Numero 45/2020

5 Novembre 2020

Dove il mare luccica

Dove il mare luccica

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Esistono luoghi sorprendenti nei quali la bellezza più struggente convive, in una sorta di apparentemente normalità, con i segni inequivocabili della decadenza. L’Italia, in particolare il Meridione, è pieno di luoghi del genere. Ma esistono anche luoghi, altrimenti non definibili se non “magici”, dove perfino la decadenza ha radici così profondamente piantate dentro la bellezza da apparire capace di evocare un passato glorioso e fulgido. La Campania è senz’altro terra di contraddizioni, ma anche è un luogo di eleganza ed armonia. Non mi attarderò di sicuro a fare l’apologia di Sorrento. Non ve n’è proprio alcun bisogno, visto che si tratta semplicemente di uno dei luoghi più belli del mondo. Certo chi passasse da queste parti avrebbe solo l’imbarazzo della scelta se decidesse di incontrare la bellezza… o la bontà. Questa è terra di agricoltura eroica. Su esigui terrazzi faticosamente strappati ai versanti, si coltiva ogni ben di Dio, dai celeberrimi limoni alla vite, fino agli ortaggi resi sorprendentemente sapidi dall’aerosol marino.

 

 

È proprio in questo delizioso contesto che Giuseppe Schisano e Francesco Galano, sorrentini purosangue, hanno deciso di aprire il Birrificio Sorrento. Francesco, classe 1971, è il responsabile commerciale del birrificio. Giuseppe, classe 1973, è invece responsabile di produzione e qualità. Una corposa laurea in scienze economiche e bancarie, poi alcuni prestigiosi incarichi tra Milano e Padova presso altrettante multinazionali impegnate nel campo dell’informatica applicata alla gestione dei pacchetti azionari di vari istituti di credito. Per molti un lavoro del genere sarebbe un punto d’arrivo e di somma gratificazione. Ma per Giuseppe non è stato così, perché, esaurito l’entusiasmo iniziale, non voleva essere solo un numero. Un paio d’anni con aziende di vini e limoncello, poi fiscalista per 13 anni (la metà dei quali condivisi con l’avventura del Birrificio Sorrento) fino al liberatorio 2016, quando riesce finalmente a dedicarsi a tempo pieno alla produzione di birra artigianale, contribuendo a fare del Birrificio Sorrento una delle realtà oggi più accreditate nel panorama brassicolo nazionale. Un primo impianto, ancora in uso ininterrottamente dal 2013, e poi un secondo nuovo impianto, con tanto di sala degustazione, pensato per consentire al visitatore un percorso gustativo tra le birre brassate nel birrificio, accompagnate da una selezione di prodotti tipici della Penisola Sorrentina.

È con l’avvicinamento alla produzione che riemergono, mai dimenticate, le preziose nozioni di biologia, chimica e fisica acquisite durante le secondarie superiori. Prima del grande salto, nel 2008, un corso sull’Imprenditoria della Birra di Unionbirrai e poi numerosi corsi di perfezionamento e aggiornamento. Nel 2014 ad Angri un corso di Degustazione (UBT) di Unionbirrai, nel 2015 a Bari un interessantissimo corso sui lieviti e nel 2017 a Roma un corso sull’acqua. Importanti le esperienze sul campo dal 2009 al 2013, quando “Sorrento” era ancora un beerfirm, costringendolo ad adattare ricette e produzione ai più diversi impianti. Una utilissima palestra, che è andata ad aggiungersi al lunghissimo training da homebrewer. Un impianto autocostruito e tecnica all-grain, quando gli all-in-one neanche esistevano. Preso in prestito il fornellone della nonna destinato alla preparazione della conserva di pomodoro, e la macchinetta a manovella per stendere la sfoglia della zia, si è procurato un paio di pentoloni, una serpentina di raffreddamento realizzata avvolgendo un tubo di rame su una pentola, prima di passare ad un più efficiente scambiatore a piastre. Poi la camera di rifermentazione homemade, un vecchio bancone frigo con termostato che mantenesse la temperatura attorno ai 20°C d’estate, e cavetti riscaldanti dei rettilari per l’inverno. Con immutato orgoglio, oggi questi strumenti vengono mostrati durante i corsi per homebrewer che il birrificio organizza a beneficio di quanti vogliano imparare l’autoproduzione domestica della birra.

