Numero 16/2019

17 Aprile 2019

Birrificio Pontino: un team preparato in continua ricerca di qualità e novità!

Birrificio Pontino: un team preparato in continua ricerca di qualità e novità!

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In provincia di Latina e non solo il birrificio Pontino è un punto di riferimento per gli amanti, gli appassionati e ovviamente i curiosi di birra artigianale. Un team di persone preparate in continua ricerca di qualità e novità. Tutte le loro birre hanno un forte carattere e cercano sempre di portare anche i prodotti del territorio. Hanno ricevuto diversi riconoscimenti tra cui Gambero Rosso e Slow Food. Le loro ricette vi lasceranno a bocca aperta e garantisco che avrete la voglia di correre da loro per assaggiare tutto!  La loro veste grafica è particolarissima, racconta molte cose di loro e del loro stile.

Questa primavera gli amanti della birra sour non possono assolutamente mancare la ACID QEEN con delle tecniche ricercate come sanno fare solo i ragazzi del Birrificio Pontino!

Ringraziamo per questa intervista Matteo Boni l’ideatore del Birrificio Pontino, Egidio Palumbo amministratore delegato, Roberto Tofani e Stefano Ruffa.

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Progetto Pontino: qual è la vostra storia e quali sono le tappe fondamentali del vostro sviluppo? 

Se partiamo dagli inizi, è simile a quella di molti altri: homebrewing, la voglia di sperimentare e mettersi in gioco. Da parte nostra, però, c’era anche la voglia di creare un punto di incontro nel nostro territorio per amanti e appassionati di birra artigianale. Tra il 2009 e il 2010 nasce il progetto Birrificio Pontino. I primi eventi e gli incontri nei festival con personaggi come Mike Murphy, che ci ospitò in Norvegia per un periodo di formazione, passaggi fondamentali per la nostra crescita. La vicinanza con il mercato e l’ambiente brassicolo romano, un mercato sempre in evoluzione e molto esigente, ci ha rafforzato. In questo senso, il rapporto e la collaborazione con Valerio Munzi ci ha aiutato a decifrare alcuni aspetti importanti. Con Birra Più abbiamo dato vita a More Uxorio, una Porter alle more. Successivamente, sempre con Valerio e Deborah di Brew Dog Bar Roma, abbiamo partecipato al Brew Dog CollabFest 2018, con una DDH Pale Ale, brassata in collaborazione, la NE 14.69, eletta al quarto posto dai pub londinesi, tra le 52 collaborazioni arrivate da tutto il mondo. Negli anni lo sviluppo è progredito portando ad un birrificio più strutturato e, da marzo 2016, ad una taproom dove organizziamo eventi e corsi di degustazione, con l’obiettivo di essere sempre più un punto di riferimento a Latina e provincia.

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Cosa vuol dire per voi fare birra artigianale oggi e all’inizio del vostro percorso? 

Per noi è fondamentalmente la stessa cosa. Sono cambiate le tecniche, così come l’attenzione maggiore sulle materie prime. Rispetto agli inizi, il mondo della birra artigianale e le persone che lo vivono sono cresciuti e cambiati, perdendo forse un po’ di spontaneità e freschezza. Oggi il prodotto richiede sicuramente una maggiore attenzione, una migliore organizzazione e professionalità nei processi sia produttivi che commerciali. Ci sono stati forti cambiamenti soprattutto nelle compagini di birrifici ante litteram, evolutisi in aziende appetibili dai grandi marchi. Da una parte questo ha permesso ad alcuni birrifici di entrare in un mercato che a loro era precluso; dall’altra ha minato le basi di quel movimento nato negli anni ’90, caratterizzato da un senso di comunità dove la concorrenza era vissuta come scambio e collaborazione, senza quelle divisioni che inevitabilmente si creano in una situazione in cui i produttori nascono e crescono molto più velocemente rispetto alla percentuale di consumatori di birra artigianale. Ovviamente, questi cambiamenti si sono ripercossi anche su di noi: non è più sufficiente ‘fare birra per stare insieme’. Obiettivi economici, percezione del marchio e una serie di cose cui dover tener conto. Anche se, viste anche le nostre dimensioni, per noi resta fondamentale riuscire a comunicare e trasmettere agli altri le nostre idee, avvicinando le persone a quelli che sono i nostri valori e che desideriamo imprimere attraverso il nostro progetto.

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La vostra lista di birre è impressionante: quali sono i criteri con cui costruite le vostre ricette, gli stili? 

