Numero 25/2021

21 Giugno 2021

Birra e cinema: accoppiata vincente!

Birra e cinema: accoppiata vincente!

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Birra e cinema è stato spesso un connubio di grande successo che ha caratterizzato le pellicole rendendo le situazioni verosimili, naturali e spesso, piuttosto esilaranti.

La birra entra di diritto tra i protagonisti del cinema italiano a partire dal secondo dopoguerra, in una commedia resa celebre dall’irresistibile Principe Antonio De Curtis per tutti l’immenso Totò. Nella pellicola “Totò Sceicco” del 1950 l’accoppiata culinaria birra e salsicce doveva essere una sorta di parola d’ordine, usata dagli arruolandi per entrare in contatto con dei fantomatici capi della Legione Straniera. Ma Totò, essendosi recato nel ristorante sbagliato, non ottiene altro che fiumi di birra, cioè quanto effettivamente richiesto nella comanda. Altra commedia all’italiana, altra scena a base di birra e salsicce. I soggetti questa volta sono gli spaccatutto Bud Spencer e Terence Hill che, dopo aver escluso il braccio di ferro e il gioco delle carte per dirimere la questione, in “Altrimenti ci Arrabbiamo” (1974) si giocano la mitica Dune Buggy, appunto, a birra e salsicce.

 

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Il primo film italiano in cui, appare la birra come elemento di perturbazione sociale è quel capolavoro che è “La ragazza con la pistola” (1970) di Mario Monicelli. Quando la giovane siciliana, Monica Vitti, sedotta e abbandonata dal siculo Carlo Giuffrè emigrato a Londra anche per sfuggirle, inizia a cercarlo nei pub inglesi, entriamo per la prima volta – per il cinema italiano – nell’oscurità fumosa della Swinging London di quegli anni. I paradisi alcolici maledetti di una gioventù alla ricerca di se stessa vengono allo scoperto, quando la Vitti cerca di dare aiuto ad un giovane ubriaco che aveva conosciuto il suo uomo in fuga. La birra perde la sua connotazione di bevanda da feste e conquista un suo status di bevanda pericolosa capace di oscurare la mente confusa di una generazione. Stessa tetra immagine della birra viene fuori dall’altro film di quel periodo girato a Londra da Alberto Sordi, “Fumo di Londra” (1971), in cui il solito cinico personaggio dell’attore romano si confronta con le trasgressioni sessuali e alcoliche della nuova generazione ribelle, uscendone come un piccolo uomo grottesco e ridicolo. In questi due film viene mostrato per la prima volta nel nostro paese l’immaginario del pub nordico spesso affollato da una gioventù autolesionista e ribelle.

Nella cinematografia, soprattutto in quella americana, la birra ha acquisito un ruolo piuttosto serioso, quasi drammatico e legato agli stereotipi di personaggi travagliati o alle prese con le difficoltà del momento che stanno vivendo. Un esempio per tutti, il film “Tutti gli uomini del presidente” è un film del 1976 diretto da Alan J. Pakula. È ispirato al libro omonimo di Bob Woodward e Carl Bernstein, e ripercorre le vicende che hanno portato alle dimissioni del presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. Nel film, i due protagonisti gustano una birra per fermarsi, per riflettere miscelandola con i pensieri più profondi e innescando la ricerca della verità; un omaggio all’uso consapevole ma profondo del gustare birra.

 

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Anche David Lynch nel suo “Blue Velvet”, film del 1986 tratta la birra nella sua accezione più negativa, cioè come porta d’ingresso ad altri vizi dell’animo umano, facendone quindi il portale per l’inferno dello spirito in tutte quelle scene, divenute poi scene cult, con tendaggi rossi, atmosfere forti, corpi che si trascinano ubriachi e poi si lasciano andare a tutte le nefandezze umane.

 

“Animal House”, è un film del 1978 diretto da John Landis che tratta della rivalità tra due confraternite (gli snob e i creativi), all’interno di un college, che sfocia nel grottesco.  Qui la birra scorre come l’acqua dal rubinetto, creando momenti goliardici e unendo profondamente oltre l’amicizia, facendo da sfondo all’eterna lotta fra le due confraternite che è un punto importantissimo del film.
Barfly – Moscone da bar (Barfly) è un film del 1987, diretto dal regista francese Barbet Schroeder in cui Mickey Rourke rifà le intemperanze alcoliche di Charles Bukowski, lo stravagante scrittore di Los Angeles che passò molti anni ciondolando nei bar come un barbone (finché il successo letterario corresse, ma fino a un certo punto, le sue abitudini).

