Numero 09/2017

3 Marzo 2017

Birrificio Pejo: eccellenza artigiana del Parco dello Stelvio

Birrificio Pejo: eccellenza artigiana del Parco dello Stelvio

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A Cogolo di Peio, in un incantevole paesaggio all’interno del Parco dello Stelvio e ai piedi della fonte dell’omonima acqua, si trova il giovane Birrificio Artigianale Pejo, figlio della passione e della creatività del proprietario – e birraio – Marco Framba, che il mondo brassicolo ha “rubato” a quello del vino.

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Marco, a dispetto dei tuoi studi tecnici in ambito enologico, ci troviamo oggi a fare 2 chiacchiere sul tuo birrificio; quando è avvenuto questo avvicinamento alla birra e quale percorso ti ha permesso di integrare i tuoi studi per formarti come birraio?

 

L’interesse per la birra è nato durante il periodo degli studi e, già all’epoca, mi divertivo a coltivarlo realizzando piccole produzioni domestiche; d’altronde, è molto più semplice produrre in piccolo birra piuttosto che vino! Il completamento degli studi mi ha portato, successivamente, ad approfondire il tema enologico in giro per il mondo, obbligandomi a lasciare un po’ in disparte le sperimentazioni birrarie, che potevo rispolverare solo in occasione dei periodici ritorni a casa. Una volta rientrato definitivamente in Val di Pejo, però, ho deciso con la mia famiglia di rendere più concreto quell’interesse, dando vita al progetto del birrificio ed ho, quindi, cominciato ad affinare le prime ricette, aiutato anche dall’ottima acqua locale. Inoltre, ho avuto la possibilità di avvalermi dell’aiuto di un paio di birrifici: il Birrificio di Fiemme, dove ho avuto modo di conoscere meglio la produzione “in grande” su impianti professionali, ed il Birrificio Camuno, in Val Camonica, presso il quale ho avuto anche la possibilità di realizzare le prime cotte, mentre attendevo la consegna del mio impianto. Comunque, ho innegabilmente tratto grande beneficio dalle nozioni chimiche apprese durante gli studi.

 

 

Nell’home page del sito del birrificio campeggia la frase “Peccato non fare Birra con quest’Acqua”; quali sono i principali benefici che trai dall’acqua locale per le tue produzioni? Puoi parlarci, inoltre, di come avviene la selezione delle altre materie prime?

L’acqua che utilizzo per la produzione è un’acqua molto leggera, con pochi sali minerali e bassissimi livelli di calcare, un valore aggiunto che mi permette di produrre birre altrettanto leggere e di grande freschezza;solo per la produzione della “Aqvila” mi trovo costretto ad apportare delle correzioni, “arricchendola” un po’. Per quanto riguarda le altre materie prime, acquisto parte dei malti dal Belgio e parte dal sud Italia, ma sto facendo qualche prova di autoproduzione di orzo, per il momento con un piccolo appezzamento di ca. 50 mq; per il successivo processo di maltazione, sto seguendo gli sviluppi di un progetto dell’Istituto San Michele, che sta provando a realizzare un maltificio per piccole produzioni. Relativamente ai luppoli ho iniziato, da qualche tempo, ad acquistarne alcuni coltivati in Val di Non e,avendoavuto modo di osservare che la produzione locale si sta sviluppando positivamente, ho iniziato qualche sperimentazione anch’io; a fronte della possibilità di pellettizzare il prodotto, formato che preferisco ed utilizzo abitualmente,credo che passerei all’utilizzo predominante di luppolo autoctono.

 

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L’attuale gamma di prodotti “4 stagioni” è composta dalla “Pejo” e dalla “Lynx”- rispettivamente, una golden ale ed una italian pale ale – dalla “Aqvila” – una belgian dark strong ale – e dalla neonata “Goji”. Quest’ultima è, probabilmente, la birra più legata al territorio locale, per via dell’utilizzo dell’omonima bacca, coltivata in valle; oltre ad essere curiosi di conoscerne storia e dettagli, ci piacerebbe anche sapere se hai già in programma altre produzioni con ingredienti “a km 0”…

L’idea della “Goji” è nata dal desiderio di un mio amico di utilizzare la sua produzione di bacche in maniera differente dalla classica essicazione; questa produzione si trova a Celledizzo, un’altra frazione del comune di Peio confinante con Cogolo, è stata avviata da circa un paio d’anni e sta dando risultati soddisfacenti, grazie anche alla resistenza della bacca. Il risultato di questo connubio è stato una birra leggera da 3,5° alcolici che, nelle nostre intenzioni, vuole seguire la filosofia del goji, notoriamente apprezzato per la sua naturalezza e la sua ricchezza di principi nutritivi. Per quanto riguarda future produzioni a km 0, sto pensando all’utilizzo di altri frutti, nello specifico lamponi e ribes, ma è una ricetta ancora in cantiere…

 

 

A differenza di altri birrifici, composti da due o più soci che si dividono il lavoro fra produzione, distribuzione, etc., la tua attività ti vede impegnato in prima persona su tutti i fronti; ci racconti come sei organizzato dal punto di vista commerciale e distributivo?

