Numero 39/2019

27 Settembre 2019

Luppolo in Italia: da Pasqui ai giorni nostri!

Luppolo in Italia: da Pasqui ai giorni nostri!

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Negli ultimi anni, anche in Italia ha preso piede la coltivazione del luppolo, ma non è una pratica così recente come crediamo sul nostro territorio. Le prime sperimentazioni destinate all’utilizzo in birrificazione risalgono addirittura alla prima metà del 1800. Hanno un luogo di origine, la provincia di Forlì, in Emilia Romagna, ed un agronomo appassionato che iniziò ad interessarsi alle specie selvatiche di questa pianta: stiamo parlando di Gaetano Pasqui (1807 – 1879). Nel 1835, la sua passione crebbe a tal punto che decise di dare vita ad un proprio birrificio. Essendosi stabilito in una casa non distante dal fiume Rabbi, sempre nel forlivese, cominciò ad isolare alcune piantine di luppolo selvatico che crescevano spontanee nelle vicinanze, sia per curiosità personale, sia per il fatto che l’importazione della materia prima dai paesi stranieri cominciava ad essere un costo non di poco conto per la sua attività imprenditoriale.

 

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Era il 1847, “fu allora che il luppolo si era fatto italiano”. Il prodotto che derivò dall’utilizzo di questo ingrediente fu una birra premiata anche a Firenze e Londra, la “Birra Pasqui”. Tuttavia il lavoro del Forlivese iniziò a suscitare il malcontento dei maggiori birrifici industriali, che per avversarlo cominciarono ad evidenziare l’inadeguatezza organolettica del prodotto. Appoggiandosi a diversi centri universitari, fece studiare il suo luppolo che risultò invece avere, analisi alla mano, caratteristiche non inferiori alle più popolari varietà germaniche. Dopo di lui, altri seguirono le sue orme. Alfonso Magiera, tra il XIX ed il XX secolo sponsorizzava le coltivazioni di luppolo presenti a Marano sul Panaro, in Emilia, invitando i contadini di allora a dedicarsi a questa nuova coltivazione; e ancora Giulio Boni, che si cimentò nella scrittura di un manuale di come avvicinarsi a questa coltura, già allora descritta come “necessaria per la produzione nazionale”.

 

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Nel nuovo millennio, un’altra pagina di storia. Dobbiamo arrivare ai giorni nostri per trovare un’altra significativa svolta nel mondo della coltivazione del luppolo. A partire dagli anni ’90 in Italia, terra storicamente di tradizione vinicola, inizia a prendere piede la produzione artigianale della birra, e nascono le prime aziende che, ancora oggi, risultano essere trainanti per la crescita dell’intero movimento: Baladin a Piozzo, Birrificio Italiano a Lurago Marinone e Lambrate a Milano, hanno raggiunto una fama tale da essere conosciuti anche dai non esperti del settore. Oggi il numero di microbirrifici presenti sul nostro territorio ha superato quota 1.000. Dopo un’iniziale ispirazione a stili birrari classici, soprattutto di scuola tedesca e belga, la celebre creatività “Made in Italy” è uscita allo scoperto. Pur non avendo ancora creato una filiera di produzione delle materie prime necessarie alla produzione (progetto oggi avviato e che continua a compiere ogni giorno passi in avanti), né impianti di trasformazione adeguati alla loro lavorazione, gli addetti ai lavori si stanno prodigando perché si arrivi presto alla creazione di un prodotto “100 % Italiano”. Occupandoci noi in questo caso specifico di luppolo, sottolineiamo i grandi progressi che si stanno registrando nel nostro Paese, dove da studi effettuati su varietà autoctone selezionate sul nostro territorio, si sta lavorando sodo alla ricerca delle prime varietà tutte italiane. Ci si riferisce in modo particolare al progetto del Comune di Marano sul Panaro, nella provincia di Modena che, in collaborazione con l’associazione Italian Hops Company ed il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Parma, si è posto l’obiettivo di recuperare la coltivazione di una specie autoctona di luppolo che cresceva in quelle zone tra il XVII ed il XX secolo d.C.

 

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Accanto a varietà estere già utilizzate in ambito brassicolo, sono stati piantati più di settanta genotipi indigeni con l’obiettivo di arrivare a nuove varietà che offrano la possibilità di produrre birra con caratteristiche aromatiche tipicamente italiane. Ad oggi, la coltivazione di luppolo riconosciuta dal Ministero delle Politiche Agricole ammonta a circa 3 ettari. Considerando l’esistenza di microcoltivazioni, molto diffuse sul nostro territorio, saliamo a circa 20 ettari, consistenti principalmente in coltivazioni “prova”, avviate da piccole imprese agricole. In seguito a questo breve inquadramento storico, andremo ora a capire meglio di cosa parliamo quando ci riferiamo al luppolo, partendo dal ruolo che questo ricopre nella birra e quali componenti gli permettono di essere un ingrediente così caratterizzante.

 

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Marco Marcigot
Info autore

Marco Marcigot

Leva 1993, crescendo ad Udine ho respirato Mitteleuropa: Austria a nord e Slovenia ad est.
In una terra di vino che scuola potevo fare? La scelta era facile: scuola enologica di Cividale del Friuli. Il sessennio fu molto interessante, con tirocini, studi, visite e parecchi approfondimenti sul campo.
A un certo punto scopro per caso le birre artigianali, in un pub cittadino: da lì con qualche amico facevamo delle vere e proprie degustazioni, cercando di assaggiare ogni volta stili differenti.
Qualche mese dopo mi regalarono un kit per la produzione casalinga e da lì inizio una vera e propria ricerca e approfondimenti dell’ambito. Ciò che mi attirava di più della birra erano le migliaia sfumature di colori, aromi, stili e storie che si celano dietro questo mondo.
Anni universitari: la scelta ricadde su Scienze e tecnologie alimentari a Udine dove all’interno della facoltà c’è il corso di Tecnologie della Birra. L’ultimo anno il tirocinio l’ho fatto in un birrificio agricolo, il primo in regione, che coltiva sia orzo che luppolo; la tesi è sulla produzione e promozione della birra artigianale friulana.
Nel 2017 un’esperienza molto interessante e formativa di 7 mesi nel Birrificio Antoniano a Padova.
In tutti questi anni, dal 2012, mi diletto come homebrewer partendo dal kit, passando all’E+G e arrivando all grain: da qualche mese gestisco anche una pagina Facebook per far conoscere ai miei amici cos’è per me la produzione brassicola casalinga e raccontando loro le mie avventure. Infine sono socio dell’associazione homebrewers Friuli Venezia Giulia.
Sono innamorato delle basse fermentazioni tedesche e delle alte fermentazioni inglesi.
Bitter e Marzen, una coppia strana, ma che mi fa impazzire.