata la consapevolezza, i corsi di degustazione, le scoperte!