Numero 12/2018

22 Marzo 2018

Dreher Trieste: la nascita di un mito – Parte Quarta

Dreher Trieste: la nascita di un mito – Parte Quarta

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Gli anni in cui la famiglia Luciani decise di rilevare dalle banche viennesi lo stabilimento Dreher di Trieste erano estremamente anni difficili e tribolati: l’Italia era in ritardo di circa mezzo secolo nel generale processo di industrializzazione dell’Europa e, semmai ce ne fosse stato bisogno, ancora più arretrata nel campo della produzione industriale di birra.

Era infatti quella della produzione della birra, una attività quasi totalmente estranea all’economia italiana tranne forse che  a pochi, pazzi pionieri.

La famiglia Luciani di Forno di Canale, un paesino minuscolo a pochi chilometri dalla Marmolada ribattezzato negli anni Canale di Agordo, si interessarono alla birra quasi per caso, grazie ai frequenti viaggi che la famiglia intraprese tra Trentino e nel Tirolo, dove la produzione di birra era una realtà florida da anni.

I Luciani, grazie ad un lavoro che a molti risultò folle, dopo l’avvio di una piccola fabbrica fatta con modestissime tecnologie che garantirono una produzione di 500 ettolitri, decisero di ingrandire quello che per molti fu un azzardo, cercarono un sito  da far diventare industriale vicino alle grandi vie di passaggio per provare a sfondare nel campo brassicolo.

Dopo qualche tempo trovarono in un paese nei pressi di Feltre, ai piedi del monte Avena, il posto ideale per far crescere la loro idea di produrre birra: fu così che nacque la fabbrica di Pedavena.

La storia della fabbrica bellunese, con gli alti e bassi dovuta all’estrema durezza dei tempi, seguì una costante crescita tanto che negli anni quaranta il gruppo riuscì ad acquisire delle vecchie fabbriche venete per ingrandire l’attività, tra le quali spiccavano quelle della Birra Vicenza, quella di Venezia di Primiero e Longarone e, infine, la triestina Dreher.

L’arrivo dei Luciani fu un vero e proprio toccasana per la fabbrica giuliana che, a causa dell’incuria e della svendita dei materiali più pregiati, era ridotta in uno stato di abbandono rovinoso. Non parve vero ai banchieri viennesi, quando l’ingegnere Mario  Luciani si offrì di rilevare l’azienda che fu ricostruita fin alle fondamenta.

Si ricominciò dalle cantine: venne rifatta la rete di distribuzione del freddo, quella del vapore e dell’acqua; furono installati nuovi compressori, un nuovo impianto termico e fu ampliato il sistema di imbottigliamento tanto da portare la sua efficienza a 7000 bottiglie l’ora. Acquistata ad ottobre del 1928, già a dicembre si poté riprendere il processo di produzione.

Il grande merito della nuova proprietà fu quello di mantenere in nome della fabbrica, nome legato alla città in maniera indissolubile da ormai tre generazioni a cui i triestini tenevano molto.

La fabbrica riuscì a superare crisi di livello inimmaginabile e una ulteriore guerra mondiale, riuscendo a produrre birra, ancora una volta, sotto i fischi delle bombe e sotto la minaccia costante di smantellamento a fini bellici o alle deportazioni germaniche.

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Solo dopo il 1954 la vita economica della città di Trieste poté ricominciare e con essa anche il lavoro della Dreher che decise di affrontare i nuovi anni della rinascita a muso duro. I risultati furono più che incoraggianti, tanto che la fabbrica riuscì a produrre e vendere 380.000 ettolitri di birra nel 1964.

Spinti dai buoni risultati che facevano ben sperare, iniziarono dei nuovi lavori di ammodernamento che interessarono ogni parte produttiva della fabbrica.

Furono apportate numerose migliori strutturali come l’ampliamento della sala cottura che fu adeguata per poter accogliere facilmente i nuovi modelli di impianto “Steinecker” completamente automatizzato. Vennero rifatte interamente le cantine, triplicando la capacità con l’introduzione di nuovi serbatoi da 700 ettolitri ciascuno che si univano a quelli in cemento da 300 ettolitri, portando così la capacità della cantina a 80.000 ettolitri. Venne raddoppiata la centrale termica da 25 tonnellate/ora di vapore e una centrale frigorifera di tutto rispetto che andava a braccetto con l’ammodernamento del nuovo reparto di imbottigliamento, pastorizzazione ed etichettatura da 70 mila bottiglie l’ora

Con l’ingresso della Dreher di Trieste nel gruppo Luciani, l’ingegner Mario divenne il capo dell’intero gruppo (Società Mobiliare Industriale Cisalpina) e ne fu il traino fino a quando morì, nel 1960, succeduto da Arturo Luciani, uomo dalle illuminate idee industriali, membro illustre del consiglio della European Brewery Convention di Rotterdam e figura di spicco nel mondo industriale italiano.

 

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Con la costruzione dello stabilimento di Massafra (TA) le potenzialità del gruppo crebbero aggiungendo alla produzione un cospicuo aumento di 300.000 ettolitri l’anno. Grazie ad una serie mirata di investimenti e al lavoro duro della famiglia Luciani, la birra Dreher fu per anni la birra più conosciuta, apprezzata e venduta d’Italia

La fase di declino della fabbrica triestina iniziò proprio in concomitanza con l’apertura del nuovo polo industriale tarantino.

Dopo una lunga agonia in cui il gioco politico si mischiò con le politiche societarie e sul quale furono spesi fiumi di inchiostro sulla stampa cittadina e non solo, nel 1976 la Dreher di Trieste viene chiusa, e con essa la sua lunga, tribolata e gloriosa storia.

Dal 1974 il gruppo entrò sotto l’egida del gruppo multinazionale Heineken, e gestito dagli uffici milanesi della sezione italiana.

Chiude così un mito che resistette a guerre e a crisi finanziarie incredibili, riuscendo sempre ad eccellere per qualità del prodotto e per il forte legame che si instaurò tra la fabbrica e la città nel corso degli anni.

 

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Daniele Peluso
Info autore

Daniele Peluso

Nato a Trieste quarant’anni fa, sono un fermo sostenitore del Metal Estremo, un amante della Birra a cui mi sono avvicinato fin da ragazzo grazie a corpose bevute, e un fervente amante dell’arte fotografica che svolgo con ogni tipo di attrezzatura, dal digitale all’istantanea passando per la stenoscopia.