Numero 18/2018

30 Aprile 2018

Obiettivo cold break: come raffreddare il mosto in casa

Obiettivo cold break: come raffreddare il mosto in casa

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Sicuramente, uno dei passaggi più delicati del processo di birrificazione casalinga è il raffreddamento. Si tratta di una fase noiosa, spesso sottovalutata, che nasconde molte insidie.
Nella produzione della birra questo step segue la bollitura tumultuosa, la fase in cui il mosto viene portato ad una temperatura superiore ai 100° per:

  • sterilizzare il mosto
  • concentrare gli zuccheri
  • estrarre amaro e aroma dai luppoli
  • volatilizzare con l’evaporazione alcuni composti chimici che non vogliamo nella nostra birra finita (es. DMS)

 

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“Perché raffreddiamo?”
I lieviti vivono e si riproducono a temperature decisamente inferiori ai 100 gradi. Ridurre la temperatura permette l’inoculo che, solitamente, avviene in un range di temperature che oscilla tra i 15 e i 25 gradi per i lieviti da Ale e gli 8-10 gradi per i lieviti da bassa fermentazione.
Inoltre, il raffreddamento stabilizza il mosto e armonizza molti degli aromi che ritroveremo nella birra finita.

“Tempi di raffreddamento?”
L’abbassamento della temperatura espone il mosto all’attacco di batteri e altri agenti infestanti. Per questo motivo è necessario procedere ad un vero e proprio abbattimento della temperatura, che viene definito cold break. La rapida discesa permette infatti di ridurre la possibilità di contaminazione del mosto e, inoltre, agevola il coagulo di sedimenti proteici, garantendo un mosto più limpido. Rispetto ai tempi, la parola d’ordine quindi è: velocità.

“Come?”
Tutto quello che è stato detto fino ad ora, si traduce, in termini pratici, con un homebrewer che si ritrova di fronte ad un pentolone pieno di mosto bollente con una missione – quasi – impossibile da compiere: far scendere la temperatura del mosto di almeno 80 gradi nel minore tempo possibile. Ovviamente, l’opzione di un lento raffreddamento che sfrutti la differenza di temperatura con l’ambiente è da escludere per i motivi sopracitati. Si rendono quindi necessarie delle soluzioni alternative. Gli strumenti più diffusi fra gli homebrewers sono quattro: vasca, serpentina, controflusso, scambiatore di calore a piastre.

Vasca. È il metodo più semplice: consiste nel ridurre la temperatura del mosto immergendo la pentola in una vasca da bagno o in un contenitore pieno di acqua e/o ghiaccio. Oltre a non poter essere utilizzata per i sistemi elettrici, la criticità di questa soluzione è il fattore tempo: non è assurdo infatti immaginare che, per raffreddare 23 litri di mosto, possano essere necessarie alcune ore e svariati litri d’acqua. Un lasso tempo decisamente troppo lungo che può pregiudicare la buona riuscita della cotta. Ma questa opzione è, è stata e sarà, la prima soluzione che molti homebrewers alle prime armi si troveranno a dover scegliere. È una sorta di rito di passaggio, che ha dalla sua parte la facilità di realizzazione e l’assenza di investimento economico (anche se espone pericolosamente l’homebrewer alle ire di eventuali mogli e fidanzate).

 

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Serpentina. Si tratta di una spirale di rame o acciaio inox alimentare alle cui estremità presenta un raccordo per il l’ingresso dell’acqua fredda e uno per il suo scarico. Ha una lunghezza variabile (mediamente dai 7 ai 15 metri) a seconda del quantitativo di mosto da raffreddare. È molto diffusa fra gli homebrewers, perché presenta tre punti di forza: primo, garantisce un rapido abbattimento della temperatura (una serpentina sufficientemente lunga può portare 23 litri di mosto alla temperatura di inoculo in un arco di tempo che oscilla fra i 20 e i 35 minuti); secondo, ha un costo relativamente contenuto (dai 60 € in su); terzo, è facilmente lavabile.
Il principale aspetto negativo di questo sistema è il grande dispendio di acqua necessaria per raffreddare il mosto.