 

 

Giuseppe, grazie per la tua disponibilità. Cominciamo dall’inizio. Qual è stato il tuo percorso di avvicinamento alla birra artigianale come consumatore?
Grazie a te per l’invito. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 facevo parte di una combriccola di amici che amava passare le serate nei pub. All’epoca ricercavamo birre inglesi e tedesche “originali”, ed io ero anche un accanito collezionista di sottobicchieri con cui tappezzavo la mia stanza. Era inevitabile stringere amicizia con i gestori, i quali, in cambio della nostra curiosità, ogni tanto ci procuravano qualche chicca. Alla fine anni Novanta finalmente arrivarono le birre artigianali italiane. Ricordo una Tipopils di Birrificio Italiano bevuta a Milano con i colleghi dell’epoca, loro parlavano e io, estraniato, pensavo a quanto fosse buona quella birra. Nel 2006 durante un concorso per homebrewer a Gragnano ci portarono una Noel di Baladin su un tiramisù. Da allora non mi sono più fermato. Ho cominciato a girare molto sia in Italia che all’estero per festival, pub e birrifici. Sono un birraio, ma resto volentieri anche un consumatore. Quando vado in un locale cerco sempre di bere le birre degli altri, credo che aiuti a crescere.

La Guida alle Birre d’Italia 2021 di Slow Food, ha riconosciuto la prestigiosa chiocciola al vostro birrificio. Un riconoscimento che si va ad aggiungere agli altri importanti successi di un birrificio di lungo corso come il vostro. Ci si abitua ad essere premiati?
No, non ci si abitua ed è giusto che sia così. Ogni volta è una gran bella emozione, dà morale ma non bisogna mai perdere la propria strada. Io cerco di migliorare le mie birre per offrire ai clienti quanto di meglio riesco a fare. Punto ad avere il loro apprezzamento. Il premio più bello è il cliente nuovo che vuole i tuoi prodotti perché ha sentito parlare bene di te e dopo il primo ordine ne fa altri.

 

 

Qual è il segreto del successo del Birrificio Sorrento?
Noi abbiamo puntato sempre su quello che ci piaceva e su quello che ci emozionava. Se fai ciò che non ti piace il gioco non riesce, diventa solo un esercizio di tecnica senza anima. Noi amiamo il nostro territorio e cerchiamo di portarlo in tutte le sue sfaccettature nel bicchiere. Ci piacciono le birre facili da bere, ma che siano riconoscibili ed abbiano personalità. Queste sono le basi da cui siamo partiti, che poi abbiamo sviluppato e con grande sacrificio abbiamo sempre portato avanti. Fare birre semplici non è facile. Spesso faccio riferimento agli spaghetti al pomodoro e alla pasta al tartufo. È molto più difficile fare uno spaghetto al pomodoro memorabile, che si ricordi, che non una pasta al tartufo dove basta grattare scaglie dell’ottimo tubero. Le mie birre poi, escono dagli schemi, ossia dagli stili. Cerco sempre di realizzare la birra che ho in testa e magari parto da uno stile di riferimento che ha delle caratteristiche che io desidero, ma poi prendo la mia strada. Ho sempre pensato che produrre barolo in Campania avrebbe poco senso e per questo non cerco di replicare le birre che producono da centinaia di anni in Germania, Belgio o in altri paesi e non amo fare birre alla moda. Credo che venga riconosciuto al Birrificio Sorrento il legame strettissimo con il territorio, l’unicità delle birre e il fatto che probabilmente sono in grado di emozionare.

