Numero 50/2023

12 Dicembre 2023

Asahi: ripuntare alla Cina e non solo

Asahi: ripuntare alla Cina e non solo

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Nel 2022 ha registrato un fatturato di circa 20 miliardi di dollari. Oltre confine possiede dalla ceca Kozel all’ungherese Dreher fino all’italiana Peroni. E ora intende rientrare nel mercato cinese dopo l’uscita del 2017. Mentre procede spedita la partnership con il Manchester City. Le sfide del primo produttore di bionda nipponico.

È impossibile non riconoscerlo. Il quartier generale di Asahi Breweries, il più grande produttore di birra e bibite del Giappone, risalta nel piatto skyline di Sumida, quartiere nord-orientale di Tokyo, grazie a una forma a dir poco singolare. Un palazzone dorato di 22 piani sormontato da un rooftop a vetri che ricorda un boccale con tanto di schiuma, denominato Asahi Super Dry Building, affiancato da un edificio nero più piccolo, sopra il quale si staglia la Asahi Flame, la fiamma dorata simbolo del marchio. Asahi è un gigante che nel 2022 ha registrato un fatturato di circa 20 miliardi di dollari, 1,4 miliardi di profitti e asset per un valore complessivo di 39,5 miliardi. Con nel portafoglio acquisizioni sparse in tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda al Regno Unito, dall’Olanda all’Italia.

Asahi, colosso da 30 mila dipendenti, controlla il 37 per cento del mercato nazionale della birra, davanti a Kirin Beer (34 per cento) e Suntory (16 per cento). La multinazionale è però ben radicata anche oltre confine. Il gruppo, ad esempio, possiede Pilsner Urquell e Kozel nella Repubblica Ceca, Lech e Tyskie in Polonia, Ursus e Timisoreana in Romania, e pure la Peroni in Italia (acquisita a fine 2016). E ancora: il gruppo Foster’s in Australia, l’olandese Grolsch, l’ungherese Dreher, oltre a tante altre bevande analcoliche, come la neozelandese Charlie’s e le divisioni acqua e succhi dell’azienda australiana P&N Beverages. Nonostante questo Asahi e il Ceo Atsushi Katsuki puntano a nuovi traguardi. A partire dal consolidamento dei risultati in patria, dove la produzione della birra di punta, l’Asahi Super Dry, è stata rinnovata per la prima volta dal suo lancio nel 1987.

Nei primi nove mesi del 2023, Asahi ha registrato una promettente crescita dei ricavi su base annua del 6,1 per cento, pari a 13,3 miliardi di dollari, nonché un aumento dell’utile operativo dell’8,6 per cento (1,32 miliardi di dollari). Il gruppo ha inoltre totalizzato un’impennata dei volumi di vendita (+37 per cento su base annua) per lo più grazie ai risultati conseguiti in Asia, Europa e Oceania. «Continueremo ad accelerare la crescita del marchio attraverso partnership sportive e altre iniziative su scala globale», ha spiegato Katsuki. Il gruppo nipponico ha inoltre in programma di rientrare in Cina dalla porta principale, nel tentativo di rilanciare gli investimenti nel più grande mercato della birra del mondo. Ormai da qualche anno, l’azienda si era infatti smarcata dal Dragone a causa della mancanza di prodotti premium oltre la Muraglia e dei prezzi molto bassi offerti da un mercato in passato poco o niente conveniente. È anche per questa ragione che, nel 2017, Asahi ha venduto al gruppo cinese Fosun la sua partecipazione, pari a quasi il 20 per cento, nella fabbrica di birra locale Tsingtao. Ora la situazione è ben diversa, e Asahi intende tornare alla carica.

 

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