Numero 08/2023

23 Febbraio 2023

Funky Drop: birre di Calabria

Funky Drop: birre di Calabria

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Ogni tanto nella vita, capita di incontrare persone che ti piacciono fin da subito, ed i cui stessi progetti, anche piuttosto ambiziosi, sembrano capaci di ispirare fiducia. Sono persone generose e rare, soprattutto in alcune regioni italiane, dove la tendenza a chiudersi in sé stessi è più evidente, e a volte perfino giustificata da un contesto difficile. Una persona che risponde senz’altro a queste caratteristiche è Demetrio Crea, birraio e socio del progetto Funky Drop di Reggio Calabria. Ho conosciuto Demetrio alcuni anni fa. In occasione di una due giorni a Reggio Calabria, agli albori della mia collaborazione col Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea, facemmo in modo che una cena capitasse a Gli Sbronzi, un brewpub reggino molto accreditato. E Demetrio era lì ad attendermi all’orario concordato. Dopo una calorosa stretta di mano, mi ha fatto fare un giro del locale, spiegandomi il funzionamento dell’impianto a vista, sebbene le rumorose chiacchiere dei numerosi avventori non agevolasse la comunicazione. A distanza di un paio d’anni, il nuovo birrificio, Funky Drop, meritava senza dubbio una visita. A convergere sul neonato birrificio reggino Michelangelo D’Ambrosio, presidente di Slow Food Calabria, Maria Crucitti, fiduciaria della condotta Slow Food di Reggio Calabria Area Grecanica, ed un gruppo di botanici reggini della “Mediterranea” tra cui il sottoscritto, il professore Carmelo Maria Musarella, le dottorande Valentina Astrid Laface e Miriam Patti ed alcuni giovani borsisti. Va da sé che l’occasione fosse troppo ghiotta per farsi sfuggire l’opportunità di un’intervista da condividere sul Giornale della Birra.

 

Demetrio Crea nasce a Reggio Calabria, il 16 novembre 1987 ed è sposato con Daniela Lombardo, DSGA, ormai da alcuni anni. Figlio di Domenico, operaio, e di Maria Angela Ventura, casalinga. Domenico e Maria Angela hanno tirato su, non senza sacrifici, una bella famiglia, con 5 figli, ed una concretezza costruita attorno a radicati valori tradizionali: famiglia, onestà, lavoro, intraprendenza, forza di volontà.

Demetrio studia da geometra, conseguendo diploma e abilitazione all’esercizio della professione. Frequenta per un paio d’anni la Facoltà di Architettura, ma si capisce che non è la sua vocazione. Per sbarcare il lunario fa il geometra di cantiere per 6 anni, dal 2006 al 2012, in attesa della sua occasione. E l’occasione si presenta quando, durante un periodo di disoccupazione, ha l’opportunità di frequentare un corso di formazione birraria tenuto dalla provincia di Reggio Calabria. Da quella esperienza formativa inizia un’intensa attività da homebrewer a partire dal 2010, con un semplice set di pentole e qualche kit E+G. Nel 2012 si autocostruisce un impianto a 2 tini a caduta a fiamma diretta con tino filtro. E da lì inizia il suo percorso straordinario nel mondo brassicolo.

In visita da Funky Drop, da sinistra: Carmelo Maria Musarella, Giuseppe Caruso, Demetrio Crea, Michelangelo D’Ambrosio e Maria Crucitti.

 

Demetrio, raccontami la nostra Calabria dal punto di vista brassicolo, e come Funky Drop si inquadra nel contesto regionale.

La Calabria è, ancora una volta, ultima in ordine di arrivo del movimento birraio nazionale, ma niente di diverso rispetto allo sviluppo delle altre tendenze. Se pensiamo che in Italia si parla di birra artigianale solo dal 1996, dobbiamo ritenerci fortunati ad essere dentro a questo mondo già a partire dal primo decennio del 2000. Nonostante ciò, dopo una prima partenza piuttosto timida adesso ci ritroviamo con realtà produttive e di mescita capaci di promuovere il mondo della birra artigianale. Siamo avvantaggiati, partendo dopo, perché abbiamo avuto modo di studiare meglio tecnologie e stili, ed arrivare già pronti con le idee ben chiare sotto il profilo produttivo e comunicativo.

