Numero 48/2020

25 Novembre 2020

Destraperlo: storie iberiche di asini, contrabbando e birra sociale

Destraperlo: storie iberiche di asini, contrabbando e birra sociale

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Da viaggiatore a volte distratto, ho sempre associato la Spagna alla birra San Miguel. Non ho mai associato i nostri cugini iberici alla birra artigianale. Immagino, sia lo stesso per gli stranieri che giungono in Italia, ed immaginano che la birra del Bel Paese sia rappresentata esclusivamente dai grandi brand industriali storici, come Birra Peroni e Nastro Azzurro. Beh, pare proprio che le cose, anche in Spagna, non stiano affatto così, o almeno non più. La birra artigianale ha iniziato timidamente a ritagliarsi uno spazio in Spagna circa 15 anni fa, anche se il vero boom è iniziato da circa 6 anni. Questa notizia mi solleva molto, perché dimostra che non si trattava di distrazione, ma, molto più prosaicamente, durante il mio ultimo viaggio in Spagna, nel 2014, la birra artigianale ispanica semplicemente non esisteva ancora. Allo stato, la produzione artigianale ammonta ancora solo all’1% del mercato nazionale ed esistono oltre 500 birrifici registrati in tutta la Spagna, per una produzione complessiva di 40 milioni di litri all’anno. Gran parte di queste aziende si concentra in Catalogna, Paesi Baschi, Valencia e Madrid, ma è possibile incontrare realtà interessanti anche in altre regioni. Il mercato della birra artigianale spagnola è molto dinamico e gli ultimi dati pre-Covid 19 fornivano una lusinghiera stima di crescita del 35% annuo.

 

Nel panorama nazionale esistono già alcuni brand piuttosto affermati, capaci di produzioni di qualità molto elevata ben distribuite sul territorio nazionale, oltre che all’estero. Prova indiretta dell’interesse che sta suscitando il mercato delle artigianali in Spagna sono i movimenti delle grandi compagnie nazionali, le quali acquisiscono piccoli birrifici promettenti o ne creano di nuovi, entrando così nel settore artigianale. Il settore è fortemente influenzato da quanto accade nel Stati Uniti e, un po’ meno, nel Regno Unito. Insomma, tutto un fiorire di stili iper-luppolati e barley wine.

Il crescente movimento craft spagnolo, analogamente a quello nostrano, attinge a piene mani risorse umane nella diffusa pratica dell’homebrewing. La legge italiana, come ben noto, consente l’homebrewing finalizzato all’autoconsumo. In Spagna, la situazione è del tutto sovrapponibile a quella italiana, sebbene non sembra esistere una specifica regolamentazione normativa.

Le norme italiane definiscono le caratteristiche tecniche ed economico-finanziarie che consentono di identificare senza ambiguità la birra artigianale rispetto a quella industriale: no pastorizzazione, no microfiltrazione, produzione annuale non oltre i 200mila ettolitri e indipendenza finanziaria dai grandi gruppi. In Spagna, il settore ha ottenuto una prima regolamentazione nazionale nel 2006, definendo essenzialmente la birra artigianale come prodotto nella cui produzione primeggia il lavoro manuale di un mastro birraio, rispetto ad un processo prevalentemente meccanico. Alla fine del 2018 è entrata in vigore una nuova legge che riconosce ufficialmente i microbirrifici, ne promuove la semplificazione burocratica e contabile, ma forse troppo poco coraggiosamente, accorda agli stessi una produzione massima annuale di soli 5.000 ettolitri. Negli ambienti brassicoli spagnoli tale norma è considerata solo l’inizio, e anche piuttosto timido, di un processo che dovrà condurre necessariamente ad una più accurata definizione delle regole, che tenga in conto delle direttive europee rispetto ai sistemi di stabilizzazione vietati nella produzione artigianale, rispetto all’indipendenza dai grandi gruppi e un regime di imposte sull’alcool più vantaggioso. Ma soprattutto, andrà decisamente elevato il limite di produzione di 5.000 hl, uno dei più bassi d’Europa, che si suppone costituisca al momento un serio ostacolo alla crescita del settore.
Il sistema di istruzione e formazione spagnolo, almeno quello legato al mondo della birra, non è poi molto differente da quello italiano. Il brassaggio, in estrema sintesi, non si studia negli istituti secondari, però esistono qualificati corsi presso l’Università di Alicante e quella di Siviglia, come pure presso l’Istituto della Cerveza Artesana di Barcellona.

Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di conoscere una ragazza italiana che vive in Spagna e lavora in un interessante birrificio artigianale. Molto interessante. E allora ho proposto a lei ed al birraio di rispondere a qualche domanda. Quanto segue è il resoconto di questa curiosa doppia intervista.

 

Allora Marianna, che tipo di organizzazione ha l’azienda per cui lavori?
Comando Cervecero è una società cooperativa, che ho co-fondato 6 anni fa. Il brand commerciale si chiama invece Destraperlo. Ci consideriamo una cooperativa del circuito sociale, solidale, sostenibile: ci siamo dotati di sistema decisionale collettivo, parità di salario per tutte le persone che lavorano in cooperativa, energia 100% rinnovabile, la banca che ospita il conto corrente aziendale non investe in armamenti, siamo soci di una cooperativa di credito, della rete agro-ecologica di Cadice e cerchiamo, quando possibile, di effettuare i nostri acquisti presso imprese locali (materiali per merchandising, imballaggi, bottiglie, etc.).