Quali difficoltà si incontrano, a tuo parere, nel praticare il brassaggio professionale in Campania, o nel sud d’Italia in generale, rispetto ad altre regioni più ricche e meglio organizzate?
Parlo per la mia realtà a Sorrento. La prima difficoltà che abbiamo incontrato è stata trovare locali adatti a questo tipo di attività. Viviamo su un territorio bellissimo ma molto piccolo, dove tutto o quasi viene destinato all’attività turistica. A questo bisogna aggiungere l’elevato costo degli affitti, o peggio, degli acquisti di immobili. Fortunatamente, siamo riusciti a trovare locali che ci hanno permesso un’organizzazione del lavoro adeguata. Probabilmente, però, la difficoltà maggiore è la mancanza di un distretto industriale che ti permetta di usufruire facilmente e velocemente di attività collegate come rifornirsi di pezzi di ricambio, materie prime e quant’altro serva alla nostra attività. Si potrebbe ovviare al distretto industriale con cooperazioni tra aziende e consorzi ma c’è scarsa attitudine a questo tipo di cose. La mancanza di ciò si riflette anche sui costi di trasporto, una voce che cerchiamo sempre di tenere sotto controllo. Dove invece non c’è soluzione è sugli eccessivi vincoli burocratici: si dovrebbe dar vita ad un’impresa in un giorno, ma in realtà ci impieghi un anno. A questo punto la domanda sorgerebbe spontanea: ma chi te lo fa fare? In realtà, la domanda verte sulle difficoltà, tuttavia lavorare sul nostro territorio comporta anche vantaggi: turismo internazionale, tanta ristorazione di livello medio-alto e riconoscibilità. Come in tutte le cose bisogna adoperarsi per mettere a frutto i punti di forza, cercando soluzioni per quelli di debolezza. Del resto come diceva Enrico Piaggio “Un imprenditore imprende, se non imprende che imprenditore è?”.

 

 