Innanzitutto, posso fortunatamente contare sull’aiuto della mia famiglia. Nei limiti del possibile, cerco comunque di seguire personalmente la distribuzione regionale dei prodotti e questo, solitamente, occupa uno o due giorni di ogni settimana, che diventano di più nel periodo estivo; dal punto di vista commerciale, oltre alle attività tradizionali e alle fiere,sfruttiamo il nostro punto vendita al dettaglio, seguito da mia moglie durante l’alta stagione, presso il quale ci capita di ricevere sia alcuni ristoratori della zona sia, soprattutto, i turisti – ai quali diamo anche la possibilità di visitare il birrificio.

 

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Per concludere, vorremmo conoscere il tuo punto di vista in merito al movimento birrario trentino; pensi che continueremo a vedere nuove aperture di birrifici allo stesso ritmo di questi ultimi anni? Immagini uno scenario di sviluppo più a carattere locale, nazionale o, come già accaduto a qualcuno, internazionale? E, considerando la giovane età della tua attività (il birrificio ha aperto nel 2015), come vedi il tuo birrificio “da grande”?

Per quanto riguarda gli scenari locali, credo che ci sarà un rallentamento fisiologico delle aperture, in virtù sia del boom che si è verificato negli ultimi anni, sia della progressiva saturazione del territorio; non escludo, tuttavia, la nascita di qualche altra beerfirm, in considerazione della necessità di un investimento iniziale modesto e di costi fissi non elevati, o l’evoluzione di qualche beerfirm già esistente a birrificio. Commercialmente considero molto importante creare radici solide in primis nel territorio locale e, in cascata, in quello regionale e nazionale. Il mercato estero è sicuramente un’opportunità interessante, a patto che possa essere sviluppato con buoni partners; penso, ad esempio, al Birrificio Rethia che ha recentemente effettuato una massiccia spedizione di alcuni suoi prodotti in Giappone grazie ad un’azienda locale che ne curerà la distribuzione.Trovo invece meno praticabile la strada del commercio con i singoli locali esteri, principalmente perché non reputo conveniente il rapporto fra tornaconto economico e necessari adempimenti burocratici.In generale, penso che il mercato abbia ancora molto spazio per la birra artigianale, trovandosi esso ancora principalmente in mano alle produzioni industriali; per un birrificio artigianale, inoltre, uno “zero virgola” di quota di mercato rosicato all’industria può rappresentare un raddoppio della propria produzione. Infine, guardando in casa, penso che Pejo “da grande” avrà bisogno, innanzitutto, di ampliare gli spazi cantina per aumentare il numero di fermentatori; al momento la struttura è composta da un impianto per la cotta da 1.000 litri e da 4 fermentatori da altrettanti litri, che coprono la produzione mensile. Purtroppo l’altezza dei locali in cui ho aperto mi ha vincolato all’acquisto di questi formati, perché, se avessi potuto, avrei optato per uno o anche due fermentatori da 2.000 litri; sfortunatamente Cogolo, mio paese natio nel quale volevo a tutti i costi aprire il birrificio, non offriva valide alternative e sono quindi dovuto scendere a compromessi. Una volta sistemati gli spazi, poi, non escludo di ricongiungermi con il mondo del vino, cominciando qualche sperimentazione con le botti; mi interesserebbe, ad esempio, provare la “Aqvila” in barrique, idealmente di una grappa locale, perché penso che potrebbe aumentare ulteriormente le sue note calde.

 

Per maggiori informazioni sul Birrificio Artigianale Pejo: www.birrapejo.it.

 

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Davide Savorgnani
Info autore

Davide Savorgnani

Milanese di nascita, classe 1975, vengo adottato a 40 anni dalla città di Trento.

Parallelamente agli studi, prima, e, successivamente, alle attività lavorative di carattere commerciale che si susseguono negli anni, coltivo un profondo rapporto sentimentale con la birra; galeotto è l’assaggio di una bottiglia di Chimay tappo blu che, durante un tranquillo pranzo domenicale in età adolescenziale, mi apre le porte di questo meraviglioso universo. La miccia, ormai accesa, porta all’esplosione di una passione totale nei primi anni 2000, quando vengo portato per la prima volta in “Pazzeria”, una birreria di Milano che cambierà definitivamente la mia vita birraria e che diventerà la mia seconda casa; è qui, infatti, che entro in contatto per la prima volta con l’universo craft e che si sviluppa la mia curiosità di conoscere più a fondo quello che amo bere.

Partecipo, così, a decine di degustazioni guidate, a presentazioni di nuovi birrifici e ad altri eventi birrari, consumo libri tematici, organizzo il mio primo (e, purtroppo, per ora ancora unico) tour birrario all’estero – nello specifico in Vallonia – e frequento, in primis, il corso “5° livello cervoisier – Lagermeister” con il compianto Franco Re presso la sua “Università della Birra” (superando con il massimo dei voti l’esame finale per poter accedere al corso successivo) e, successivamente, il “Corso di specializzazione per publican” con Stefano Baladda e Silvana Giordano – docenti accreditati dalla Regione Lombardia – presso UniBirra.

Questa serie di esperienze mi portano ad accantonare la mia predilezione iniziale per un numero limitato di stili, tendenzialmente di estrazione belga, ed estendono i miei orizzonti anche a quelli “meno facili” dei quali, inevitabilmente, mi innamoro. E’ grazie a questa evoluzione che, oggi, a chi mi chiede quale sia la mia birra preferita, ho oggettivamente difficoltà a rispondere…

Slàinte! (dal gaelico “Alla salute!”)