Numero 12/2019

18 Marzo 2019

EDIT, una nuova casa per gli appassionati di birra a Torino!

EDIT, una nuova casa per gli appassionati di birra a Torino!

Condividi, stampa o traduci: X

 

Torino è una citta elegante, armoniosa ricca di storia e stili architetturali diversi, una città da visitare almeno una volta nella vita. Direte: certo, facile! Basta lustrare ciò che ti hanno lasciato in eredità i tuoi antenati e il gioco è fatto. Invece no: a noi torinesi piacciano le sfide, così negli ultimi anni certe zone della città meno famose sono state riqualificate e lì sono nati parchi, fondazioni museali, studi di architettura, di design e gallerie d’arte. Accanto a loro c’è anche EDIT, un concept nuovo che a ha come obiettivo di unire il gusto della sperimentazione del food and beverage a quello della condivisione.

EDIT è anche un’azienda che crede nei giovani, nella loro creatività e energia. Così due anni fa, appena nella fase embrionale hanno dato in mano ai ragazzi usciti dai banchi dell’ITS Mastro Birraio di Torino la gestione della loro brewery. Abbiamo incontrato alcuni di loro e li abbiamo intervistati per il nostro Giornale:

Loris Mattia Landi, 30 anni, che fa parte della prima generazione dei diplomati all’ITS Mastro Birraio; oggi lavora da EDIT come responsabile della sala cotta.

 

.

.

 

Loris, raccontaci la tua storia.

La mia passione per la birra nasce da un homebrewer. Ho speso tanti anni a studiare indipendentemente la parte della birra, della produzione, dell’assaggio, la degustazione perché quando studi la birra non puoi pensare solo alla produzione, ma devi guardarla nella sua complessità. Io e Marco, che fa il Publican qui da EDIT, volevamo aprire una nostra attività, ma ci siamo fermati prima: dovevamo fare un corso che ci desse delle conoscenze più approfondite per poter fare questo mestiere, così ci siamo iscritti all’ITS Mastro birraio di Torino. Ho fatto una parte del mio stage e poi ho anche lavorato al birrificio La Piazza con Riccardo Miscioscia. Ad un certo punto è arrivata l’offerta di EDIT: qui non c’era ancora niente, solo cemento, noi eravamo entusiasti e abbiamo accettato di sviluppare la parte birra che è anche la parte più popolare di EDIT.

Sei contento di far parte di questo progetto? 

Assolutamente sì. È un progetto sicuramente stimolante perché non è solo birrificio: EDIT vuol dire coesistere anche con altre realtà che sono all’interno: il pub, il ristorante, il bakery cafè, il cocktail bar. Significa che da ogni parte puoi imparare qualcosa da utilizzare nella produzione: per esempio, non conoscevo la fava tonka, allora con l’aiuto dei ragazzi del cocktail bar abbiamo fatto un’estrazione a ultrasuoni di questa fava. Con la bakery invece stiamo lavorando sulla frutta candita di loro produzione, mentre al bar fanno dei cocktail con la nostra birra, nel ristorante cucinano dei piatti con la nostra birra. In questo senso cerchiamo di aiutarci a vicenda e lavorare insieme. EDIT di per sé non è solo un birrificio, è qualcosa di molto più ampio. EDIT è una categoria a parte, perché c’è un rapporto diretto tra il cliente e il produttore. Quando arrivi qua sei a cinque metri dall’impianto di produzione e puoi vedere come fermenta la birra, nella bakery vedi come fanno il pane, come cucinano nel ristorante, come fanno i cocktail al cocktail bar etc. Tutto è molto “open”, da un lato molto bello per chi viene da noi, perché vedendoci si appassiona al nostro lavoro e per noi vuol dire massima responsabilità e attenzione.

 

 

.

.

 

 

Parliamo di birra: che birre fate qua da EDIT?

C’è una parte di birra legata allo stile, c’è la Pils, la Bock che sono stili più semplici, non nella loro realizzazione ma nella parte della degustazione finale. Ci sono delle sperimentazioni come la Saison con il bergamotto che sta fermentando e Italian Marble con il luppolo italiano coltivato in Italia in collaborazione con Marble di Manchester. Collaboriamo molto anche con altri birrifici che è la parte più divertente per noi: adesso ospitiamo il birrificio Bellazzi di Bologna abbiamo alcune delle loro birre alla spina e insieme stiamo facendo una Imperial Pils che sarà pronta tra due mesi.

 

Come comunicate con il cliente?

È molto importante comunicare quello che stai facendo, altrimenti tutte queste birre per un cliente normale sono uguali. Noi abbiamo il vantaggio di avere dei professionisti al bancone estremamente preparati, che hanno un determinato approccio con il cliente che non è quello di rivolgersi ad un’élite cioè o tu capisci di birra oppure non ti puoi avvicinare. L’approccio deve essere l’opposto: devi coinvolgere tutti, anche quelli che non capiscono di birra e poi una volta che sono qua sta a noi di fargli capire cosa significa birra buona.

.

.

 

 

Quali materie prime usate? 

Per me il primo parametro è la qualità, non importa se l’origine è americana, europea o italiana, l’importante è che sia di qualità. Per quanto riguarda i malti, lavoriamo tanto con Inghilterra e Germania perché sono dei prodotti che incontrano i miei gusti e la mia idea di birra.  Parte dei luppoli li compriamo da ItalianHops.