Raccontaci la vostra produzione brassicola, le vostre birre più significative ed, ovviamente, la Syrentum con le bucce fresche di Limoni di Sorrento IGP.
Il Birrificio Sorrento è nato grazie alla Syrentum e si è confermato ed è cresciuto grazie alle altre “sorelle”. Era il periodo dell’homebrewing e le birre piacevano. Le sottoponevamo ad amici e parenti, tra di loro c’erano anche ristoratori e sommelier. Quando fu il momento di ristrutturare il locale di produzione di proprietà della mia famiglia, fui “gentilmente” invitato a liberarlo dalle mie “cianfrusaglie”. Impacchettai tutto e traslocai a poche decine di metri in un locale sotto un limoneto sorrentino, sempre di mia proprietà. Durante una produzione, uscendo fuori a prendere una boccata d’aria, immerso dai limoni e dal loro profumo mi venne in mente di utilizzarne la buccia per farne la birra. Studiai una ricetta che chiamai Balumina. Tuttora, la Syrentum nei miei software di produzione è registrata con questo nome. Il nome nasceva dalla mia passione per la vela: la balumina è il lato trasversale di una vela che unisce l’angolo di drizza e l’angolo di scotta. In pratica era una ricetta trasversale tra una Saison e una Blanche. Fino a quel momento le birre ricevevano commenti positivi, nel momento in cui iniziai ad usare la buccia del limone iniziarono a sentirci difetti. La mia testardaggine mi spinse ad affrontare il problema anziché evitarlo. Volevo assolutamente utilizzare quell’ingrediente per cui iniziai a studiare le materie prime ed iniziai da quelle che ritenevo più importanti. Iniziai dal malto, per passare al luppolo e al lievito, ma nulla cambiò. Restava l’acqua e una volta studiato anche quella e risolto il problema, grazie alle competenze acquisite, migliorarono un po’ tutte le birre. Iniziarono gli incoraggiamenti ad aprire un birrificio, ma, per le difficoltà già menzionate, stavamo abbandonando l’idea. Nel 2007 al Villaggio della Birra a Buonconvento (Si) incontrammo la realtà belga De Ranke che all’epoca non aveva un proprio impianto ma produceva prendendo in fitto impianti di altri. Pensammo che poteva essere un modo per iniziare, sondando il mercato, senza accollarci investimenti importanti. Così nel 2009 producemmo la Syrentum su un impianto non nostro in provincia di Caserta. La Syrentum ebbe successo e ben presto ci chiesero un’altra referenza e io ripresi un’altra ricetta dalla mia precedente esperienza nell’homebrewing, la adattai un po’, e nacque la Minerva, che andava ad aggiungere una birra ambrata alla gamma. La Minerva nasce per essere abbinata ai piatti di carne: bistecca alla brace, salsiccia e broccoli e salumi. È una birra che lascia più spazio alle sensazioni maltate, ma poi termina con un amaro che è una commistione tra le tostature e l’amaro agrumato delle bucce delle arance di Sorrento. Per sue caratteristiche, amaro secco e agrumato con note rinfrescanti, la Syrentum si ritagliò il suo spazio sui piatti di pesce, la pizza fritta e fritture in genere e quindi serviva un’altra birra che andasse ad aggiungere qualcosa al ventaglio degli abbinamenti possibili. Queste esigenze nacquero perché fin da subito ci è venuto naturale rivolgerci ad una ristorazione di livello medio-alto. Siamo andati avanti a produrre Syrentum e Minerva senza avere un impianto fino al 2013. Gestire più di due referenze aspettando la disponibilità dell’impianto era improponibile, inoltre cominciava ad andarci un po’ stretto questo modo di produrre anche per la nostra filosofia territoriale. Decidemmo di fare uno sforzo in più e acquistammo un impianto usato che modificammo in base alle nostre esigenze e lo collocammo in un piccolo locale a Massa Lubrense nella frazione di Marciano. Poter produrre e seguire dall’inizio alla fine le nostre birre ci fece fare un grosso balzo in avanti e anche la creatività ne beneficiò. Nel 2014 nacquero ben tre birre: la Parthenope, la Ligia e l’Astrum. La Parthenope è una birra scura nel cui grist ci sono anche le noci di Sorrento. Nasce da una vecchia sperimentazione andata male ed abbandonata. La ripresi cercando di capire meglio cosa fosse andato storto ed arrivai alla conclusione che era l’ambiente, in cui era fermentata e maturata: era enormemente contaminato. Cercai di perfezionare la ricetta per tirar fuori una birra che potesse sfatare il falso mito birra scura uguale birra forte. La Parthenope è una birra scura di soli 4,7% ABV, facilissima da bere. Ha una trama abbastanza setosa grazie anche al contributo proteico delle noci. In birrificio generalmente la facciamo provare con della pancetta arrotolata, tipica delle nostre zone, su una fetta di pane alle noci, ma potrebbe essere abbinata anche ad un piatto di pesce affumicato. Per i tanti punti di contatto mi ha sempre affascinato il mondo del vino. Avevo bevuto già qualche birra fatta con la sapa, che mi avevano piacevolmente impressionato, e decisi di produrre anche io una birra che impiegasse mosto di vino. La mia idea di questa birra fin da subito fu quella che doveva esprimere la freschezza del mosto e quindi non volevo utilizzarlo in bollitura. Il prodotto finale doveva essere Birra. Come vitigni scelsi la Biancolella d’Ischia e la Falanghina dei Campi Flegrei, due vitigni freschi, estivi… e tipici. I loro profumi evocano facilmente quelli che si possono sentire passeggiando tra le nostre campagne. Il vino non doveva prevalere, per cui, pur volendo utilizzare mosto fresco senza alcun trattamento termico, bisognava cercare di evitare il più possibile la “contaminazione” di lieviti autoctoni del vino. Attualmente, faccio in modo di essere presente in cantina al momento della pressatura e prelevo il mosto fiore velocemente, mettendolo rapidamente in abbattitore. È così che nasce la Ligia, Italian Grape Ale con blend di mosto di Biancolella e Falanghina e l’Elèa con mosto di Aglianico di Taurasi. Un po’ diversa è la filosofia della Opis che io definisco Session Iga. Session è un termine che indica una birra facile da bere, defaticante, da dopo lavoro e generalmente poco alcolica. L’idea di una IGA da bere a secchi nel periodo estivo mi intrigava parecchio. Non più una birra che va ad assecondare la “forza” del mosto d’uva bensì “piegare” il mosto d’uva alla freschezza della birra. Per l’Opis il vitigno scelto è stato la Biancolella d’Ischia.

