Numero 06/2023

9 Febbraio 2023

Alla scoperta degli stili birrari: il BJCP!

Alla scoperta degli stili birrari: il BJCP!

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Inauguriamo con questo articolo una rubrica riguardante gli stili birrari come indicati e descritti nelle linee guida del BJCP (Beer Judge Certification Program), facendo riferimento all’ultima versione rilasciata nel 2021 che, come indicato dalle stesse linee guida nei preamboli, è una revisione minore di quella del 2015 la quale a sua volta fu invece una revisione molto consistente di quella del 2008.

 

Innanzitutto, partiamo col raccontare in breve cosa è il BJCP, sigla molto nota nel mondo degli appassionati di birra.

Il Beer Judge Certification Program è un’organizzazione no-profit nata negli Stati Uniti nel 1985 con lo scopo di promuovere la conoscenza e la diffusione di birra, idromele e sidro artigianali e di qualità e soprattutto di standardizzare la degustazione e la valutazione di queste bevande.

Negli anni ’70 negli Stati Uniti esistevano già due associazioni di categoria dei birrai americani: la Brewers Association e la American Homebrewer Association (AHA). Proprio quest’ultima insieme alla Home Wine And Beer Trade Association (HWBTA) supporta la fondazione del BJCP.

Nel 1995 le due associazioni ritirano il proprio sostegno e il progetto prosegue grazie a una gran parte degli stessi giudici formati nel tempo dal BJCP, che come volontari rilevano il progetto e lo portano ad evolversi in maniera indipendente.

 

 

Gli scopi del programma sono, come possiamo leggere sul sito stesso dell’associazione:

 

incoraggiare la conoscenza, la comprensione e l’apprezzamento dei diversi stili di birra, idromele e sidro del mondo;

 

riconoscere e promuovere la degustazione di birra, idromele e sidro e la loro valutazione;

 

sviluppare strumenti, metodi e processi standardizzati per la valutazione strutturata, la classificazione e il feedback di birra, idromele e sidro;

 

certificare e classificare i giudici della birra attraverso un processo di esame e monitoraggio e fornire risorse educative per giudici attuali e futuri.

 

Nei già citati preamboli delle linee guida, una parte importante viene dedicata dagli autori a chiarire gli intenti, gli obiettivi, i limiti di queste linee guida, che, come sottolineato dagli stessi autori, sono andate ben oltre il livello di diffusione e frequenza di utilizzo che si erano prospettati quando sono stati redatti anni fa e questo ha portato non solo ad utilizzi scorretti nelle competizioni ma anche a travisamenti sia dei contenuti che degli scopi originari; in particolare queste linee guida non vogliono essere “una sorta di Stele di Rosetta universale delle birre” ma semplicemente un set standardizzato di descrizioni degli stili da utilizzare nelle competizioni birrarie.

Vengono quindi riportate una serie di “massime” che chiariscono l’intento originale dell’associazione, esse sono puntuali e numerate ma vediamone i concetti in sintesi:

 

– come già sottolineato le linee guida sono pensate per le competizioni birrarie e per rendere possibile la creazione di categorie di giudizio ben definite, non per scopi didattici o comunicativi né per descrivere il mondo delle birre ad una platea più ampia;

 

le linee guida non sono delle specifiche e quindi descrivono caratteristiche comuni alla maggior parte degli esempi prodotti rientranti in quello stile senza voler essere una definizione rigorosa e stringente che penalizzi esempi dello stile con alcuni caratteri insoliti o non perfettamente aderenti, anzi la creatività e le innovazioni devono essere incoraggiate valutandone con ragionevolezza l’effettiva qualità e l’impatto positivo sullo stile. Insomma ciò che conta nella valutazione è l’impressione generale e il bilanciamento di una birra, quindi che sia un prodotto buono, godibile e di qualità e che non sia completamente fuori dai range dello stile. Peraltro le birre in commercio, ovviamente, non si adattano in maniera perfetta e puntuale agli stili riportati;

 

le linee guida sono usate per scopi diversi da quelli originari spesso anche in maniera positiva, finché non vengono interpretate in maniera errata o prese per oro colato questo può avere  risvolti positivi per lo sviluppo del mondo birrario (ad esempio alcuni homebrewers e birrai artigianali le utilizzano per riscoprire stili storici che stanno andando perduti);

