Numero 24/2017

17 Giugno 2017

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 35

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 35

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Giuseppe aveva passato l’intera giornata senza andare in bagno.

Sentiva le membra contorcersi, ma quello era il suo scopo.

Si era lamentato tutto il giorno, in modo che anche i secondini si rendessero conto che le sue condizioni di salute erano precarie!

Ed infine giunse il momento.

Andrea avrebbe chiamato la guardia, lui avrebbe fatto quello che doveva fare ed avrebbe occultato gli stiletti improvvisati in bocca.

Tutto era pronto.

Lurido che fu, tenendosi la pancia facendo finta di contorcersi, Giuseppe affidò le urla per richiamare l’attenzione dei secondini ad Andrea, impegnato com’era a fingere dolore, digrignando i denti, in modo da nascondere i pezzi di molla in bocca, senza farsi notare.

Le guardie giunsero.

Gli occupanti della cella di O’Gigante erano già andati alle docce d cinque minuti.

Le guardie stesse lasciavano che quel boss della prigione giocasse con la sua preda il tempo necessario. Era una delle “uscite doccia” più lunghe della giornata. Mezz’ora, a volte un’ora!

Tutto era una regalia per quel boss della mafia campana, quella che sarebbe stata conosciuta da tutti come Camorra.

In prigione, tutte le guardie erano asservite ai vari boss.

Vi erano Siciliani e Campani, per lo più.

E tra di loro non si offendevano.

Vivevano separatamente facendo il bello ed il cattivo tempo nelle patrie galere di tutt’Italia.

E Giuseppe, come tutti gli altri detenuti, erano lì che si barcamenavano tra un capo e l’altro, nel periglioso tentativo di non offendere nessuno di loro.

A volte non si riusciva, il pestaggio era la minore delle punizioni che potessero capitare.

Ma quel giorno, Giuseppe, stava per fare una cosa che pochi altri avevano fatto nell’intera Storia del carcere di Fossano: stava per tentare di ammazzare un boss!

Era una missione suicida, questo lo sapeva anche lui, ma non gli importava!

Se il suo sacrificio fosse servito a salvare suo fratello dalle atrocità che stava subendo, sarebbe stato un sacrificio valido, più che onorevole da affrontare!

In fondo, era colpa sua se il fratellino era finito in prigione!

Con un incedere lento e dolorante, venne condotto dalle guardie alle docce.

Gli uomini in divisa, schifati dal nauseabondo odore, si tenevano a distanza.

«Le regole le sai, vedi di lavarti e non te la fare più sotto! Col cavolo che ti riportiamo qui!»

Per non far capire alle guardie che aveva la bocca piena dei pezzi di molla, Giuseppe fece un cenno, emettendo una specie di grugnito sofferente.

I soldati attesero fuori dalla sala docce, non volevano disturbare O’Gigante ed al contempo non volevano imbrattarsi con eventuali schizzi provenienti da Giuseppe.

Era l’occasione perfetta.

Giuseppe non poteva lavarsi, non in quel momento.

Era nudo, l’asciugamano dell’amministrazione penitenziaria era l’unico indumento consentito sotto alle docce.

Era sporco dalla testa ai piedi, ma aveva uno scopo ben più importante: doveva uccidere O’Gigante.

Si mise sotto ad una doccia, giusto per dare l’impressione alle guardie di esser lì proprio per lavarsi.

Con uno scatto fulmineo, non appena le guardie si furono girate, si mosse verso il luogo da dove provenivano le urla di dolore del fratello e gli insulti da parte del suo obiettivo.

Fece scivolare in mano le due lame improvvisate e, una volta che vide la scena, capì che Andrea aveva ragione: due scagnozzi erano ai due antipodi di quell’angolo della sala docce, O’Scugnizzo gli dava le spalle, impegnato a guardare che Pietro non si ribellasse.

In mezzo alla scena ed alla stanza, quel colosso che brutalizzava Pietro!

L’odio gli montò come mai prima nella sua breve vita.

La presa salda sui due stiletti, uno nella mano destra ed uno nella sinistra.

Si precipitò, quasi silenziosamente, su O’Scugnizzo.

Fu tutto rapidissimo.