Le vostre produzioni sono rinomate per il sapiente ed equilibrato uso di materie prime locali. Limoni, arance, noci. Piante coltivate, quindi. A quando la produzione di qualche birra nel segno del foraging, ovvero con materie prime raccolte direttamente in natura?
Sicuramente è qualcosa che mi intriga tanto già da un po’. Il nostro territorio offre tantissimo da questo punto di vista, sia sulla parte montuosa, che lungo le coste. In realtà il foraging è qualcosa molto vicino al mio concetto di birre, dove c’è sempre una connessione con il territorio per l’utilizzo di ingredienti tipici, coltivati o prelevati direttamente in Natura il passo è breve. In passato mi sono divertito a sperimentare ingredienti particolari presi in natura come ad esempio le alghe marine. L’utilizzo di questo tipo di ingredienti è molto stimolante da un punto di vista produttivo e ci vuole tanto studio. Bisogna studiarne le caratteristiche, capire come utilizzarle, come valorizzarle al meglio e sperimentare veramente tanto. Fortunatamente, è sempre più disponibile anche una certa letteratura specifica in merito. La cosa, in realtà, mi interessa anche da un punto di vista culinario ossia cercare erbe, radici ed altro, che sia poi possibile cucinare e mangiare. E infine abbinarci una bella birra con la stessa filosofia. Progetti in merito ne ho e qualcosa uscirà quando sarò pienamente soddisfatto del risultato. Fare tanto per fare non fa parte del mio carattere.

Quali passaggi consiglieresti oggi, sulla base della tua lunga esperienza, ad un giovane appassionato del brassaggio, magari con qualche esperienza di homebrewing alle spalle, che intende iniziare la transizione verso un’attività di tipo professionale?
Oggi, il livello professionale si è molto alzato e senza l’opportuna preparazione non si fa molta strada. Bisogna avere le idee chiare su cosa si vuole produrre, come produrlo e a chi venderlo. Spesso vengono da me per avere una consulenza sull’acquisto di un impianto senza avere la minima idea di quante e quali birre produrranno, è come dire prepariamo la valigia senza sapere se andiamo al mare o in montagna e per quanti giorni. Scelte sbagliate creano danni irreparabili sul mercato che danneggiano tutto il mondo della birra artigianale. Oggi è necessaria una buona preparazione complessiva non solo da punto di vista produttivo, ma bisogna essere ferrati anche sugli aspetti commerciali e imprenditoriali. Partendo da queste esperienze ho deciso, in collaborazione con una scuola professionale di Napoli, di organizzare dei corsi Professionali per Addetti alla Produzione della Birra. I corsi partiranno in autunno e spazieranno dai processi di produzione alle nozioni di imprenditoria della birra, passando per gli adempimenti di sicurezza del lavoro, HACCP e igiene del lavoro. Un corso, insomma, a tutto tondo sul nostro mondo, e con un utile riconoscimento regionale. Credo che oggi il mercato non consenta più “il grande salto” avendo alle spalle solo l’esperienza da homebrewer.

 

Il tuo territorio esprime anche grandi vini. Come vivi questo eterno dualismo vino-birra?
Parlerei di birra all’infinito, un mondo che adoro a 360°. Penso che ciò che abbia fatto scattare il colpo di fulmine con la birra artigianale è il grande spazio che lascia alla creatività. Spesso si accosta il mondo della birra a quella del vino ed in effetti ci sono tanti punti in contatto, ma ci sono soprattutto differenze. Il vino nasce con “paletti” ben precisi: vitigni con caratteristiche specifiche, disciplinari e tradizione. Questi paletti fanno sì che i vini possano essere inquadrati con una certa facilità in determinate caratteristiche dalle quali non si allontanano troppo. Tutto questo gli dà grande riconoscibilità, però rappresentano spesso anche dei “tabù”, soprattutto negli abbinamenti. Gli ingredienti della birra sono acqua, malto, luppolo e lievito, ma esistono tante tipologie di acqua, centinaia di tipologie di malto, così per i luppoli e i lieviti. Abbiamo poi ingredienti “non convenzionali” o meglio “altri ingredienti” come spezie, miele, frutta ed altro. Diverse modalità di “cottura” del mosto a cui bisogna aggiungere svariati tipi di fermentazioni. Tutte queste variabili possono dare vita ad infinite tipologie di birre. In pratica la birra, per me, va considerata più come una pietanza preparata in una cucina che non come un vino. E poi, non esistono “tabù” in fatto di abbinamenti per la birra. In birrificio potrebbe tranquillamente entrare uno chef, presentarmi la sua ultima creazione, e chiedermi di preparargli una birra da abbinare al suo piatto. Ci vorrà tempo e studio ma è una cosa fattibilissima. Con il vino la vedo dura. Questo però non vuol dire che la birra sia migliore del vino, né il contrario. Semplicemente sono diversi, ed è bellissimo magari divertirsi ad abbinare ad uno stesso piatto un vino ed una birra e provare come cambiano le sensazioni.

