25 Maggio 2015

DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: tredicesimo capitolo

DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: tredicesimo capitolo

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L’aria frizzante della notte di Djeka era un toccasana per chi aveva faticato tutto il giorno sotto al sole ardente d’Egitto.

Ma Doki e Meryt-Ra non avevano il tempo per godere di quella frescura.

Erano sgattaiolati fuori dal palazzo dove alloggiava il Faraone e la sua corte per seguire i due Visir.

I due alti notabili non avevano mai fatto trasparire reciproco rispetto, men che meno affinità.

Eppure, quella notte, i due sembravano così…

Complici…

Doki non si fidava di Am-nefer, il Re sconfitto dal Faraone e l’ultimo sgarro che il sovrano decaduto aveva perpetrato nei suoi confronti lo aveva convinto che la bieca viltà albergasse nel cuore di quell’uomo.

Seguire quel doppiogiochista, sperando di poterlo cogliere in fallo, era un’occasione troppo ghiotta per lasciarla sfumare.

Se solo avesse scoperto qualcosa, qualunque cosa…

Sperava di riuscire a trovare qualcosa che potesse rendere Am-nefer innoquo nei sui confronti.

Quella, forse, era l’unica possibilità per slegarsi dal giogo del ricatto in cui erano precipitati lui e la sua bella principessa.

I due amanti si tenevano a distanza e seguivano furtivamente i Visir.

«Stai giù!» sussurrò Doki alla sua bella.

Si nascosero dietro ad un cesto di vimini alto circa un metro.

Fecero appena in tempo, il Visir dell’Alto Egitto si stava voltando per capire se era seguito oppure no.

Per un attimo, Doki, credette di essere stato scoperto.

Trattenne il respiro quasi in modo inconscio come se, a distanza di almeno quindici metri, i due uomini potessero percepire i suoni provenienti dai suoi polmoni.

Per alcuni secondi si interruppe il contatto visivo.

Attesero, i due amanti, sperando di non veder sbucare da sopra al canestro intrecciato i volti arcigni dei vecchi nobili.

Quei due uomini non avevano un modo di fare normale… il loro era un comportamento estremamente guardingo… e sospetto.

Lentamente, quasi impercettibilmente, Doki sollevò il capo fino agli occhi.

I due uomini avevano ripreso a camminare, sicuri di non essere seguiti.

Il giovane trasse un profondo sorriso di sollievo.

Erano restati celati.

L’inseguimento proseguì ed in lontananza le voci dei due ricchi compari erano a malapena percepibili.

Doki non riusciva a capire che cosa si stessero dicendo.

Sperava che il loro girovagare nella notte li conducesse a qualche cosa, un incontro clandestino, una riunione di una setta bandita… qualunque cosa!

I quattro camminarono nell’oscurità per circa un’ora.

Giunsero, infine, alle mura di pietra che delimitavano il quartiere sud-ovest della città.

Dinnanzi ai due giovani una casupola, di cui i padroni non sembravano essere all’interno; si acquattarono al muro di essa.

I due Visir si appoggiarono alla spessa barriera difensiva, in un punto cieco tra una postazione di vedetta e quella successiva.

«Che cosa staranno facendo?» chiese sottovoce Meryt-Ra.

«Non lo so…» Rispose Doki, «forse stanno aspettando qualuno».

«Qui?»

«Se due amici vogliono trascorrere una serata insieme, vanno in una locanda a gustarsi un succo di carruba e a mangiare della carne… non si isolano in un luogo dimenticato dagli Dèi…»

«Forse hai ragione tu… non lo so…»

«Come? Non hai mai…»

«Sono una principessa, Doki. Non ho mai avuto amici. La mia sicurezza, sai…» lei sembrava imbarazzata nel rivelare ciò a Doki.

Il ragazzo si sentì veramente stupido per aver rivolto alla bella una domanda del genere.

Era talmente in sintonia con la sua amata che spesso dimenticava il lignaggio di lei.

Non poteva certamente comportarsi come un plebeo…

Come…

Come lui.

«Scusami, amore… a volte dimentico che tu non hai… che tu non sei… come me…»

A quel punto fu lei a sentirsi colta in fallo; aveva ricordato a Doki, senza volerlo, che la loro unione era clandestina poiché lui era un semplice agricoltore fortunato.

La ragazza doveva correre ai ripari; non era il momento per far sentire inadeguato Doki.

«Quando tutto questo sarà finito, potresti portarmi in una taverna? Ho delle esperienze da vivere… e se ti va, potresti farmi da mentore».

Sorrisero.

Quella piccola distrazione fu interrotta dall’avvento di un terzo soggetto.

«Doki, guarda! È arrivato qualcuno» sussurrò lei, indicando con un cenno del capo quello che sarebbe presto diventato un terzetto.

L’avventore era celato da una cappa in cotone calata sulla testa e la penombra notturna completava l’opera di mimetizzazione.

I tre si salutarono ed infine, l’ultimo arrivato levò il cappuccio.

Doki ebbe un sussulto.