 

gli stili descritti cambiano nel tempo sia all’interno delle linee guida stesse, sia in un senso più ampio inteso in termini storici; perciò, alcuni stili che oggi mantengono il nome di stili storici potrebbero essere totalmente diversi da quelli originari, lo scopo è quello di descrivere gli stili moderni e attualmente diffusi. Si precisa inoltre che non è stato definito ogni stile di birra esistente per varie ragioni (potrebbero esserci stili di nicchia o che attualmente non sono prodotti o ancora su cui non ci sono esempi e documentazione sufficienti per definire uno standard). Oltretutto, come possono cambiare gli stili, possono farlo anche gli esempi prodotti in quello stile, facendo sì che una birra che è ritenuta un classico di uno stile, non lo sia più col passare del tempo e questo anche perché gli ingredienti stessi cambiano nel tempo (un esempio lampante è il continuo diffondersi di nuovi luppoli);

 

– poiché il mondo della birra e di conseguenza gli stili sono in continua evoluzione ma lo scopo del BJCP è anche quello di condurre esami per l’abilitazione di futuri giudici non si possono proporre nuove linee guida in maniera troppo frequente, quindi, per ovviare a questo problema, sul sito di BJCP c’è un elenco di Stili Provvisori che sono in via di valutazione per essere accettati in futuro all’interno delle linee guida, elenco che permette una certa flessibilità senza andare a modificare radicalmente la versione attuale delle linee guida; a corredo di esso c’è anche una lista di suggerimenti per l’inserimento di uno stile non esistente tra quelli proposti dal BJCP nelle competizioni.

 

Il BJCP suddivide le varie tipologie di birre in Categorie, Sottocategorie e Stili.

Le prime rappresentano la macroarea più ampia e sono arbitrari raggruppamenti di stili di birra con caratteristiche sensoriali simili, il cui scopo è facilitare il giudizio durante le competizioni birrarie che scelgono di adottare i principi del BJCP (peraltro specificando che all’interno delle competizioni si possono creare categorie distinte da quelle delle linee guida); gli autori proseguono dicendo che non si deve dare ad esse significati riconducibili a criteri di suddivisione geografica e/o storica.

Su questo ultimo punto si insiste particolarmente, sottolineando come le categorie proposte, se sicuramente hanno lo scopo di facilitare i giudici nell’esprimere i loro giudizi nel corso delle competizioni, non sono probabilmente altrettanto valide dal punto di vista didattico ed educativo perché per comprenderne storia, sviluppi e caratteristiche sarebbe meglio utilizzare raggruppamenti alternativi, proponendo, in una delle Appendici alle linee guida, una serie di categorizzazioni alternative (tra le quali raggruppamenti per famiglie di stili, per Paese di provenienza, per categorie storiche).

Stili e Sottocategorie possono essere usati come sinonimi e identificano con una descrizione le caratteristiche distintive di un tipo di birra, rappresentando lo strumento fondamentale per il giudizio e la valutazione.

Altre precisazioni si hanno riguardo ai nomi utilizzati per gli stili che sono funzionali ad una rappresentazione corretta di essi all’interno del sistema di categorizzazione proposto (ad esempio ad alcuni stili che hanno una denominazione comune può essere stato aggiunto un riferimento geografico di origine come per le Porter).

 

Abbiamo poi la descrizione delle voci che compongono il formato standard utilizzato per la descrizione di uno stile.

Le voci sono le seguenti:

 

Impressioni generali: qui viene fatta una panoramica generale dello stile per descriverne i punti essenziali che lo caratterizzano (viene definita come una descrizione che potrebbe essere fatta ad un consumatore generico ma più approfondita);

 

Abbiamo poi le sezioni che descrivono i fondamentali elementi sensoriali che definiscono uno stile, le descrizioni si concentrano sulle percezioni che derivano dagli ingredienti e sono scritte affinché un giudice esperto possa comprendere cosa ci si aspetta da una birra (per esempio dire che si hanno al gusto note di malto è un riassunto efficace se si ha idea di quali siano queste note).

 

Aroma: i sentori che emergono dall’analisi olfattiva della birra;

 

Aspetto: il colore e i descrittori tipici dell’analisi visiva di una birra (limpidezza, brillantezza, elementi riguardanti la schiuma);

 

Gusto: il gusto complessivo e i sapori presenti nella birra, oltre che il livello di dolce e amaro e il loro bilanciamento;

 

Sensazioni Boccali: le sensazioni “meccaniche” e fisiche della birra sul palato a partire dal corpo ma anche la carbonazione, l’acidità e l’astringenza;

 

Abbiamo poi altre voci a corredo delle precedenti, che offrono maggiori approfondimenti su alcuni aspetti della birra:

 