 

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Qui è raccontata la sua storia d’amore con l’anima gemella, una bella donna anche lei ormai schiava dell’alcol. La sceneggiatura è affidata allo stesso scrittore, che, naturalmente ricrea l’atmosfera dominante della sua vita, l’alone dell’essere perennemente ubriaco miscelato con le cose della vita quotidiana, con le riflessioni profonde del proprio io, con la perenne ricerca della libertà, sia interiore che propriamente dalla società. La ricerca, attraverso l’alcol, di un mondo che solo Bukowski poteva prospettare, arrovellandosi sui problemi della vita e cercando indizi sul perché della stessa.
Nel 2009 nelle sale cinematografiche americane è uscito il primo lungometraggio sulla birra artigianale. Il film si chiama “Beer Wars” ed è un documentario sulle piccole realtà brassicole degli Stati Uniti. La pellicola tuttavia non ha solo un fine didascalico, ma racconta una storia ben precisa: la lotta dei microbirrifici alle multinazionali della birra americana. Beer Wars inizia con la sfida che devono affrontare le multinazionali del settore contro i piccoli birrifici indipendenti, che hanno modificato lo status quo del mercato con la creazione di birre originali e innovative. La storia è raccontata da due imprenditori – Sam e Rhonda (Sam Calagione della Dogfish Head e Rhonda Kallman della Boston Beer Company ndr) – che quotidianamente sfidano le forze e le risorse delle grandi industrie.

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“La fine del mondo” (The World’s End) è un film del 2013 diretto da Edgar Wright, ed è la storia di cinque amici che, 20 anni dopo un’epica gara ad un pub, si riuniscono quando uno di loro si mette in testa di partecipare di nuovo ad una maratona di bevute. Convinti da Gary King (Simon Pegg), un quarantenne dallo spirito ancora di un adolescente, a ritornare al loro paese natale e a metter piede al mitico pub “La fine del mondo”, si ritroveranno a dover lottare per salvare il loro futuro e quello di tutta l’umanità da una imminente apocalisse. In questo film è la pinta di birra il filo conduttore del film, in un paesello inglese dove il protagonista dichiara spontaneamente, spudoratamente,” siamo venuti solo ad annientarci” riferendosi al magico percorso per divenire adulti, fare cioè il giro dei 12 pub del paese bevendo una pinta di birra in ognuno di essi, conquistando così ”il miglio d’oro”.

 

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“Gran Torino” è un film del 2008 diretto e interpretato da Clint Eastwood. Walt Kowalski è un veterano della guerra di Corea con un carattere ruvido che gli fa preferire una vita solitaria con un solo grande amore, quello per la sua auto, una Ford Gran Torino del 1972. Dovrà affrontare i suoi pregiudizi razziali e ritrovare la sua vena migliore quando Thao e Sue, fratello e sorella di origine asiatica e suoi vicini di casa, si metteranno nei guai con una street gang. Il protagonista affronta i suoi problemi bevendo birra lungo tutto lo scorrere del film, mai ubriaco ma raramente senza una lattina o una bottiglia in mano, nella penombra, nella sua veranda ove si scorgono lattine aperte sul tavolo segno del tempo trascorso nella solitudine e nel dialogo interiore con la birra che rappresenta una figura di compagnia.

Nel film italiano “La Febbre” lungometraggio firmato da Alessandro D’Alatri nel 2005, il trentenne Mario Bettini, interpretato da un giovane Fabio Volo, associa le sue pulsioni e la sua voglia di fuga all’apertura di un locale. La passione per la birra qui rasenta l’ossessione e a risolvere il tutto, tra parole amare e una media chiara bevuta in compagnia, arriva in sogno nientemeno che il Presidente della Repubblica italiana interpretato dal mai dimenticato Arnoldo Foà.

Dopo questo breve excursus sulla birra nel cinema italiano e non, posso solo aggiungere che il documentario “Beer Wars” creato con professionalità e competenza sui prodotti di qualità lascia davvero sorpresi, soprattutto rispetto alla nostra realtà, dove quando si parla di birra artigianale sembra che tutto debba essere fatto e solo in modo artigianale.

Un’altra considerazione è che, negli Stati Uniti si guardava e si guarda ai microbirrifici come al Davide che sfida il Golia delle multinazionali: è un concetto che da noi non è ancora passato anche per la poca conoscenza degli italiani sulla birra artigianale di qualità.

 

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Pierfrancesco Caffarelli
Info autore

Pierfrancesco Caffarelli

Classe 1988, nato a Licata, paese del profondo sud della Sicilia. Ho una laurea magistrale in Economia presso l’Università di Messina.

Il mio amore per la birra è nato proprio a Messina quando nel 2012 e per circa due anni, ho lavorato in un brewpub della città, iniziando ad apprezzare e a conoscere quello che sarebbe diventato un mio grande amore. Ho partecipato, come rappresentante del birrificio a diverse fiere nella mia regione, cercando il più possibile di trasmettere il mio amore e la mia passione per la birra. D’altronde, se si vuole provare a vendere un prodotto come questo, che a molti può essere sconosciuto, la cosa fondamentale è incuriosire la gente, trasmettendo la propria passione e voglia, alla conoscenza di questo fantastico mondo.

Non sono un esperto, non ho certificati però potrei parlare di birra e delle sue mille sfaccettature per ore senza mai fermarmi, solo allo scopo di trasmettere quanto più possibile, a chi ha la pazienza di ascoltarmi. Da qualche tempo cerco di fotografare tutte le birre che bevo e pubblicarle nella mia pagina Instagram, al solo scopo di incuriosire i miei followers e conoscere quanti più beerlover nel mondo.

Sono sempre pronto ad ascoltare e a leggere da “umile bevitore” le tante persone che scrivono e operano intorno a questo mondo. D’altronde non sono neanche un homebrewer, la birra preferisco berla e apprezzarla.