Avete una linea tutta italiana?

Per ora no, ma fa parte dei nostri progetti futuri.

Cosa vuol dire per te la qualità?

Per me qualità è stabilità, come sono i malti di Weyermann con lo stesso colore, la stessa resa altissima. I luppoli che compriamo dagli Stati Uniti hanno delle rese eccezionali. I luppoli Cascade che compriamo dall’Italia non sono proprio Cascade tipico americano, manca tutta la parte agrumata, ma hanno una parte floreale molto piacevole.

Il mondo della craftbeer come lo vedi tu oggi e domani?

È un mondo sempre in crescita, molto interessante. Deve rimanere indipendente nelle sue idee. Deve essere un prodotto non troppo semplice ma neanche troppo complesso. Per far espandere il craft le persone devono prima bere poi capire che a parità di prezzo possono avere un prodotto fantastico senza passare per l’industria che appiattisce tutti i gusti. La parte che mi piace del craft è che è molto ampia ed è difficile a volte starle dietro ma allo stesso tempo estremamente stimolante.

 

.

.

 

Marco Cerino, 30 anni, uno dei primi diplomati del ITS Mastro Birraio, oggi lavora da EDIT e fa il Publican.

Mi sono innamorato della birra dopo un viaggio in Australia: anche se lì consumavo birra industriale mi sono reso conto che loro cercavano di attirare il cliente con qualcosa in più a livello gustativo e olfattivo. Tornato dal Australia io e Loris abbiamo cominciato a fare la birra in casa. Sei mesi dopo che facevamo la nostra birra abbiamo scoperto il corso di Mastro Birraio e ci siamo iscritti. Dopo il corso sono venuto a lavorare da EDIT sin dall’inizio di questo progetto. Fare il Publican è stato una scelta di vita perché vuol dire fare degli orari diversi dai altri. Bisogna penso essere portati per fare questo lavoro e avere la giusta attitudine. In Italia la figura del Publican è ancora sconosciuta e c’è un enorme potenziale specialmente nei ragazzi giovani che si affacciano a questo mondo. In Italia da quello che vedo io il problema non sta nella produzione della birra artigianale ma nella somministrazione; sono pochi i locali che lo fanno bene. Bisogna farlo con passione, dedizione e professionalità. Il segreto di un buon Publican è di non finire mai di studiare, essere curiosi e non vivere di dogmi. Uno dei nostri maestri Michele Galati, a mio avviso, uno dei miglior Publican d’Italia, ci diceva sempre continuate sempre a sperimentare, continuate sempre a versare la birra in un altro bicchiere rispetto a quello canonico e vedere che effetto fa, qual è il risultato finale sul profilo aromatico. Quindi la base è la voglia di continuar a crescere e sperimentare sempre. Io cerco di spiegare al cliente con molta semplicità la birra: se guardate il nostro menu che è molto semplice, le birre sono suddivise sì per stile, ma soprattutto per profili aromatici che è una cosa molto più semplice per il cliente. Io non parlo quasi mai di birra artigianale, ma di birra in generale. Per far capire al cliente la differenza tra birra industriale e quella artigianale bisogna fargli scoprire tutte le sfaccettature della birra artigianale, i suoi mille sapori e odori. La parola d’ordine quando si approccia un cliente è sempre la semplicità.  Il futuro della craftbeer in Italia a mio avviso è sempre in crescita, bisognerebbe magari aprire meno birrifici e più pub che la somministrano. L’Italia non credo che avrà mai il livello di consumo della birra che c’è in Repubblica Ceca oppure Belgio o Germania, noi siamo un paese vitivinicolo ma non rifiutiamo il buon bere. Quando spieghiamo al cliente la qualità del prodotto senza troppi giri di parole, il cliente esce sempre soddisfatto.

 

Maggiori informazioni: www.edit-to.com

 

Condividi, stampa o traduci: X

Lina Zadorojneac
Info autore

Lina Zadorojneac

Nata in Moldavia, mi sono trasferita definitivamente in Italia per amore nel 2008. Nel 2010 e 2012 sono arrivati i miei due figli, le gioie della mia vita: in questi anni ho progressivamente scoperto questo paese, di cui mi sono perdutamente infatuata. Da subito il cibo italiano mi ha conquistato con le sue svariate sfaccettature, ho scoperto e continuo a scoprire ricette e sapori prima totalmente sconosciuti. Questo mi ha portato a cambiare anche il modo di pensare: il cibo non è solo una necessità, ma un piacere da condividere con la mia famiglia e gli amici. Laureata in giurisprudenza, diritto internazionale e amministrazione pubblica, un master in scienze politiche, oggi mi sono di nuovo messa in gioco e sono al secondo e ultimo anno del corso ITS Gastronomo a Torino, corso ricco di materie interessanti e con numerosi incontri con aziende produttrici del territorio e professionisti del settore. Il corso ha come obiettivo la formazione di una nuova figura sul mercato di oggi: il tecnico superiore per il controllo, la valorizzazione e il marketing delle produzioni agrarie e agro-alimentari. Così ho iniziato a scrivere per il Giornale della Birra, occasione stimolante per far crescere la mia professionalità.