Numero 10/2017
11 Marzo 2017
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 22
La serata trascorse lieta e spensierata, per Giuseppe e Beatrice.
I canti popolari in lontananza, le fisarmoniche che suonavano, flauti che allietavano con le ancestrali note di canti medievali o forse ancora più antichi.
Il cielo era sgombro di nubi, la luna crescente e le stelle abbondavano luminose, nel firmamento.
In lontananza il chiarore del grande falò creato per scoppiettare fino a notte fonda nella piazza centrale di Centallo, l’illuminazione pubblica cittadina spenta per l’occasione.
Fantasticamente romantico!
Ed i due, nonostante la discreta quantità di alcol bevuto e l’assenza di genitori gelosi dei propri figli ed un po’ troppo bigotti, non si lasciarono sopraffare dall’attrazione fisica.
Il loro fu un incontro romantico, platonico in vero, denso di chiacchiere complimenti più o meno velati.
Solo quando la musica, che aveva fatto da sottofondo a tutto il loro incontro, cessò, i due si resero conto che le ore erano trascorse.
«Accidenti, come vola il tempo quando ci si diverte!» disse lui, sorridendo.
«Sì… hai ragione…»
«Mi sembri turbata… ho forse detto qualcosa che non va bene?»
«No, no, anzi!»
«Quindi?»
«E’ solo che…»
«Che?»
«Diciamo che vorrei concludere la serata c… »
«Ah, ho capito… scusa se ti ho disturbato!» tagliò corto lui, interrompendola.
In quel momento Giuseppe si sentì uno stupido ad aver sprecato tutta la serata con quella ragazza, anziché escogitare un piano alternativo per rubare le casseruole per le quali era andato alla festa.
Fece uno scatto e si alzò in piedi.
Una mano lo afferrò per il polso, a trattenerlo:
«Sei un tipo piuttosto impulsivo, vero?»
«Sì. Ma soprattutto mi spiace averti annoiato…»
«Piccola lezione per il futuro: lascia che le persone finiscano le frasi, poi giudichi se scattare come un fulmine oppure no!»
«Che cosa vorresti dire?»
«Se tu mi avessi lasciato finire, forse uno scatto lo avresti fatto, ma non so se in quella direzione…» lei sorrise dolcemente e maliziosamente allo stesso tempo.
«La cosa mi incuriosisce…» ammise lui, notando quel sorriso particolare.
«Bene! Posso continuare da dove mi hai interrotta?»
«Prego!»
«Grazie!»
Lei inspirò profondamente, quasi per infondersi un coraggio ed una spavalderia che aveva perso proprio in quel momento:
«Mi sono divertita tantissimo! Ho bevuto molto vino ed ho chiacchierato con un ragazzo molto affascinante ed intelligente. Questa splendida serata può concludersi in due modi: il primo è che ci salutiamo e che ci ripromettiamo di rivederci, chissà quando, magari tra un anno sempre a questa festa».
Lei respirò nuovamente.
A lui venne un groppo in gola, il cuore gli batteva forte.
Lui sperava che la seconda opzione fosse migliore.
Nettamente migliore.
«La seconda opzione qual è?»
Lei respirò di nuovo.
Esercitò forza sul polso di lui, quello che aveva afferrato poco prima e che non aveva ancora lasciato.
Lo tirò a sé e lui, quasi come sotto l’influsso magico di una stregoneria, si fece tirare, agevolando il movimento lento e costante, ma al contempo timoroso.
«Quindi… questa opzione?» chiese lui sottovoce quando i loro visi furono a pochi centimetri l’uno dall’altro.
I bellissimi occhi di lei, illuminati dalla luna, sembravano quasi sorridergli:
«Baciami, stupido!» sussurrò.
Le labbra dei due giovani si unirono in un caldo, intenso bacio.
La notte era ancora giovane.