 

Conosci qualche storia del tuo territorio legata alla birra?

Un caro amico una volta mi regalò una traduzione da un articolo del Belgio, dove si raccontava che l’abbazia di Orval iniziò a produrre birra grazie ad un gruppo di monaci partiti dalla Calabria. Me ne fece dono durante una mia dimostrazione di birrificazione casalinga, e questo mi fece capire come anche una terra votata al vino, può dare origini a professionisti e appassionati del mondo birrario. La mia “carriera” parte come bevitore di liquidi assimilabili alla birra per colore e frizzantezza. Durante una delle tante uscite, vengo invitato in un locale dove si somministravano “più di 100 birre diverse”. Entrando, sono stato colpito dalla grande varietà di tipologie e gusti diversi che potevo bere e durante nei mesi successivi ho iniziato ad assaggiare sempre di più fin quando, parlando con gli altri avventori, mi è balenata l’idea di produrre una birra che mi piacesse in tutto e per tutto in termini di alcool, schiuma, frizzantezza, colore e gusto. Iniziai i primi esperimenti in casa, supportato da alcuni amici. Prima prediligevo birre più alcoliche, per la facilità di conservazione e resistenza alle infezioni, poi una volta presa dimestichezza con il mio impianto autocostruito, sono passato alla produzione di varie tipologie di birra per studiarne le caratteristiche produttive, le fermentazioni e il servizio. Questo mi aperto la strada nel mondo degli homebrewers e via via ho stretto amicizie con i birrai della regione e poi quelli italiani. Nel 2018 una famiglia di imprenditori voleva rilevare un brewpub in città e mi ha affidato l’incarico di gestire la produzione. La prima cotta da professionista risale al 7 maggio 2018! Durante gli anni al brewpub ho avuto modo di capire l’importanza di produrre birre facili da bere ma con carattere, quindi ho incentrato la mia produzione su stili quali Golden Ale, Scotch Ale, Saison e IPA, tutte collegate dalla facile bevuta. Affiancavo a queste, altre birre prodotte per stimolare l’assaggio, fatte aggiungendo delle materie prime locali, cereali, frutti, dolci, facendo sì che il cliente si incuriosisse sempre di più fino a desiderare ed attendere la nuova birra prodotta. Nel 2020 la nostra Scotch Ale è arrivata seconda al più importante concorso italiano di birre artigianali, e questo ci ha dato consapevolezza delle nostre qualità e ci ha spinto a creare un nuovo birrificio più funzionale dal punto di vista produttivo e che avesse le potenzialità per produrre ancora più birra da destinare al mercato italiano. Come Sbronzi abbiamo sempre cercato dei “partner” per realizzare progetti comuni, visto che crediamo molto nella cooperazione. Abbiamo trovato ciò che cercavamo negli amici del Piro, un noto ristorante reggino, ed insieme abbiamo deciso di aprire il polo produttivo birrario Funky Drop. Un birrificio, quindi, che rifornisce i nostri locali e che sia rivolto anche al mercato italiano. Questo è stato possibile grazie al grande lavoro fatto dietro al bancone del brewpub, educando la clientela ad apprezzare birre sempre più caratterizzate e vicine allo stile di riferimento. Con Funky Drop abbracciamo più stili birrai europei ed americani, mettendoci del nostro dal punto di vista produttivo.

 

Che tipo di organizzazione ha l’azienda?

Funky Drop è una società a responsabilità limitata, formata da 4 soci: Domenico Bellantonio, Demetrio Crea, Pietro Stillitano e Angelo Oliveri.

 

Come mai hai scelto questa formula aziendale e non altre?

Separando Funky Drop dalle altre aziende, è possibile quantificare meglio le potenzialità del birrificio e ottimizzare l’uso delle risorse.

 

Qual è l’identikit dei tuoi soci, o se preferisci, che tipo di persone sono attratte dal mondo brassicolo inteso come business?

Credo che chi oggi investa nel mondo della birra intesa come produzione, è una persona fortemente orientata al buon bere ed al buon cibo, con esperienza nel settore e che ami “sporcarsi” le mani tra raccordi e sacchi di malto. Esistono realtà dove ci sono soci finanziatori estranei al mondo brassicolo, ma in quel caso viene messo tutto nelle mani di un birraio che abbia già un nome ed una carriera consolidati.