Commenti: sezione che contiene curiosità e informazioni aggiuntive sullo stile, le quali non riguardano la valutazione sensoriale;

 

Storia: brevi riepiloghi dei momenti salienti dello sviluppo storico di uno stile dalla nascita in poi (non rappresentano una ricerca storica approfondita degli stili);

 

Ingredienti Caratteristici: vengono identificati ingredienti e processi produttivi tipici che determinano i caratteri distintivi di uno stile (non vanno considerati come ricette o requisiti);

 

Confronto con altri stili: per comprendere meglio uno stile con cui non si ha familiarità rispetto ad altri più noti;

 

Istruzioni per le iscrizioni: sezione che identifica le informazioni necessarie ai giudici per valutare la birra iscritta alla competizione, informazioni che devono essere fornite dal partecipante per essere trasmesse ai giudici (una serie di elementi oggettivi ma anche commenti aggiuntivi e opzionali dei birrai);

 

Statistiche essenziali: le informazioni numeriche generali di uno stile riguardanti alcuni parametri come la densità iniziale e finale (OG e FG), il grado alcolico (ABV), l’amaro calcolato in IBU e il colore espresso secondo la scala SRM;

 

Esempi in commercio: una selezione degli esempi attualmente in commercio ritenuti rappresentativi di uno stile, i quali non devono essere usati come parametro di valutazione ma solo per farsi un’idea dello stile (N.B. nel corso delle trattazioni future ci riserveremo di inserire esempi in commercio degli stili descritti in parte diversi da quelli presenti nel BJCP e questo perché, nella stragrande maggioranza dei casi, gli esempi riportati afferiscono al mercato americano e sono di reperibilità molto difficoltosa nel mercato italiano, proveremo così a proporre prodotti effettivamente acquistabili da chi vuole assaggiare una birra dello stile di cui parliamo);

 

Tags (etichetti/riferimenti): etichette riassuntive su attributi specifici di uno stile, esse sono poi esplicitate in una sezione apposita e divise nelle seguenti categorie: grado alcolico (per le quali ad esempio sono bassa gradazione, gradazione media, gradazione elevata, gradazione molto elevata), colore, fermentazione, regione o zona di origine, famiglia di stili, periodo di creazione dello stile e gusto predominante.

 

Nei preamboli una parte importante, creata sempre con lo scopo di rendere fruibili, comprensibili e utilizzabili al meglio le linee guida, è quella riservata al linguaggio utilizzato per la descrizione degli stili. Ci sono vari chiarimenti anche da questo punto di vista a partire dall’uso dei sinonimi, utilizzati per rendere la lettura più scorrevole ed evitare ripetizioni continue degli stessi termini e non già per voler dare a parole specifiche un senso diverso rispetto ad altre simili (alcuni esempi sono light e low, medium e moderate, deep e dark). Altre precisazioni riguardano l’utilizzo di costrutti per indicare la necessarietà o meno di determinate caratteristiche nella birra o anche l’utilizzo di aggettivi qualificativi e lettere maiuscole o minuscole, tutto ciò sempre nella stessa ottica: chiarire che non bisogna concentrarsi su singole frasi o parole per estrapolarne significati nascosti o sottintesi ma che l’intento primario è sempre la valutazione complessiva di una birra e delle sue caratteristiche generali (impressioni, bilanciamento, correlazione con altri stili ecc.).

È presente anche un Glossario dei termini tecnici utilizzati, di quelli che potrebbero risultare ambigui e delle abbreviazioni.

Infine, abbiamo anche la descrizione di alcuni assunti di base e di attributi comuni riguardanti tutti gli stili di birra che vengono esposti per evitare inutili ripetizioni di concetti basilari e dati per scontati nella valutazione di una birra.

Tra questi ovviamente abbiamo la moderna suddivisione delle birre a seconda dei lieviti utilizzati (fermentazione alta, bassa, spontanea e wild o selvaggia per la quale si intende una birra con lieviti inoculati non-Saccharomyces), il presupposto di assenza di difetti sia produttivi che causati dall’imballaggio, dal trasporto o dalla cattiva conservazione della birra, l’assenza di sensazioni boccali non chiaramente specificate o anche le indicazioni delle impronte che determinati ingredienti tradizionali possono imprimere (per esempio la presenza di leggere note sulfuree nelle lager tedesche).

 

 

Per concludere qualche parola sul perché si è ritenuto importante questo cappello introduttivo così ampio e un’analisi del perché nel corso del tempo il BJCP è diventato croce e delizia degli appassionati di birra, dei mastri birrai, degli homebrewers, dei publican suscitando reazioni contrastanti e discussioni.

