Numero 03/2022

17 Gennaio 2022

Birre a basso contenuto di alcol: i lieviti non-Saccharomyces potenzialmente utili!

Birre a basso contenuto di alcol: i lieviti non-Saccharomyces potenzialmente utili!

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I problemi sanitari e sociali legati al consumo di alcol fanno crescere da parte dei consumatori e degli imprenditori sempre più interesse verso le birre a moderato contenuto alcolico. Le birre analcoliche o light classicamente ottenute mediante sottrazione chimico-fisica di alcol o con l’impiego della fermentazione interrotta con l’uso di Saccharomyces, il genere a cui appartengono i classici lieviti lager ed ale, presentano dei limiti per l’impatto organolettico rilevante sul prodotto finito.

Recenti studi scientifici hanno, invece, dimostrato che la biodiversità naturale di lieviti non Saccharomyces, se opportunamente selezionata ed impiegata a livello tecnologico, può dare buoni risultati per l’ottenimento di queste bevande. Questi lieviti peraltro, hanno dimostrato spesso la capacità di ridurre la concentrazione di composti aromatici tipici del mosto, migliorando le qualità organolettiche rispetto alla birre a basso TAV ottenute con i più tradizionali metodi.

Tra questi lieviti, la specie Saccharomycodes ludwigii è da alcuni decenni commercializzata per questi impieghi. Si caratterizza, a seconda dei ceppi, per un’ottima resistenza ai tenori di solfiti, non fermenta o fermenta in modo estremamente ridotto il maltoso e altri polisaccaridi, ma impiega solo glucoso, saccaroso e fruttoso. Ne esistono in commercio specifici ceppi selezionati per l’impiego nel contesto birra, come quelli a bassa produzione di acetato di etile, al fine di garantire una migliore finezza aromatica.

Anche Pichia kluyveri ha trovato alcune applicazioni commerciali nella produzione di birre alcol-free o a moderato contenuto di alcol. Grazie alla capacità di produrre enzimi in grado di idrolizzare composti del luppolo in sostanze volatili desiderabili anche in birre con TAV effettivo pari a 0.2-0.6%, la possibilità di sintetizzare composti tiolici con aromi tropicali di passion fruit e pompelmo, l’elevata velocità di fermentazione, comparabile a S. cerevisiae, risulta uno dei lieviti più interessanti e dalle elevate potenzialità per la produzione di birre a basso contenuto alcolico, seppur ancora non diffuso su larga scala.
Wickerhamomyces anomalus, nota a molti con la precedente classificazione di Pichia anomala, è una specie già impiegata nella fermentazione enologica per la produzione di composti aromatici peculiari. Si caratterizza, inoltre, per la buona capacità di contrasto verso i microrganismi contaminanti, che potrebbero prendere il sopravvento in fase di avvio della fermentazione. Si è dimostrato utile per le medesime caratteristiche per la produzione di tipologie di birre innovative, anche in co-fermentazione con altre specie, così come dimostrato anche nel contesto di sperimentazioni di microbirrifici italiani. Alcune sperimentazioni ne hanno dimostrato specificatamente  la sfruttabilità come unico lievito di fermentazione anche per la produzione di birre a moderato contenuto di alcol.

Un altro lievito indicato in bibliografia come utile per la produzione di birre a moderato tenore alcolico, grazie alla limitata capacità di attaccare il maltoso ed al buon profilo aromatico dei composti secondari prodotti è il Zygosaccharomyces rouxii. In tal caso, però i risultati sperimentali sono contrastanti e si può affermare che siano necessari ulteriori approfondimenti sperimentali rispetto alle performance tecnologiche di singoli ceppi, nonché delle condizioni edafiche del mezzo che hanno dimostrato avere un’influenza rilevante sulle caratteristiche del fermentato.

Altra specie promettente per questi scopi è Scheffersomyces shehatae, in quanto si è rilevata in grado di fermentare zuccheri sia pentosi, sia esosi, ma anche di consentire nelle adeguati condizioni di processo la produzione birre con tenori di alcol inferiori ad 1% v/v, ma allo stesso modo ricche di aroma, colore, profumi e prive dello svantaggioso aroma di mosto e gusto dolciastro.

Le modalità di impiego, come evidenziato, sono molte e spaziano dall’uso di singole specie in via esclusiva, al co-inoculo con altri ceppi di lieviti S. cerevisiae o non – Saccharomyces, alla definizione di protocolli di fermentazione scalare o rifermentazione. Un elemento a cui prestare attenzione è, inoltre, l’elevata potenzialità tecnologica insita nella biodiversità naturale, ancora oggi poco indagata a livello della ricerca, dalla quale è possibile cogliere grandi opportunità competitive per l’innovazione delle birre.

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!