Un altro momento della vista da Fubky Drop. In primo piano, oltre a Demetrio Crea, Valentina Astrid Laface e Miriam Patti.

 

Perché il nome “Funky Drop”?

Funky, nel gergo birrario vuol dire puzzolente, ma in altri contesti sta anche per genunino, autentico, bucolico… Drop significa goccia. Goccia Autentica, quindi. Ed il caso ha infatti voluto che proprio nel sottosuolo di uno dei siti di produzione, abbiamo trovato una falda acquifera dalla quale attingiamo (una volta trattata) l’acqua impiegata per realizzare la nostra produzione. Quindi, acqua genuina che non passa attraverso la rete idrica comunale. Pertanto, un significato accessorio potrebbe anche essere Goccia Genuina. E poi Funky vuol dire anche scanzonato, espansivo, divertente… tutte caratteristiche che ci rappresentano come persone e come filosofia di vita.

 

Quante persone lavorano nella tua azienda e con quali mansioni?

Funky Drop, azienda che esiste dal 2021, vede il sottoscritto impegnato come birraio, Domenico si occupa degli aspetti amministrativi, Pietro e Angelo si occupano dei rapporti con banche e fornitori. E poi c’è Mattia, che collabora alla produzione. In realtà, non di rado, anche Angelo, Pietro e Domenico si rimboccano le maniche e vengono in produzione per dare una mano e alleggerirci il carico di lavoro. Come già accennato, sono tutte persone alle quali non dispiace sporcarsi le mani, genuine, grandi lavoratori animati da un forte spirito di squadra.

 

Collaboratori di produzione?

Mattia Carmelo Santoro, 41 anni, aiuto birraio. È la mia spalla, dà una mano in tutto, dalla produzione al confezionamento, dalle pulizie al supporto in occasione degli eventi. Ha origini reggine, ma ha fatto esperienza presso altri birrifici strutturati fuori regione. Ritornato in Calabria, ci siamo conosciuti, ed è iniziata la nostra proficua collaborazione.

 

Parliamo un po’ del nuovo impianto. Cosa ci puoi dire?

Si tratta di un impianto a due tini (mash/filtro – boil/whirpool) Ricci Engineering, prodotto in Italia ed alimentato dal vapore generato da una caldaia a gas. La sala cottura è provvista anche di tramoggia di accumulo dei malti macinati, tino per acqua gelida e tino per acqua calda per lo sparging. La cantina è formata da 2 fermentatori da 2.800 litri e 4 da 1.500 litri. L’impianto ad osmosi inversa per gestire l’acqua arriverà a breve. Confezioniamo in fusti tramite infustatrice manuale, mentre per il confezionamento delle lattine adoperiamo una inlattinatrice a gravità marca EMMA con capacità di 1200 lattine/ora, etichettate a valle da una etichettatrice ENOS Euro dalla stessa velocità.

 

Ed ora passiamo alla produzione. Hai voglia di descrivere almeno 4 birre prodotte da Funky Drop e rappresentative del vostro progetto birrario?

 

Certo. Con grande piacere. Procediamo con ordine.

 

PLINK Keller Pils

È una birra in stile tedesco, a bassa fermentazione, prodotta con orzo coltivato e maltato in Basilicata (Italmalt) e luppolo tedesco (Hallertau), 10,5 gradi plato iniziali e 4,5 % di alcool. In questo specifico caso, la nostra acqua, molto più ricca di sali minerali rispetto alle acque teutoniche, conferisce una sensazione boccale piena, che esalta alcune proprietà gustative del malto come crosta di pane e miele. È una birra facile da bere, che appaga e invita al sorso successivo.

