Numero 36/2017

9 Settembre 2017

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 47

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 47

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Il viaggio verso l’accampamento segreto dei Partigiani durò ancora diverse ore, da quando il gruppetto era riuscito ad uccidere i fascisti al suo inseguimento.

Il terreno impervio e le vesti poco adatte alla scalata, nonché la naturale lentezza della madre dei due ex galeotti, ormai avanti con gli anni e sfinita da quell’orgia di emozioni vissuta in quell’ultima giornata, costrinsero il quintetto ad accamparsi alla bell’e meglio in mezzo alle fitte fronde.

L’alba li colse quasi tutti avvolti dal caldo abbraccio di Morfeo.

Non tutti.

Non Giuseppe.

Lui era seduto, vigile e pronto ad intervenire, fucile carico in mano.

“ E siamo a sei…” pensò, “ sei persone alle quali ho tolto la vita… perfino qui detenuti… e quelle camice nere… tutti avranno avuto una famiglia! Una moglie… dei figli, dei padri e delle madri. Ed io li ho uccisi! Stolto cane che non sono altro! Ma cosa diavolo vado a pensare? Quelle persone volevano uccidermi! Mi sono solo difeso!”

Il ragazzo era in preda al rimorso.

Il rimorso di aver ucciso delle persone.

Degli uomini che, come lui, combattevano per non morire!

L’unico per il quale non si pentiva minimamente era O’Gigante, beninteso… ma non era di lui o dei suoi parenti che si preoccupava!

Quelli che più lo angustiavano erano i parenti di quelli che erano morti il giorno prima!

Loro, sì, che gli causavano rimorsi!

Chi era lui per levare la vita a qualcuno?

La stessa vita che Dio aveva donato loro?

Era scritto anche nel vangelo “a nessuno è consentito privare un uomo del dono più grande che Dio ha concesso lui, la vita!”

Ma quelle stesse persone, quelle che lui aveva soppresso, allo stesso tempo stavano tentando di uccidere lui!

Poteva, dunque, ritenersi innocente dinnanzi agli occhi del Padre Celeste?

Avrebbe potuto lui, una volta deceduto,  presentarsi al cospetto di  Dio e ricevere l’assoluzione?

Era veramente stata, la sua, legittima difesa? E tale concetto, così umanamente comprensibile, sarebbe stato accolto, a tempo debito, dal Padre Celeste?

Il giovane non aveva chiuso occhio, preda di quelle cupe riflessioni.

“Uccidere ti cambia dentro!” dicevano i vecchi.

Stronzate, pensava lui… tutte parol vuote di chi non ha mai levato la vita a nessuno!

Di tutti quelli che gli avevano parlato di ciò, neppure uno gli aveva confidato la cruda verità: nessuno aveva mai parlato degli occhi del moribondo!

Quando vedi la vita scivolare via, abbandonare gli occhi di chi ti sta di fronte…

Sapere che sei tu, quello che gliela sta facendo scivolare via…

Quell’attimo…

Quello in cui vedi il tuo riflesso nelle pupille ingigantite di chi muore, quando la lacrimazione degli occhi aumenta, un attimo prima che essi divengano opachi, tristi, esanimi…

Quell’immagine, quella del Demone che hai risvegliato…

Quella è la vera tortura, il vero inferno interiore che tutti gli assassini si portano dentro per tutto il resto dei loro giorni!

È l’immagine più cruda che uomo possa vedere, l’incubo che ti sveglia di soprassalto la notte…

I saggi dicono che la Guerra ti cambia.

Questo è sicuramente vero, ed anche Giuseppe lo credeva.

Lui non avrebbe mai  più dormito sonni tranquilli.

Forse, ma solamente un giorno quando quell’orrore che stava vivendo sarebbe stato lontano decenni, allora avrebbe potuto riposare bene, in pace.

