Numero 33/2017

19 Agosto 2017

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 44

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 44

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Il gruppo di persone uscì dalla casupola di campagna.

Nonostante si fosse ripromesso di non uscire correndo, per non dare nell’occhio, Pietro, una volta che vide i partigiani correre a perdifiato, decise di iniziare ad avanzare più velocemente, per tenere il ritmo.

E Giuseppe?

Lui, invece, non si stava minimamente preoccupando di quello che avrebbero pensatoi suoi vicini, anzi!
L’adrenalina che aveva in corpo stava annichilendo qualunque suo altro sentimento, qualunque sensazione, qualunque moto di insicurezza, contrastante con le azioni che stava compiendo.

Stava fuggendo, con sua madre e con suo fratello assieme a degli uomini appena conosciuti, ai quali aveva salvato la vita divenendo, per ciò che aveva compiuto, un ricercato lui stesso.

Giuseppe lo sapeva…

Sapeva che da quel giorno, fino all’ultimo dei suoi giorni, sarebbe stato un ricercato.

Sapeva che lo Stato, che il Duce ed il Re stessi, avrebbero desiderato personalmente la sua morte!
sapeva di non avere scampo alcuno.

O, per meglio dire, sapeva che l’unica via per garantirsi almeno un altro giorno in più in questa “valle di lacrime” che lui chiamava “vita”, passava attraverso la fiducia.

La fiducia in quegli uomini appena conosciuti.

La fiducia in quelle persone che, nei suoi confronti, avevano contratto uno dei debiti più grandi di tutti: la vita stessa.

Non sapeva cosa sarebbe accaduto a lui ed alla sua famiglia, non lo poteva neppure immaginare.

Sapeva solo che se fosse restato lì, nella casa che lo aveva visto nascere e crescere, quel luogo lo avrebbe anche visto morire, ucciso dai proiettili dei Carabinieri o dei Fascisti, a seconda di chi fosse giunto prima sul luogo dell’omicidio.

Tutti correvano, veloci come se fossero braccati da dei lupi famelici.

Perfino la madre di Giuseppe e di Pietro teneva agevolmente il ritmo di tutti quegli uomini, giovani e prestanti.

Il gruppetto, uscendo dall’abitazione della famigli Vijnai, non aveva percorso la via principale, quella che passava in mezzo ai campi.

La via che conduceva alla borgata, per quanto fosse “bianca”, sterrata, era comunque di facile accesso per le automobili.

Era palese che un inseguimento sarebbe risultato estremamente svantaggioso per il gruppo di fuggiaschi.

Pietro si voltò subito, a guardare i vicini assiepati come gli avvoltoi sui trespoli, titubanti agli usci delle loro abitazioni.

Un rapido sguardo al Vecchio Elia, ad Annibale, alla zia di tutti, l’ottantenne “zitella- Maria Pia”. Percepì che tutti li guardavano con disprezzo, paura.

Anche i bambini, vide il giovane Emanuele, sei anni, vide Giacobbe di quattro e Filiberto di otto.

Tutti li stavano guardando con il terrore negli occhi, quasi additandoli come la peggior feccia che l’umanità avesse mai visto.

Tutti, nessuno escluso.

Il gruppo di fuggiaschi tagliò subito per i campi.

Pietro, quasi nostalgicamente, quasi a voler giustificare quella insensata situazione, si fermò al limitare del campo di Frumento che soggiaceva dinnanzi alla propria abitazione.

Levò il braccio, a salutare quelli che erano gli amici ed i vicini di una vita.

Al suo gesto, solitamente così amichevole e ricambiato con un gesto altrettanto amichevole e gradito, la risposta fu del tutto inaspettata.

I bimbi scapparono in casa, le madri e le donne tirarono le tende alle finestre ed un paio di uomini avevano imbracciato i fucili da caccia in casa ed erano ricomparsi alle porte mostrandoli come monito.

Non c’era più niente per lui e per tutti loro, lì.

Di questo anche il ragazzino ne era certo.

La galera, l’umiliazione dello stupro, la morte interiore, l’omicidio ed ora…

Ora questo!

Ci sarebbe mai stato un momento felice nella sua vita?

Per un attimo, solo per un secondo, a Pietro si imperlarono gli occhi.

Stava per piangere, piangere a dirotto.

Si sarebbe volentieri accasciato ed avrebbe atteso che i militari giungessero per catturarlo.

Forse, e per un attimo l’idea gli balenò veramente nel cervello, avrebbe tentato una flebile resistenza, quel tanto che sarebbe bastato a scatenare la reazione dei Carabinieri…

Quel tanto che sarebbe servito a far sì che loro aprissero il fuoco su di lui, uccidendolo e ponendo così fine a quella infame vita di sofferenze.

Stava per accasciarsi, le ginocchia già leggermente flesse, in atteggiamento remissivo.

Ancora tre, quattro gradi di inclinazione delle ginocchia ed il peso del giovane avrebbe trascinato tutto il corpo in ginocchio, in attesa della sentenza tanto agognata!

Fece per cedere, quando un braccio possente lo sorresse per il coletto:

«Che diavolo fai Pietro?» era suo fratello, pronto ancora una volta a difenderlo.

«Sono stanco… non voglio più lottare…»

«Non dire idiozie! Non mi sono condannato di nuovo a morte per vederti mollare, è chiaro? O vieni ora oppure ti ammazzo io con le mie stramaledettissime mani! Chiaro?»

«S-sì…»

«Bene, ed ora muoviti! Passi lunghi e ben distesi!»

Attraversarono il campo di grano in diagonale.

In seguito ne attraversarono altri due.

Poi giunsero al limitare di un bosco.

Quell’agglomeratodi piante, alberi ed arbusti era ben conosciuto da tutti i presenti!

Era un bosco di latifoglie, fitto in quella stagione, che si estendeva da Fossano fino ad una Frazione di Cuneo, detta “Ronchi”.

Un ottimo posto per nascondersi.

Un ottimo posto per giungere nella più grande città della zona.

Cuneo, nonostante l’isolamento tipico della Provincia, contava quasi trentacinquemila  abitanti, a quel tempo. Una cifra ragguardevole, in vero.

Un latitante avrebbe tranquillamente potuto nascondersi in quel luogo, in attesa di poter giungere in una metropoli come l’ex capitale, Torino, laddove avrebbe, tranquillamente, fatto perdere le proprie tracce.

Secondo Giuseppe era quello l’obiettivo dei due giovani che stavano conducendo il gruppo.

Quando, senza dire nulla, i due Partigiani eseguirono un “cambio di Rotta”, costringendo il gruppetto, ormai immerso nella boscaglia e quasi mimetizzato con essa, a virare verso Savigliano, altra cittadina della campagna piemontese, diametralmente opposta rispetto a Cuneo, Giuseppe si insospettì.

«Dove stiamo andando?» chiese.

«Dove credi che stiamo andando?»

«Non so… magari Cuneo, per poi andare a Torino? Magari in un rifugio in val Susa, o magari in Svizzera…»

«Amico, ti sono debitore della Vita … fidati, non lo dimenticherò! Ma non ho né il tempo, né le energie per condurti in Svizzera…  e poi… tu sei un bravo combattente!»

«Quindi… dove ci stai conducendo?»

«Al nostro Campo base!»

«Per far cosa?»

«Che domande… ormai, che lo vogliate oppure no…. Voi combatterete! Siete Partigiani!»

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.