 

PRSDE’ Saison

Scelta come bandiera del birrificio, è una birra realizzata inserendo nel grist il 15% circa di segale aspromontana, localmente detta jurmano. A fine bollitura invece inseriamo la scorza di bergamotto fresco coltivato a Reggio Calabria. Come ben noto, questa pianta, sebbene se ne sia tentata la coltivazione in molte aree calde del pianeta per il prezioso olio essenziale, ha trovato le condizioni ideali per esprimere al massimo le sue potenzialità produttive, soltanto in una ristretta fascia di territorio subcostiero della provincia di Reggio Calabria. Se ho deciso di valorizzare questa importante espressione del territorio, utilizzando la buccia fresca di bergamotto, è perché Funky Drop è praticamente l’unico birrificio al mondo circondato da questi fantastici alberelli, e quindi noi abbiamo la fortuna di poter raccoglierne i frutti e utilizzarli entro poche ore. Una birra chiara, da 14,5 gradi plato che, grazie al lievito Saison vengono totalmente convertiti in alcool, portando la gradazione alcolica attorno al 6%. Il lievito lascia salire al naso sensazioni pepate e speziate, il bergamotto agisce come fissativo di questi profumi e li esalta, contribuendo con un sentore agrumato assai elegante. In bocca è secca, dissetante, fresca, leggermente acidula e agrumata sul finale.

 

BAD SCOTT Export Scotch Ale

Amo questo stile. Amo berlo, amo brassarlo ed amo diffonderne la conoscenza. Nell’immaginario collettivo questo stile è rappresentato da birre alcoliche di provenienza scozzese, da bere direttamente dalla bottiglia. Invece, si tratta di uno stile molto affascinante, se brassato con la necessaria dedizione e servito con criterio. Questa nostra versione intende ricordare le Scotch Ale destinate all’esportazione, quindi più alcolica e con maggiore personalità della versione standard. 16 plato che si traducono in 7,5% di alcool, per una birra scura, corposa, ma al tempo stesso dalla facile bevuta. Per aumentarne il grado zuccherino aggiungiamo Cassonade, uno speciale zucchero candito che oltre al grado alcolico apporta sensazioni fruttate e caramellate. Al naso spiccano i sentori appena descritti, assieme a sentori torrefatti e tostati. In bocca è calda e avvolgente con una bassa carbonazione e un finale secco.

 

STRIKE IPA

La nostra IPA non aspira ad essere la più amara, la più profumata, la più… qualcosa. In realtà, la nostra vuole essere una buona IPA adatta al palato di chi vuole avvicinarsi a questo mondo. Non dimentichiamo che il grosso della nostra produzione è consumato a Reggio Calabria, dove il cliente medio comincia solo ora ad apprezzare la birra artigianale. La Strike è prodotta con malti chiari di origine inglese, e amaricata con luppoli americani (Mosaic, Cascade, Citra, Eldorado) utilizzati in dosi equilibrate, non eccessive, calibrate in modo da offrire una bevuta elegante che non stanchi il palato. In questa birra utilizziamo la tecnica del dry hopping, che consiste, come ben sanno quanti si interessano di birra, nell’addizionare luppoli durante la fermentazione, al fine di enfatizzare la componente resinosa e fruttata dei luppoli. 15.5 gradi plato, per 6 gradi alcolici, al naso avvertiamo i sentori tipici dei luppoli utilizzati (frutta esotica, agrumato, resinoso, erbaceo) in bocca ha un corpo medio a supporto del gusto fruttato della birra, il finale è morbido e moderatamente amaro.

 

Come sai, io mi occupo di piante applicate nella produzione della birra. Quindi, sono particolarmente curioso delle birre nel cui brassaggio sono stati usati ingredienti vegetali inconsueti. Ne hai già progettata o realizzata qualcuna? Conti di farlo in futuro?

La tentazione di muoversi in questa direzione è sicuramente tanta. Certamente, vorrei cimentarmi con un gruit (miscela di radici ed erbe) tutto Made in Calabria. Ma anche provare ad utilizzare nei nostri progetti brassicoli frutti ormai tipici del paesaggio agricolo del sud della Calabria, come l’annona o altri frutti tropicali che da alcuni anni, probabilmente complice il global warming, stanno dando ottimi risultati agronomici. In passato, ho sperimentato birre con nespole, carrube, fichi secchi, caffè, fiori di arancio amaro, e quant’altro. Credo molto nella sperimentazione, ma non si deve perdere di vista il fatto sostanziale che alla fine le birre andranno bevute. Sperimentare con cognizione implica ridurre l’errore ed evitare di cestinare settimane di lavoro.

 

PRSDE’ e PLINK due birre di punta del birrificio Funky Drop.

 

Come si arriva, sulla base della tua esperienza, a decidere di sperimentare una particolare pianta nella produzione di una certa birra?

