Numero 16/2017

22 Aprile 2017

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 27

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 27

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I mesi passavano.

L’estate era calda, quasi infernale.

Agosto, mese nel quale, solitamente, nel nord Italia l’autunno bussava timido e le temperature iniziavano ad abbassarsi, quell’anno, era insolitamente caldo.

E la birra prodotta da Giuseppe e dai suoi parenti scorreva a fiumi.

Non era ancora giunto il ferragosto che le loro scorte stavano terminando.

La famiglia era al settimo cielo!

Quell’anno avevano guadagnato più soldi che in tutti gli altri anni, da quando erano divenuti proprietari della terra che coltivavano.

«Padre, non sarebbe il caso di fare dei conti?»

«A che cosa ti riferisci?»

«Beh, dovremmo vedere quanti soldi abbiamo guadagnato, fatti salvi i pagamenti dei debiti con la banca…»

«Già fatti, figliolo!»

«Quindi?»

Giuseppe era visibilmente eccitato all’idea di una piccola fortuna in denaro.

«Beh, diciamo che potremmo pagare le rate della banca dei prossimi due anni, contando già le spese di produzione per gli anni a venire! Devo ammetterlo, figlio mio… la tua è stata un’idea geniale!»

«Grazie!»

«Come mai ti interessa tanto il gruzzolo? Hai qualche nuova e geniale idea?»

Sua madre, che era lì in cucina, con loro, seduta a rattoppare dei pantaloni da lavoro del marito, abbassò lo sguardo, un sorrisetto sornione le dipinse il volto.

«Beh… ecco…»

«Su, coraggio… Credi di potermi dire qualcosa che mi faccia infuriare? Insomma, hai risollevato le sorti di questa famiglia, dimmi tranquillamente!»

«Beh, ecco… io…»

«Dai! Non sei mai stato un ragazzo timido! Non mi sembra il momento di iniziare ora! Dico bene, cara?»

Lei annuì, il sorriso che le si stava allargando.

Quella situazione di imbarazzo non sfuggì all’uomo che, a quel punto, si rese conto di essere stato tenuto all’oscuro di qualcosa.

«Voi due non me la raccontate giusta… sputa il rospo, figliolo!»

Nonostante il disappunto per essere all’oscuro di un segreto, il vecchio prese la situazione con cordialità…

In fondo, che cosa avrebbero potuto nascondergli di così importante?

«Mi chiedevo se…»

«Dai, mi stai facendo venire il latte alle ginocchia! Spara!»

«Io ho conosciuto una ragazza… e mi piace tantissimo…»

«Oh! Un’altra bella notizia! E questo ti preoccupava? Sono ben contento! E com’è? È di buona famiglia? Che lavoro fanno i suoi genitori? Sono agricoltori anche loro oppure vivono in città? Avete intenzioni serie oppure è solo un divertimento occasionale?» il vecchio era eccitatissimo all’idea che la vita di suo figlio prendesse la giusta svolta!

Non era forse questo lo scopo della vita?

Crescere dei figli e poi godersi i nipoti?

«E’ complicato, padre…»

Una ruga di disappunto segnò la fronte abbronzata e troppo invecchiata dell’uomo.

«Ehm… perdonami se te lo chiedo, figliolo… ma cosa c’è che non va? Lei non ti corrisponde? Oppure…. No, non darmi questa delusione, figlio mio! Non mi dirai che è un uomo!»

«Oh, Signore! No! Ti assicuro che non è un uomo, anzi! È perfetta, bellissima e mi ama anche lei! Giuro, figurati se è un uomo!»

«E allora? Che problema c’è? È forse la figlia di un Giudice, di un Carabiniere? In quel caso sarebbe un problema in funzione della nostra attività! Certo, se fosse la figlia di un Giudice, la sua dote sarebbe cospicua e potremmo quasi smettere con il contrabbando…»

«Ecco, padre! È proprio questo il problema! Lei non ha una dote! È stata caciata di casa, non vede i suoi parenti da un sacco di tempo! Sì, ha un negozietto a Centallo, ma nulla di più! Non sarebbe un buon matrimonio, tanto per capirsi!»

Sua madre levò lo sguardo, sorriso a trentadue denti, gli occhi gonfi di gioia.