Senza incubi.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime che stavano per sgorgare fragorose in un pianto sommesso ma sincero, quando una mano gli si posò sulla spalla:

«Ragazzo, tutto bene?» era il partigiano più anziano, più esperto.

«Sì, sì… mi deve essere entrato qualcosa nell’occhio e…» cercò di giustificarsi strofinandosi.

«Non mi mentire, ragazzo…»

«Come?»

«Il tuo è lo sguardo di una persona dolce, reso rude e spietato dalla necessità di sopravvivere! E quelle, non te ne vergognare, sono le lacrime tipiche di un uomo che conserva ancora la propria umanità!»

«Come dici?»

«I tuoi occhi… i tuoi grandi occhi tristi… stavi pensando a quelli che hai ucciso, non è così?»

«E tu come fai a…»

«Non sono sempre stato un partigiano, sai? Ero un uomo normale, prima. Ho svolto il servizio militare, come tutti, ma nulla di più! Ho deciso di combattere quando i fascisti hanno deciso di irrompere in casa mia… hanno stuprato ed ucciso mia moglie e mia figlia… Dio santo, aveva solo dodici anni, eppure sembrava già una donna! Porci schifosi! Hanno tentato di uccidere anche m, sai?» l’uomo sulla quarantina mostro quasi tronfio una cicatrice che aveva sul petto e sulla schina; un proiettile che lo aveva trapassato.

Riabbassandosi la camicia, continuò:

«Effettivamente credevo anche io di essere morto, quindi i fasci non si curarono di accertarsi che realmente lo fossi. Mi sono ripreso. I Partigiani mi hanno curato. Li ho cercati e li ho trovati! Erano in tre. Riuscii ad ucciderli tutti quanti! Con loro c’era anche un ragazzetto, una specie di apprendista di ronda con loro. Per Dio, non aveva quindici anni! Uccisi anche lui. In fondo era un fascista, ed io lo odiavo a priori. Sai che cosa feci, quando ebbi terminato la mattanza?»

«No…»

«Piansi!»

«Ti eri vendicato… è normale che tu fossi felice!»

«Ed è qui che ti sbagli!» lo sorprese «Piansi, ma non di gioia!»

«E per cosa…»

«Per quel ragazzino! Neanche quindici anni, con ogni probabilità non aveva neppure provato i piaceri di una donna… ed io l’ho privato di tutto! Un colpo di pistola, BANG, e da lui neppureun lamento! Mi ricordò mia figlia… lei avrebbe avuto i suoi anni, in quel periodo, se non fosse morta. Ed uccidere lui, in un modo o nell’altro, mi sembrò come ucciderla di nuovo!»

Giuseppe notò che l’uomo stava piangendo.

«Deduco che il dolore resta per sempre, dico bene?»

«Puoi diventare un assassino provetto… puoi far finta che nulla succeda… puoi fingere con tutti che un morto sia solo una “tacca” in più nel tuo curriculum di guerriero… ma la verità è che tu vedrai i volti di tutti quelli che hai ammazzato per tutto il resto dei tuoi giorni…»

«Non è incoraggiante…»

«Non lo voleva essere… ed ora, forza… svegliamo tutti! Un paio di ore di cammino e saremo arrivati. Lì c’èun ruscello, un bagno fresco vi rimetterà in sesto!»

Nessun altro ostacolo sbarrò loro la strada.

Nessun imprevisto.

Anche il clima fu compiacente.

Poco più di due ore dopo l’alba il gruppo giunse nell’accampamento in mezzo ai boschi.

Molte casupole di legno e pietra, tenuti insieme da una fanghiglia argillosa.

I tre si stupirono dell’aspetto povero ma efficiente del luogo.

Ma quello che stupì di più Giuseppe e Pietro fu una ragazza, in mano una cesta con dei panni bagnati, presumibilmente lavati al ruscello di cui aveva parlato il partigiano.

Giuseppe trasalì:

«Non ci credo… Beatrice?!»

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.