La lista di birre prodotte fino ad oggi può impressionare, ma alcune sono uscite fuori produzione e restano lì anche per raccontare la nostra storia, la nostra crescita. E poi perché riteniamo che la nostra veste grafica racconti molto anche di noi e del nostro stile. Oggi l’obiettivo è quello di garantire maggiore stabilità e freschezza attraverso un ciclo produttivo più ordinato e legato alla disponibilità delle materie prime. Alcune birre, inoltre, sono stagionali, come la Sons of Shiva, brassata con luppolo coltivato nella nostra provincia, o la 41°Parallelo, la nostra farmhouse con Kiwi giallo IGP del nostro territorio, o anche la Orange Poison, pumpkin ALE rivista in chiave italiana e che ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui Gambero Rosso e Slow Food. Alcune sono dell’one shot, altre sperimentali. Ad esempio, nel marzo del 2017 uscimmo con Brain Damage, una New England IPA nel pieno rispetto dello stile. Dalla sua ricetta base siamo ripartiti per creare poi delle tropical IPA con aggiunta di frutta: dal mango alla goiaba, dal dragon fruit all’ananas: bombe tropicali che hanno trovato un loro seguito e un forte apprezzamento. La base del nostro stile, quello da cui siamo partiti, resta sempre quello anglo-statunitense. Da qui l’utilizzo di nuove tecniche come il double dryhopping o la scelta di brassare grandi percentuali di cereali diversi dall’orzo per giocare sulle proteine contenute dagli stessi. Senza trascurare la scelta di lieviti dai profili aromatici adatti a questi nuovi stili. E poi quell’attenzione alle birre scure cercando stili non troppo comuni come la nostra Brabanera, una tropical stout brassata con zucchero di canna ‘made in Cuba’. O anche l’ultima stout presentata all’inizio di quest’anno: Black Swan, in cui ci siamo divertiti ad abbinare elementi come cocco e caffè, anche in questo caso utilizzando moderne tecniche di estrazione degli olii aromatici a carbonatazioni particolari, dove abbiamo sostituito l’azoto all’anidride carbonica per favorire un corpo più morbido e un gradevole effetto cascata alla birra.

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Dal vostro blog sappiamo che la primavera 2019 apre con la ACID QUEEN per il Birrificio Pontino: ci potete raccontate un po’ di più di questo progetto? 

Acid Queen è per noi l’ennesima sfida. Entrare nel mondo delle birre sour. Anche in questo caso ci siamo ispirati alle produzioni nordeuropee e statunitensi, scegliendo di utilizzare la tecnica del sour kettle, ovvero l’acidificazione del mosto in sala cottura prima della bollitura, per poi concludere con una fermentazione più classica, in cui viene aggiunta della frutta e elementi che possano ammorbidire l’asprezza della prima fermentazione lattica, come può essere la vaniglia. Come per Brain Damage, anche con Acid Queen vedranno la luce nuove versioni, modificando la tipologia di frutta da aggiungere.

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Il vostro impianto di produzione ha una storia particolare: ce la volete raccontare? Quali sono le sue caratteristiche? 

L’impianto del Pontino è un Compact WACHSMANN da 10 hl del 1998. Ma è dentro le sue cavità, che si racchiude una storia molto particolare. Dopo il terremoto del 2009 a L’Aquila, il brew pub Magoo di Adolfo Scimia sospese la produzione. Per cui andammo all’Aquila a tirare fuori l’impianto dalle macerie. Una volta fissati i piedi a terra, l’impianto ha ripreso vita come un’araba fenice, grazie anche all’intervento di Mr. Wachsmann, che è venuto a Latina per raccontarci come coccolarlo al meglio. Oggi siamo in grado di lavorare e produrre in isobarico e alla sala macchine fanno compagnia una sala fermentazione e una cantina di affinamento.

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Quali sono gli aspetti positivi e quelli meno positivi del vostro progetto? 

Sicuramente l’aspetto positivo è quello di lavorare facendo qualcosa che ti piace fare e farlo con persone che stimi e a cui vuoi bene. Così anche la riconoscibilità e l’approvazione che siamo riusciti ad ottenere prima a livello locale e poi a livello nazionale. Infine, la soddisfazione di portare avanti una piccola azienda che, nonostante le difficoltà quotidiane, resta sana e in salute. Uno dei lati negativi è legato al confronto con un mercato ancora poco stabile, che mina progettualità e capacità di reagire ai cambiamenti o alle novità che arrivano dall’estero. Ma soprattutto, interfacciarsi con un sistema amministrativo e finanziario che non sembra riuscire a ragionare con le piccole imprese favorendone una operatività più agile ed efficace.

Per maggior informazioni su birrificio Pontino: www.birrificiopontino.com

 

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Lina Zadorojneac
Info autore

Lina Zadorojneac

Nata in Moldavia, mi sono trasferita definitivamente in Italia per amore nel 2008. Nel 2010 e 2012 sono arrivati i miei due figli, le gioie della mia vita: in questi anni ho progressivamente scoperto questo paese, di cui mi sono perdutamente infatuata. Da subito il cibo italiano mi ha conquistato con le sue svariate sfaccettature, ho scoperto e continuo a scoprire ricette e sapori prima totalmente sconosciuti. Questo mi ha portato a cambiare anche il modo di pensare: il cibo non è solo una necessità, ma un piacere da condividere con la mia famiglia e gli amici. Laureata in giurisprudenza, diritto internazionale e amministrazione pubblica, un master in scienze politiche, oggi mi sono di nuovo messa in gioco e sono al secondo e ultimo anno del corso ITS Gastronomo a Torino, corso ricco di materie interessanti e con numerosi incontri con aziende produttrici del territorio e professionisti del settore. Il corso ha come obiettivo la formazione di una nuova figura sul mercato di oggi: il tecnico superiore per il controllo, la valorizzazione e il marketing delle produzioni agrarie e agro-alimentari. Così ho iniziato a scrivere per il Giornale della Birra, occasione stimolante per far crescere la mia professionalità.