Numero 33/2023
17 Agosto 2023
Gruit: dal “Capitulare de villis” ai giorni nostri

Le prime fonti sono racchiuse nel capitolare “Capitulare de villis” emanato da Carlo Magno durante l’impero carolingio. In questo decreto vi è una parte dove venivano regolamentati i luoghi di produzione di bevande alcoliche, il luogo di produzione, i “birrai” e le varie bevande alcoliche.
Nel tempo i conti e i vescovi furono in grado di elevare il gruitrecht, il diritto al gruit, a un monopolio ereditario in gran parte esercitato nei loro territori. La specializzazione della produzione della birra come mestiere ha contribuito dal punto di vista delle conoscenze tecniche di produzione sempre migliori, portando un aumento di volume delle singole birre.
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La diffusione dell’Impero Carolingio andò di pari passo con la diffusione del cristianesimo. Uno dei modi per inserire il cristianesimo nella società fu attraverso la fondazione di monasteri. Le abbazie furono anche responsabili del miglioramento della qualità della birra. Nei primi monasteri medievali non c’era una chiara divisione tra birrai, fornai e monaci, le attività cambiavamo su base settimanale. Le cose cambiarono nel IX secolo
quando Carlo Magno convocò il Sinodo di Aquisgrana (809 d.C.), dove i vari ruoli produttivi furono assegnati per un anno intero.
Uno dei miglioramenti introdotti da questi primi monasteri fu l’incorporazione di luppolo nella produzione della birra. La prima prova scritta riguardante la coltivazione di luppolo risale al VIII secolo e si riferisce ai campi di luppolo nella regione tedesca di Hallertau.
Sempre all’età altomedievale si data un rinvenimento archeologico straordinario, che avvalla l’ipotesi di un uso estensivo del luppolo già in questo periodo Nel 1978 a Graveney, località vicino a York, ci fu un ritrovamento di una barca dell’era vichinga (~950 d.C.).
Dopo quasi quarant’anni, grazie all’avanzamento delle tecniche d’analisi in laboratorio, venne scoperto che trasportava una considerevole quantità di luppolo.
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La parola gruit sembra avere molti significati nel contesto della birra. In primo luogo è stato utilizzato come nominativo per un di prodotto a base di grano. In secondo luogo, indicava un’imposta pagata in base ai metodi di
preparazione.
Fino a poco tempo fa si diffuse l’idea che era solo l’aromatizzazione della birra apportata da un insieme di piante la cui composizione poteva fortemente diversificarsi a seconda dei luoghi. Le quattro piante principali che rientravano nella composizione del gruit erano: il mirto di Brabante, il ledum palustre, le bacche di alloro
e il sermontano.
Secondo ultime ricerche si è diffusa l’idea che invece potesse essere un fortificante per il mosto, seguendo quattro ipotesi che non hanno l’onere di prevalere una sull’altra, ma di incrociarsi e coesistere in base al tempo e il luogo. Da ricordarsi che il fenomeno gruit, nella sua accezione storica, era circoscritto nell’area olandese e alto tedesca. Diversi esempi di tecniche e aromatizzazioni con diverse sostanze botaniche le troviamo anche in paesi diversi, come in Scandinavia e nelle isole britanniche. Di quest’ultimo paese si conosce l’uso estensivo del
brugo e dell’achillea, le quali raggiungono importanza antropologica sulla relazione identitaria tra tipo di birra e nazionalità.
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Quindi, le quattro ipotesi di utilizzo del gruit secondo i recenti studi di Verberg presentati nel 2018 sono:
Estratto di mosto: uno sciroppo denso con alto contenuto di zuccheri semplici, per aumentare grado alcolico e nutrimento per il lievito.
Concentrato di enzimi: il mosto in quel periodo veniva prodotto con materie prime dal basso potere diastatico. Questo concentrato in ammostamento o fermentazione andava ad aiutare la conversione degli amidi in zuccheri
semplici.
Conservante e fermentante: allo sciroppo veniva aggiunta crusca d’avena, intrisa di lieviti, in modo da avere un inoculo per il mosto.
Pasta di lievito: Simile al punto 3, ma con aggiunta di farina e frutta spesso uva, aveva l’aspetto cremoso come l’attuale lievito da panificazione.