Oggi, abbiamo conosciuto un po’ meglio un grande progetto brassicolo. Abbiamo senz’altro potuto apprezzare la ricca progettualità attuale e futura, il desiderio di mettere ancora più territorio dentro quelle bottiglie. Musica per le mie orecchie, e spero anche per le vostre. Abbiamo potuto toccare con mano, per quanto consentito dalla parola scritta, la competenza e la passione che ci sono dietro le birre brassate al Birrificio Sorrento. Sullo sfondo, uno scenario prestigioso, un territorio famoso in tutto il mondo, disegnato dall’ordinata mano dell’uomo attraverso i secoli. Giuseppe e Francesco non avevano francamente altra scelta, con buona pace delle pur attrattive multinazionali, che restare nella Penisola Sorrentina e, cocciutamente, puntare a realizzare il loro sogno. Ed è proprio per questa scelta che oggi sono persone appagate, svolgono un lavoro originale e creativo, vivono esattamente nel posto in cui sono nati pur avendo lungamente viaggiato per approfondire la conoscenza della materia brassicola. Sono ritornati esattamente in quella terra nella quale affondano le loro radici, la loro storia, le loro tradizioni. Tornare a casa, nella propria terra, ha sempre un valore aggiunto, ha sempre un gusto particolare. E vale anche se il posto in cui si torna non è il più bello ed affasciante del mondo. Figuratevi, se invece hai la fortuna di ritornare proprio in un luogo incantevole, un posto dove convergono persone da tutto il mondo per trascorrere le proprie vacanze, rapite dalla bellezza del paraggio. La terra, il mare, i terrazzamenti, i frutteti, il cibo, il vino e la birra di Giuseppe e Francesco. Non sembra anche a voi di percepire quella lieve brezza marina che risale la costa feconda, intrisa del dolce profumo dei limoneti, col sole basso all’imbrunire, proprio là, dove il mare luccica?

 

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Giuseppe Caruso
Info autore

Giuseppe Caruso

Docente di Botanica Forestale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché insegnante di Scienze Naturali e Biotecnologie Agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, botanico (consulente scientifico per enti pubblici, privati, professionisti), disegnatore botanico, beerlover, beer sommelier.
Diploma di Perito Agrario presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Dottorato di Ricerca in Botanica Ambientale ed Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona.
Membro di diverse associazioni scientifiche: Organization for Phyto-Taxonomic Investigation of the Mediterranean Area, Società Botanica Italiana, Società Italiana di Scienze della Vegetazione, Società Italiana di Biogeografia, Society for Economic Botany, International Biogeography Society.
Pubblicate numerose ricerche scientifiche sulla flora dell’Italia Meridionale nei campi della tassonomia vegetale, floristica, vegetazione, conservazione, museologia, didattica e divulgazione scientifica. Principali interessi scientifici: ricerca botanica (tassonomia vegetale, floristica, vegetazione), analisi fitogeografico-vegetazionale (metodo fitosociologico e geosinfitosociologico dinamico-catenale), ecologia vegetale, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, recupero aree degradate e gestione verde urbano, sentieristica naturalistica, analisi/planning dei processi formativi, outdoor environmental education.
Libri pubblicati: Guida al riconoscimento di alberi, arbusti, cespugli e liane del PN della Sila (PN Sila, 2011), Andar per piante tra terra e mare – Escursioni botaniche sulle coste della Calabria (Koeltz Scientific Books, 2015). Nell’ultimo libro, La Botanica della Birra (Slow Food Editore, 2019), frutto di un lunghissimo lavoro di documentazione, unisce due grandi passioni, la botanica e la birra, raccontando con rigore scientifico le proprietà brassicole di oltre 500 specie vegetali impiegate nel brassaggio. Lo stesso libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2022 come The Botany of Beer dalla Columbia University Press (New York, US).