 

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Controflusso. È l’evoluzione della serpentina. In buona sostanza si tratta di una serpentina di rame/acciaio alimentare inserita all’interno di un tubo di gomma e collegata ad una pompa. Il mosto viene fatto circolare all’interno della spirale metallica, mentre nel tubo di gomma viene fatta circolare in senso inverso (in controflusso) l’acqua fredda. In questo modo si viene a creare una grande superficie di contatto fra la superficie metallica e l’acqua fredda, facilitando lo scambio di temperatura.
I punti di forza di questo sistema sono la riduzione dei tempi di raffreddamento e dello spreco d’acqua. I punti deboli sono rappresentati da un costo decisamente maggiore rispetto alla serpentina normale (qualche centinaio di euro) e da una pulizia non semplicissima delle superfici interne della serpentina nelle quali scorre il mosto. La pulizia infatti viene realizzata con il passaggio di acqua calda e/o prodotti di pulizia specifici, ma non sempre è facile rimuovere completamente tutti i residui organici del mosto (con conseguente rischio di infezione).

 

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Scambiatore di calore a piastre. Probabilmente è il sistema più efficiente fra quelli presentati fino ad ora. Si tratta di un’apparecchiatura dalle dimensioni ridotte al cui interno presenta due circuiti composti da una serie di piastre metalliche a contatto dove, da un lato, circola il mosto caldo (solitamente sfruttando la forza di gravità) e, dall’altro, l’acqua fredda pompata dal rubinetto di casa che poi uscirà dal lato opposto per finire nel lavandino.
Analogamente a quanto avviene con la serpentina in controflusso, i due liquidi circolano in direzioni opposte senza mai venire direttamente in contatto. I punti di forza di questo sistema sono: la praticità e la grande superficie di contatto che le piastre mettono a disposizione dei due liquidi, che si traduce in tempi brevissimi di raffreddamento.
Punti deboli? Principalmente uno: trattandosi di un circuito chiuso, è difficile da igienizzare. Come per il controflusso, la pulizia è affidata esclusivamente alla circolazione di acqua calda e/o prodotti di pulizia specifici. In ambito domestico questo può portare ad una difficoltà nella rimozione di tutti i residui organici, esponendo il passaggio dei futuri mosti a rischio di infezione.

 

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Gianluca Agnello
Info autore

Gianluca Agnello

Vivo a Firenze e sono nato nel 1982.
Non posso dire da quando sono appassionato di birra, perché non ricordo com’è nata questa mia passione. So soltanto che da bambino collezionavo sottobicchieri e tappi, perché avevano un nonsoché di magnetico,di affascinante, di magico. Da grande mi sono innamorato del fatto che la birra è un sostantivo che raccoglie tante bevande diverse. Incuriosito, ho cercato di sperimentare i vari stili, di conoscerne i profumi, gli aromi, i sapori, fino a che la curiosità non mi ha spinto a fare il primo corso di degustazione. Da quel momento, mi si è aperto un mondo.
Ho iniziato a studiare: volevo apprendere com’è nata la birra, perché in alcuni luoghi ci so per conoscere la storia della birra, le motivazioni geografiche e sociali legate ai diversi stili, le caratteristiche dei diversi ingredienti. Ben presto sono passato allo step successivo e sono passato all’azione: dallo stare in poltrona con un libro in mano, mi sono ritrovato a cercare di raffreddare una pentola piena di mosto bollente in una vasca piena di ghiaccio (con la mia fidanzata che minacciava il divorzio, ancor prima di sposarla).
Da allora le mie due passioni, quella per il mondo craft e quella per l’homebrewing, sono cresciute, alimentandosi e rafforzandosi a vicenda. Continuo a studiare testi sulle tecniche di degustazione, libri sulle materie prime e tecniche per migliorare le birre che produco, rigorosamente, all-grain (non più in casa mia!). Tutto questo è arricchito dalla mia passione per i pub che adoro frequentare, scoprire e visitare non solo nella mia città, ma anche ogni volta che viaggio.