I due scagnozzi non fecero in tempo ad intervenire: uno stiletto, quello che Giuseppe teneva ben saldo nella mano destra si conficcò nel collo dell’ uomo basso!

Il sangue fuoriuscì zampillando dal corpo dell’uomo che nulla poté fare se non accasciarsi al suolo, in attesa che la morte sopraggiungesse.

Lasciò quello stiletto conficcato nel collo del nemico, già proteso a pugnalare O’Gigante.

Il boss, dai riflessi felini e dalla forza mostruosa, lanciò via l’esile corpo di Pietro che caracollò a terra, sulle piastrelle umide, con un tonfo.

I due uomini erano uno di fronte all’altro e gli scagnozzi si stavano precipitando a proteggere il loro capo.

Doveva agire in fretta, in quel preciso momento!

Giuseppe si scagliò sull’energumeno con tutta la veemenza di cui era capace!

Il suo nemico, però era attento.

Schivò l’affondo e con un manrovescio scaraventò a terra Giuseppe.

Gli altri due sopraggiunsero.

Calci e ginocchiate cominciarono a colpirlo con forza.

Dopo pochi colpi, il dolore fu talmente grande che il giovane cominciava a sentire solo un torpore al momento dell’impatto, non più il dolore lancinante.

In bocca il sapore di ferro.

Il sangue che usciva come un rivolo dalle sue labbra.

Aveva fallito.

Si rese conto che non aveva più in mano il suo stiletto.

Dov’era?

I colpi si susseguivano.

Sarebbero risultati fatali di lì a poso, questo era, per lui, certo.

La morte sarebbe sopraggiunta a breve.

Sentiva già il freddo tocco della Nera Signora sfiorarlo.

Non c’era piùsperanza.

Aveva fallito.

E suo fratello sarebbe stato per sempre la prostituta di quel cane!

Che rabbia!

Che amarezza!

Un dolore maggiore di quello della morte, non aveva dubbio alcuno!

Ma il suo stiletto… dov’era finito?

Poi lo intravvide, tra un calcio e l’altro: era lì, luccicante, vicino a Pietro che, con fatica, si stava rialzando.

E poi vide la scena, come se fosse uno spirito distaccato dal proprio corpo, come in quei racconti della gente che ritornava dal mondo dei morti, una volta rianimata.

La sensazione, Giuseppe ne fu convinto, era la stessa.

Pietro, spinto, forse dall’ira in funzione del trattamento ricevuto, forse spinto dalla paura di vedere suo fratello morire, raccolse lo stiletto e si lanciò, urlando, conto a O?gigante.

L’energumeno si voltò.

Troppo lento.

Lo stiletto piantato nell’occhio sinistro, un urlo lancinante.

Pietro continuò a pugnalarlo al petto ed alla gola.

Il gigante cadde a terra con un tonfo sordo.

Giuseppe si rialzò di scatto, approfittando dello sgomento dei due scagnozzi. L’asciugamano che aveva avuto addosso era lì, bagnato fradicio, a portata di mano: lo afferrò e lo usò per strangolare uno dei due.

Pietro, quasi in accordo col fratello pur non essendosi neppure parlati, abbandonò il corpo del suo carnefice; infierire su di un cadavere poteva farlo sfogare, ma non  sarebbe stato utile a sopravvivere.

Si scagliò contro l’ultimo sopravvissuto, sfregiandolo in volto, ma non colpendolo mortalmente.

Il nemico afferrò l’esile ragazzo per i polsi.

Gli sferrò una testata in pieno volto.

Il sangue ovunque.

Giuseppe, resosi conto della difficoltà del fratello, torse l’asciugamano che stritolava il suo nemico; con esso si torse anche il collo, con un sonoro CRACK!

Si rimise in piedi, afferrò l’ultimo nemico per le gambe, come per placcarlo e lo scaraventò a terra.

I due fratelli ammazzarono l’ultimo uomo a calci e pugni.

Tutto si era svolto in pochi attimi.

L’acqua delle docce stava già lavando via il sangue dalle loro carni, quando giunsero le guardie e li malmenarono.

I due furono trasferiti in isolamento.

Quella parte dell’incubo era finito!

O’Gigante era morto!

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.