Si volse verso il marito, con il linguaggio del corpo gli comunicò di non essere troppo duro con il figlio.

Da sempre, fin dall’epoca dei Romani, vi era la tradizione che la famiglia della sposa mettesse a disposizione una dote, un piccolo tesoretto che “risarcisse” il futuro marito dell’obbligo matrimoniale di mantenere la moglie con il proprio lavoro.

Questa tradizione era ancor più sentita in campagna, dove la dote consisteva spesso in campi che il marito avrebbe coltivato, senza andare ad “intaccare” il patrimonio del proprio nucleo familiare originario.

Certo, fino a pochi anni prima erano solamente “contratti di sub-affitto”, se così si potevano chiamare, perché le terre erano di proprietà dei nobili che concedevano al volgo di coltivarle, trattenendo per sé la percentuale maggiore di prodotti.

Era quindi indispensabile una dote da parte della famiglia della sposa ed un investimento da parte della famiglia dello sposo, in modo che la nuova famiglia potesse auto-mantenersi.

Da quando il Duce aveva concesso agli agricoltori di essere proprietari della propria terra, il concetto di Dote era divenuto ancor più pressante, in quanto non si trattava più di sub-affitti, ma di proprietà in tutto e per tutto!

E, quindi, sposarsi con una ragazza che non possedeva una dote, voleva dire chiedere al proprio padre di privarsi di una discreta percentuale di terra per consentire al figlio ed alla sua sposa, una vita dignitosa senza restare “a carico” del padre dello sposo!

La titubanza di Giuseppe era, dunque, più che motivata!

Il timore del giovane era che il padre non benedicesse quell’unione, rinnegando il figlio se avesse perseverato nel suo intento di contrarre matrimonio.

Questo avrebbe significato essere cacciato di casa, essere diseredato e dover andare a cercare un lavoro, magari in fabbrica a Torino.

Una vita che a Giuseppe non interessava un granché.

Tutti erano in silenzio.

Il padre scambiava gli sguardi con moglie e figlio, rendendosi conto di esser stato vittima di una congiura, se così si poteva chiamare.

La tensione si poteva quasi tagliare con un coltello, tanto permeava la casa.

D’un tratto, la porta d’ingresso si aprì velocemente e da essa sbucò Pietro:

«Salve, famiglia! Ah, questo silenzio imbarazzante… quindi glielo hai detto Giuseppe?» anche Pietro se la rideva sotto ai baffi.

Il padre guardò anche l’altro figlio poi, serio, apri la bocca:

«Dunque, fatemi capire… in questa casa sono sempre l’ultimo a sapere le cose? Cioè, Giuseppe, lo hai detto a tutti e non a me? Potrei offendermi!»

«Padre, non sapevo come… come avresti reagito! Cerca di capirmi, ho chiesto consiglio a loro, la situazione è complicata…»

«Devo sapere un paio di cose: tu la ami?»

«Da morire!»

«Lei sa che cosa facciamo per vivere?»

«Lo saprà se avrò la tua benedizione!»

«Altimenti?»

«La lascerò andare perla sua strada… non è giusto che stiamo insieme se non potremo sposarci»

«Molto maturo, figliolo!»

Il vecchio si prese una pausa.

Si versò un bicchiere di vino, ne bevve un goccio, quasi ad umidificarsi la lingua e poi, serenamente, continuò:

«Facendo finta che io non sia un po’ offeso perché sono stato tenuto all’oscuro di tutto, vorrei fare il punto della situazione: tu hai salvato questa famiglia dai debiti, hai dato nuova dignità al mio, al nostro lavoro, hai evitato che finissimo come i barboni e ci hai dato una ricchezza che mai avrei pensato di possedere! Come ti è venuto in mente che io potessi non esserti grato? Come potevi immaginare che non ti avrei concesso parte della terra che tu hai salvato? Non sono mica un orco! Figlio mio, hai la mia completa e gioiosa benedizione, rendi quella donna felice e fai in modo che io e tua madre possiamo giocare con tanti, tantissimi nipotini! Ed ora, brindiamo!»

Tutti risero felici!

La famiglia era unita più che mai e dovevano festeggiare perché presto si sarebbe allargata!

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.