Numero 39/2023
28 Settembre 2023
Alla scoperta della malteria dell’Università di Udine
Chi legge queste pagine conosce bene l’importanza crescente in Italia – Paese storicamente sprovvisto sotto questo profilo – della maltazione, determinata da diversi fattori. Innanzitutto la crescita degli agribirrifici, che costituiscono una percentuale sempre maggiore degli oltre 800 microbirrifici attualmente attivi in Italia; poi l’interesse delle stesse aziende agricole a dare maggior valore aggiunto al proprio orzo, che non gode di un prezzo di mercato molto attrattivo – e qui nasce una convergenza di interessi con i piccoli birrifici locali per la valorizzazione delle filiere locali e dei prodotti del territorio. Sono così nate alcune piccole malterie cooperative o consortili, come quella del Cobi di Ancona, o finanche micromalterie ad uso dei singoli birrifici; e un’unica malteria universitaria che unisce ricerca e attività economica rivolta alle aziende, quella dell’Università di Udine. L’ateneo è stato, per iniziativa del prof. Buiatti, anche il primo in Italia a disporre di un proprio impianto per la produzione della birra: insieme al luppoleto già attivo nell’azienda agricola universitaria, quindi, si chiude il cerchio della ricerca e produzione in ambito brassicolo. A curare il processo di maltazione è uno dei collaboratori del prof. Buiatti, il dott. Paolo Passaghe. Li abbiamo incontrati all’Università di Udine.
Da quanto tempo è attiva la malteria?
Circa due anni, ma è il risultato di un percorso molto più lungo, partito già prima del Covid. Siamo stati malteria sperimentale per diversi anni, e dal 2021 abbiamo aperto ai birrifici e aziende agricole del territorio: perlopiù regionali, ma abbiamo qualche richiesta anche da fuori regione, dato che questa zona d’Italia è sguarnita di malterie e quasi tutti gli agribirrifici devono mandare il loro orzo a maltare in Austria. Per quanto quindi, non potendo fare economia di scala come le grandi malterie, il costo unitario del malto sia più elevato, è evidente che le ragioni logistiche rendono desiderabile il fatto di rivolgersi ad una realtà più vicina. È anche in corso il processo di certificazione bio per garantire come tale il malto proveniente da orzo coltivato con questo protocollo, anche questo un settore in crescita nel comparto.
Siete appunto una piccola realtà: ma quanto piccola?
Lavoriamo lotti di orzo da cinque quintali: parliamo quindi di un servizio adatto alle piccole imprese, che vogliono garantita la tracciabilità del proprio orzo – questione di importanza cruciale appunto per i birrifici agricoli, che non sempre trovano questa garanzia nelle malterie che lavorano solo lotti molto più grandi delle loro richieste. Per quanto disponiamo di un impianto piccolo e quindi produciamo quantità di malto ridotte, perché da ogni lotto da cinque quintali di orzo di partenza ne escono quattro di malto, si tratta di una preziosa fonte di finanziamento per la ricerca.
Che cosa significa ricerca in questo campo?
Siamo inseriti nell’ambito del Pnrr per la ricerca sul fronte della sostenibilità ambientale. Ovviamente, come ogni attività industriale, anche la maltazione ha il suo impatto ambientale: necessita infatti di molta acqua (l’orzo va bagnato prima di essere maltato, ndr) e di molta energia (l’intero processo di maltazione dura una settimana, e fa uso di forni ed essiccatori, ndr). Maltando, quindi, portiamo avanti anche la sperimentazione di tecniche per ridurre questi consumi, e che potranno auspicabilmente un domani essere applicate anche alle grosse malterie. Sicuramente il parlare di “birra sostenibile”, cosa che da più parti si è fatta negli ultimi anni, deve significare cura di questo aspetto lungo tutta la filiera, dalla semina dell’orzo fino alla bottiglia.