Dapprima sgranò gli occhi ed in seguito li strizzò per meglio mettere a fuoco il volto di quel terzo individuo.

Forse…

Sì, non aveva dubbi!

Sembrava…

Doki si voltò verso Meryt-Ra:

«Hai visto chi è arrivato?»

«Non lo conosco. Tu sì?»

«Io sì».

«Chi è?»

«Non lo conosco di persona, l’ho notato la prima volta quando…»

Doki non avrebbe voluto ricordare a Meryt-Ra l’eccesso di gelosia che aveva provato durante la cerimonia nella piazza di Bubastis, ma doveva farlo.

«Quando?»

«Nella piazza di Bubastis, dopo la cerimonia».

«Hai avuto il tempo di osservare chi ti stava intorno, oltre alle belle fanciulle?» lo sguardo severo di lei; Meryt-Ra sembrava aver dimenticato la situazione in cui si trovavano.

Stava per cedere alla gelosia.

«Amore, non è il momento» lui la afferrò per le spalle.

«Hai ragione, scusa. Dicevi?»

«L’ho visto nella piazza ed i nostri cari amici si sono intrattenuti con lui già allora. Ed ora… è qui».

«A cosa stai pensando?»

«Aspetta qui».

«Che hai intenzione di fare?»

«Voglio avvicinarmi. Devo sentire che cosa si dicono».

Senza attendere risposta, il giovane costeggiò il perimetro della casa dietro alla quale si stavano nascondendo.

«Doki! Doki! Non farlo!» l’implorazione di lei, sussurrata, si perse nella notte senza giungere all’orecchio cui era destinata.

Il ragazzo si mosse silenzioso e  furtivo come un gatto.

Meryt-Ra non poteva certo stare a guardare mentre il suo uomo  rischiava la vita.

Lo seguì.

Doki cominciava a distinguere le diverse voci.

Ma non capiva ancora le parole, le frasi.

Doveva avicinarsi ancora di più.

Almeno altri tre o quattro passi.

A fianco al muro, a distanza di un passo da esso, c’era un carro di legno.

Il generale si sdraiò nel cassone di esso; fortunatamente il carro a due ruote era semi-ribaltato dal lato della casa a cui il giovane era appoggiato.

Da lì, le parole furono più nitide.

Meryt-Ra lo raggiunse; i due tesero le orecchie:

«Aniir, è tutto pronto?» chiese Am-nefer al losco individuo.

«Sì, ma il piano è perioloso…»

«Ci stai ripensando?» chiese Abdul, il Visir del Faraone.

«No, certo che no… solo che»

«Avanti, Aniir, che cosa vuoi?»

«Il mio prezzo è cambiato. Voglio aumentare la percentuale di trattenute sulle tasse».

«Ascolta, già ti abbiamo concesso il dominio di Men-nefer ed una percentuale del 20% dei tributi in cereali, latticini e carni. Non ti sembra un compenso più che ragionevole per un omicidio?»

«Non dovrò assassinare una persona qualsiasi… »

«Ed è per questo che il compenso è una città! Per gli Dèi, io ed Am-nefer ci divideremo il regno com’era prima della sconfitta decisiva del mio socio. In cambio di un piccolo favore ti concediamo una città intera sita nel mezzo di due regni che ti proteggeranno da qualunque invasore! Non ti sembra abbastanza?»

«L’assassinio del Faraone non è quello che definirei esattamente “un piccolo favore”!»

Doki era impassibile.

Meryt-Ra emise un suono.

Acuto.

Di terrore.

Rumoroso.

D’istinto la bella si portò le mani alla bocca, per soffocare quel gemito.

Troppo tardi.

I tre avevano sentito.

Fu un attimo, un battito di ciglia.

Doki fu immobilizzato da quell’uomo mal rasato e notevolmente stempiato, Meryt-Ra sentì il peso della mano di Abdul sull’esile gola.

«Chi abbiamo qui?» chiese con voce sarcastica e sadica Am-nefer,«Oh, la mia spina nel fianco! È un piacere vederti qui, mio giovane Doki! E qui chi c’è? Ahhhh, sì! La sua regale sgualdrina!»

«Lasciatemi!» urlò Doki, «Non vi permetterò di…»

«Non sei nella posizione di minacciare, generale dei contadini! Anzi, in vero, non sei nella posizione di far nulla. Hai interferito nelle mie faccende una volta di troppo, straccione!»

Meryt-Ra era riuscita a spostare leggermente la mano del Visir:

«Mio padre si fidava di te! Come hai potuto?»

«Il potere, bimba mia. Il potere».

«Sei solo un lurido…»

«Taci, principessa. La tua ora non è ancora giunta, ma non vorrei dover forzare gli eventi!» intimò Abdul.

Am-nefer raccolse un rastrello di legno da terra, vicino alla casupola.

Il Re decaduto si rivolse a Doki:

«Per te, piccolo straccione, ho una bella sorpresa. Buon riposo!»

Il manico dell’attrezzo venne precipitato sulla fronte del giovane.

Tutto divenne buio.

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.