Sicuramente il BJCP sconta una visione “americanocentrica” che possiamo spesso ritrovare negli statunitensi in diverse discipline e branche del sapere. In particolare nel nostro caso una certa tendenza alla standardizzazione a tutti i costi si unisce a questa visione finendo a volte per appiattire la grande complessità storica, geografica e produttiva della produzione birraria europea, con le sue tipicità, le moltissime differenze regionali e locali, i differenti metodi produttivi che portano ad una vastità e ad una forte eterogeneità difficilmente inquadrabili, che donano un sapore romantico e che come in altri ambiti la più giovane (e differente sotto molteplici aspetti) cultura americana non riesce a cogliere ed esprimere rendendo la dovuta giustizia (e forse il dovuto rispetto). Certo, come abbiamo ben chiarito con le loro stesse parole in questa introduzione, gli intenti degli autori e dell’associazione non erano certo questi ma uno strumento che così diffuso e che è divenuto uno standard così ampiamente riconosciuto e utilizzato, oltre che la più ambita certificazione nel mondo per chi voglia diventare un giudice nei concorsi ad elevati livelli, non può non lasciare traccia nel pensiero comune di chi a vario titolo fa parte della grande comunità della birra e della sua produzione.

Un esempio recente di ciò lo abbiamo visto nel trattamento riservato allo stile IGA (Italian Grape Ale), che pur avendo una matrice prettamente italiana grazie al felice connubio fra il vino, storica eccellenza italiana, e la birra, è stato declassato a stile locale e sostituito negli stili canonici da un più generico “Grape Ale”.

Un’altra critica mossa, e qui entriamo più nel merito del metodo scelto della redazione delle varie descrizioni degli stili è a volte una certa ambiguità nella spiegazione dei descrittori e delle caratteristiche che deve possedere una birra di un determinato stile; un esempio può essere quello delle intensità di aromi o sapori che a volte sono troppo ampie e lasciano un margine di interpretazione elevato (es. un aroma che può essere da “non presente a moderatamente elevato”).

D’altro canto al BJCP bisogna dare l’indubbio merito di aver contribuito in maniera determinante (insieme alle varie associazioni birrarie sorte nei singoli Paesi) alla diffusione della conoscenza della birra e alla promozione di prodotti di qualità che premiano il lavoro dei mastri birrai e sempre a quest’associazione dobbiamo invece di aver creato un sistema di formazione, educazione, certificazione dei giudici e di standardizzazione dei giudizi di elevato livello, che permette nei grandi concorsi di avere persone molto preparate e con conoscenze a tutto tondo sulla birra, le quali si cimentano con passione nel giudicare i prodotti e nell’assegnare i premi (l’esame BJCP, come si può evincere dalle pagine dedicate ad esso sul sito e dalle parole da chi in prima persona vi si è cimentato, è davvero impegnativo).

 

Dopo questa lunga introduzione ci accingiamo quindi a entrare nel mondo degli stili come descritti nel BJCP, seguiremo l’ordine delle categorie e degli stili come proposto nelle linee guida.

Ad ogni stile verrà dedicato un articolo della rubrica, soffermandoci brevemente anche sulla descrizione della Categoria, prima di parlare dello stile, quando ne incontreremo un nuova.

In base a quanto detto sopra cercheremo anche di chiarire le descrizioni del BJCP quando risulteranno ambigue o troppo vaghe, cercando di stringere il campo basandoci sullo stato dell’arte attuale delle birre di quello stile, prodotte e distribuite dai birrifici italiani ed europei.

 

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Giacomo Scappaticci
Info autore

Giacomo Scappaticci

Sono nato e cresciuto a Roma, città dove vivo attualmente. Nella vita, dopo essermi laureato in Economia, ho intrapreso la carriera di programmatore informatico, lavoro che svolgo tuttora.
Proprio durante gli anni della laurea mi sono appassionato al mondo della birra artigianale grazie al Buskers e al suo publican Mirko, che ha aperto a due passi dall’università proprio nel corso del mio primo anno. Da lì è stato un continuo immergersi nel mondo di questa bevanda (mondo che seppur già presente da anni a Roma, stava sbocciando con maggior forza proprio in quegli anni): conoscendo piano piano nuovi stili, frequentando vari locali e soprattutto i festival. In tempi molto recenti la passione mi ha portato anche a frequentare due corsi di degustazione, con cui approfondire in maniera più consapevole le mie conoscenze.