La mia principale fonte di ispirazione è il mondo della pasticceria e gelateria reggina. Fare il gelato, non meno della pasticceria, è un’arte molto ben consolidata nella nostra città. Fondamentalmente si tratta di creare una base zuccherina a supporto del gusto. Bilanciare gli ingredienti inusuali nel gelato è un processo non molto diverso da quello che si fa in birrificio. Se, ad esempio mi imbatto in un sorbetto, una torta con le annone, o qualcosa del genere, subito mi assale il desiderio di replicare quella combinazione di ingredienti. Assaggiando il dolce o il gelato, mi rendo istantaneamente conto del suo potenziale brassicolo, ovvero di come potrebbe risultare applicato ad un mosto di birra. Un’altra grande fonte di ispirazione sono i libri relativi all’utilizzo dei frutti o delle piante spontanee in cucina o in birrificio. Disporre di testimonianze che descrivono l’utilizzo di una certa pianta-ingrediente sul campo, consente di capire meglio in quale fase del processo questa vada utilizzata, scongiurando, o almeno limitando, gli eventuali errori.

 

Quando decidi di aggiungere un ingrediente nuovo e particolare, come ti muovi? Che percorso logico decidi di seguire?

In questo gioca un ruolo fondamentale il brewpub (Gli Sbronzi). L’impianto di piccole dimensioni mi permette di poter sperimentare con relativa libertà, e di volta in volta far assaggiare le microproduzioni ad un ristretto panel di clienti, così da poter beneficiare di feedback immediati. Il percorso logico che seguo in queste avventure sperimentali, consiste essenzialmente nell’iniziare con l’introduzione di dosi minime, da aumentare gradualmente nelle sperimentazioni successive fino a raggiungere l’equilibrio ricercato tra caratterizzazione della birra e facilità di bevuta.

 

Come scegli la birra base da brassare, da integrare poi con il nuovo ingrediente, in particolare se questo risulta del tutto inedito nel mondo brassicolo?

Come dicevo poc’anzi, mi ispiro tantissimo al mondo della pasticceria e gelateria. L’idea è cerca di scoprire come questi ingredienti vengono affiancati – o bilanciati per contrasto – con altri. Quando ho prodotto la Petrale, una birra che emulava il dolce natalizio tipico della nostra città, prodotto con fichi secchi, caffè, anice, noci e spezie, ho realizzato che si tratta di sentori che è possibile ritrovare nelle birre molto scure e alcoliche. Pertanto, ho deciso di utilizzare una base Imperial Stout, che ha magnificamente enfatizzato l’utilizzo di tali ingredienti, esaltando l’esperienza sensoriale della bevuta.

 

Dove ti approvvigioni della materia prima addizionale per queste birre particolari?

Il riferimento principale sono senz’altro i coltivatori calabresi. Raramente scelgo ingredienti che non posso reperire personalmente sul posto, perché adoro toccare con mano, annusare, assaggiare. Entrare in sintonia col produttore e magari carpire qualche segreto sono aspetti cruciali della mia ricerca brassicola.

 

Quali parti usi preferenzialmente, e più in generale, come gestisci le piante atipiche che poi usi nel brassaggio?

Tra le parti della pianta che uso c’è soprattutto il frutto. Tuttavia, in alcune sperimentazioni condotte in passato, ho utilizzato anche fiori e radici. In generale preferisco utilizzare le piante allo stato fresco, perlopiù a fine bollitura, attorno ai 90-95 °C, ad un pH di circa 5,2-5,4 per un tempo di 10-15 minuti. In pratica, si tratta del tempo necessario affinché il whirpool si fermi per poter rimuovere i residui. Le quantità utilizzate, naturalmente, variano parecchio da specie e specie, e, a parità di specie in base alla cultivar, al grado di maturazione e secondo il tipo di risultato che si intende ottenere. Orientativamente, circa 0,75-1,5 g/l.

 

Progetti per il futuro?