E loro si baciarono ancora per ore ed ore, lei seduta su di lui sul gradino dell’uscio di casa di lei.
Non vi fu null’altro, ma per il momento ai due bastava ciò.
Il profumo di Beatrice inebriava i sensi, le carezze della sua mano svegliarono in Giuseppe desideri ancestrali, carnali.
Ma non ci fu nulla di più.
Solo il gioco della seduzione, il gioco sempre nuovo ed eccitante dell’amore.
Giunsero in fretta le cinque del mattino e quell’ora li trovò ancora accoccolati intenti in effusioni.
Assieme all’alba che stava per giungere, giunse anche una voce familiare a Giuseppe: quella di suo fratello che chiamava il suo nome a voce bassa, non volendo svegliare nessuno.
Lui stacco le labbra da quelle di Beatrice e, guardandola ancora una volta in quei grandi occhioni da cerbiatta, le disse:
«Devo andare… mio fratello mi cerca. Probabilmente è ubriaco e so già come potrebbe andare a finire… sveglierebbe mezzo paese…»
«Devi proprio?»
«Sì… ma non vorrei, lo giuro!»
«Se vi invitassi a mangiare colazione? Potremmo stare ancora un po’ insieme, non credi?»
«Vorrei dirti di sì, ma devo proprio andare…»
«Ma io sto così bene qui con te…»
«Anche io. Ma devo proprio andare…»
«Senti…»
«Dimmi!»
«Ci… ci rivedremo?»
«Mi vuoi rivedere?» chiese lui, facendo una smorfia di finto stupore.
«Certo, stupido!» rispose lei colpendolo con una manata leggera sul petto, in segno di sdegno, anch’esso simulato.
«Ah, e io che pensavo che ti stessi annoiando!» rispose lui per provocarla ulteriormente.
«Hai ragione, infatti normalmente passo le mie notti a baciare tutti i perfetti sconosciuti che passano davanti a casa mia! In effetti tu sei il decimo che accalappio nottetempo, di questo mese! Anzi, sono io che ti chiedo di andartene…sai com’è… tra un paio di ore torna a casa il mio fidanzato e sarebbe scomodo se tu fossi ancora qui!»
Lui assunse un’espressione offesa, al limite dell’ira!
E se quelle affermazioni fossero state vere?
In un secondo fu catapultato nel vortice della gelosia!
Lei rise di gusto:
«Avresti dovuto vedere la tua faccia! Ahahahah! Era uno spasso! Si già geloso?»
«Beh, io? No, no, figurati!» fece lui, fingendo distacco, tentando di recuperare la calma.
«Ah, sembrava di sì!»
Lei lo baciò di nuovo, ancora una volta.
Poi, seriamente gli disse:
«Non mi hai ancora risposto… ti rivedrò?»
«Prima di quanto pensi… so anche dove abiti!»
«Ti aspetto, allora…»
«Conterò le ore!»
Si baciarono ancora una volta poi, lui, si dileguò seguendo il suono della voce del fratello che trovò non appena girato l’angolo, giusto ad un paio di case di distanza.
«Giuseppe! Dove eri finito?»
«E’ una lunga storia, te la racconterò! Gli altri?»
«Ubriachi che dormono nel carro».
«Bene, tu invece? Come stai?»
«Alticcio, lo ammetto. Che facciamo?»
«Il fuoco è spento da ore e le pentole si saranno raffreddate. Cerchiamole, per me le hanno lasciate vicino al falò! Le rubiamo e torniamo a casa. Questa volta non fare rumori molesti, d’accordo?»
«Va bene! Ma sbrighiamoci, sta albeggiando!»
I due fratelli, furtivi come due volpi, trovarono rapidamente le pentole ancora sporche, in attesa di essere lavate a dovere quella mattina, poche ore più tardi.
Riuscirono nell’impresa.
Il ritorno a casa con il sole nascente fu, per Giuseppe, l’alba più bella della sua vita.