Tantissimi! Credo che il primo in ordine di tempo sarà la realizzazione della taproom in birrificio. Mi piace l’idea di accogliere le persone “a casa mia” e creare un angolo accogliente e caldo dove poter bere birre prodotte praticamente a 10 metri dal bancone. Poi ho in mente di dare la caccia ai lieviti calabresi, moltiplicarne le colture promettenti ed impiegarle nelle nostre produzioni. Un altro aspetto che prima o poi svilupperemo è la distillazione degli scarti di produzione per la produzione di gin. Infine, non escludiamo di imbarcarci in un progetto di valorizzazione cosmetica degli scarti di ammostamento. Insomma, le idee non mancano. Il tempo dirà se riusciremo a svilupparle tutte o solo alcune di queste. Di certo, possiamo promettere che ce la metteremo tutta, come abbiamo fatto finora.

 

 

E niente. Finisce così questa intervista, in cui Demetrio Crea, con uno sguardo ad un futuro pieno di promesse, di idee e di concreta progettualità, con non comune generosità, ha svelato alcuni interessanti retroscena della sua storia personale e della creazione, assieme ai suoi compagni di viaggio, di una delle realtà brassicole più importanti della Calabria. E non stupiscono, neanche un po’, i successi che Funky Drop va mietendo negli ultimi anni. Se sei aperto, curioso, generoso, preparato, talentuoso, creativo, attaccato alle tue radici, visionario, propenso alla collaborazione – come dimostrano alcune recenti partecipazioni ad importanti eventi nazionali con altri birrifici calabresi, quali Limen, J4 e Lametus – anche in una regione certamente non facile come la Calabria, è possibile ottenere grandi risultati brassicoli, in termini qualitativi e quantitativi.

E poi, sia chiaro, basta fare un sorso di Prsdè, questa sublime Saison da 6,0 gradi al bergamotto, per immergersi in una sorta di trance onirica al centro del Mediterraneo. Schiuma bianca, a grana fine, birra chiara, limpida, con riflessi oro carico. Al naso intensa, persistente, elegante, lontani sentori terrosi, leggermente speziati, agrumati, mielati. Corpo pieno e frizzantezza moderata, in bocca intensa e persistente, gusto maltato all’inizio, poi miele di zagare, finale agrumato. L’insieme di queste caratteristiche, che fanno della Prsdè una birra straordinariamente equilibrata, capace di restituire un amaro delicato e piacevole, ci dicono che nulla avviene per caso, e che il futuro della Calabria brassicola passa sicuramente anche per la città dello Stretto, ad occhio e croce proprio dalle parti di Funky Drop.

 

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Giuseppe Caruso
Info autore

Giuseppe Caruso

Docente di Botanica Forestale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché insegnante di Scienze Naturali e Biotecnologie Agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, botanico (consulente scientifico per enti pubblici, privati, professionisti), disegnatore botanico, beerlover, beer sommelier.
Diploma di Perito Agrario presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Dottorato di Ricerca in Botanica Ambientale ed Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona.
Membro di diverse associazioni scientifiche: Organization for Phyto-Taxonomic Investigation of the Mediterranean Area, Società Botanica Italiana, Società Italiana di Scienze della Vegetazione, Società Italiana di Biogeografia, Society for Economic Botany, International Biogeography Society.
Pubblicate numerose ricerche scientifiche sulla flora dell’Italia Meridionale nei campi della tassonomia vegetale, floristica, vegetazione, conservazione, museologia, didattica e divulgazione scientifica. Principali interessi scientifici: ricerca botanica (tassonomia vegetale, floristica, vegetazione), analisi fitogeografico-vegetazionale (metodo fitosociologico e geosinfitosociologico dinamico-catenale), ecologia vegetale, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, recupero aree degradate e gestione verde urbano, sentieristica naturalistica, analisi/planning dei processi formativi, outdoor environmental education.
Libri pubblicati: Guida al riconoscimento di alberi, arbusti, cespugli e liane del PN della Sila (PN Sila, 2011), Andar per piante tra terra e mare – Escursioni botaniche sulle coste della Calabria (Koeltz Scientific Books, 2015). Nell’ultimo libro, La Botanica della Birra (Slow Food Editore, 2019), frutto di un lunghissimo lavoro di documentazione, unisce due grandi passioni, la botanica e la birra, raccontando con rigore scientifico le proprietà brassicole di oltre 500 specie vegetali impiegate nel brassaggio. Lo stesso libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2022 come The Botany of Beer dalla Columbia University Press (New York, US).