Quanti sono i soci della cooperativa?
Abbiamo due diversi profili di socio: i soci lavoratori, che sono 3, e i soci collaboratori che sono una quindicina. I soci collaboratori hanno aiutato in vari modi la realizzazione del nostro sogno diventasse una realtà. Qualcuno ha perfino contribuito economicamente all’operazione, rinunciando volontariamente al diritto di avere restituito il capitale investito, ma ricevendo un periodico pagamento degli interessi sul capitale (qualcuno perfino sotto forma di birra). Altri hanno partecipato materialmente alla stesura del progetto o realizzando materiali utili allo stesso (es. video promozionale). Insomma, ognuno ha contribuito secondo le proprie capacità e possibilità, ma con l’obiettivo comune di far nascere assieme una nuova birra a Jerez, dove ci troviamo.

Qual è l’identikit del socio medio di Destraperlo?
Sono per lo più persone tra i 40 e i 60, eticamente fedeli all’economia sociale. Ma la compagine, nel suo insieme, è alquanto eterogenea: ci sono perfino due astemi!

Che vuol dire il nome “Destraperlo”?
Il termine “estraperlo” significa contrabbando. Tale attività era molto diffusa durante, ma anche dopo la guerra civile, soprattutto per il commercio di beni di prima necessità, che venivano trasportati illegalmente attraverso la frontiera Spagna-Portogallo. Una cosa destraperlo era, appunto, illegale, ma anche frutto di una economia di sussistenza. Noi, in un certo senso ci siamo ispirati a questo tipo di economia, visto che il nonno del nostro maestro birraio, Tomás, era un estraperlista, e lui stesso ha iniziato a fare la birra in casa e a venderla agli amici più stretti per pura sopravvivenza.

Anno di fondazione della cooperativa?
Ci siamo costituiti nel 2013 e la prima birra sul mercato è uscita nel 2014.

Perché la testa d’asino in etichetta?
L’asino era l’animale da soma preferito per praticare l’estraperlo. Nel momento in cui l’estraperlista si scontrava con le autorità, era costretto a scappare lasciando l’animale al suo destino. Gli agenti di frontiera provvedevano a requisire la merce, ma lasciavano l’animale libero. L’asino, il più delle volte imboccava la ben nota strada di casa e vi faceva ritorno. Nel logo Destraperlo l’asino porta in bocca, come comprensibile riferimento alla birra, una spiga d’orzo.

 

Dove di trova il birrificio?
La nostra sede è nella zona industriale di Jerez de la Frontera, provincia di Cadice, nella zona dell’Andalusia occidentale della Spagna.

L’area dove si trova il birrificio ha una consolidata tradizione di attività brassicole artigianali o industriali?
Nella nostra zona i primi birrifici hanno aperto più o meno quando abbiamo iniziato anche noi, quindi non ci sono antecedenti attività artigianali nell’area, mentre la produzione industriale si pratica da tempo a Siviglia, sotto il brand Cruzcampo. C’è da segnalare però, una grande tradizione viti-vinicola, visto che da secoli qui si produce soprattutto lo Sherry, mentre ultimamente stanno ritornando di moda i rossi e il bianchi, quest’ultimi finanche spumanti.

Quante persone lavorano nel birrificio e con quali mansioni?
In condizioni normali, la fabbrica dovrebbe impiegare 4 persone a tempo pieno, però attualmente, per via la crisi del Covid 19 siamo 3: Tomás, il mastro birraio, io, Marianna, direttore commerciale e Irene, responsabile amministrativa.

Progetti per il futuro?
Crisi permettendo, abbiamo in progetto di fare degli investimenti con due obiettivi: migliorare la produttività ed essere più dinamici, per poter immettere sul mercato più stili di birre di cui abbiamo già le ricette. E poi, continuare la nostra espansione a livello nazionale ed internazionale. Quindi, se c’è qualche importatore in Italia interessato a provare la “birra más burra” (la birra più esagerata) ci contatti!

L’head brewer di Destraperlo, cui ha già fatto riferimento poc’anzi Marianna, risponde al nome di Tomás Sanchez Vega, classe 1960, originario di Puerto de Santa María (Cadice). La sua formazione scolastica sembrava doverlo condurre in tutt’altra direzione, col suo diploma di scuola secondaria e formazione professionale da elettricista. Ma la vita, si sa, è assai imprevedibile. Da autodidatta, a partire dal 2008, ha iniziato a produrre birra in casa. Prima con un kit e gli estratti, come la maggior parte degli appassionati, poi transitando alla tecnica all-grain, per terminare con un impianto domestico autocostruito riciclando fusti d’acciaio di birra da 40 litri.

Qual è il tuo stile preferito e perché?
In effetti, non ho uno stile preferito. Dipende del momento. In generale, mi piacciono molto le birre molto luppolate, come la NEIPA, DDH IPA o TDH IPA. Tuttavia, tenuto conto le alte temperature che si registrano qui in estate, una buona Lager luppolata rappresenta un’ottima opzione. D’inverno preferisco una Porter o una belga, double o tripel. Alla fine, la cosa più importante, è che la birra sia di buona qualità e con una bevibilità ottimale.

 

Hai mai pensato di metterti in proprio e realizzare un tuo birrificio?
Il mio sogno si è già compiuto quando, nel 2013, ho conosciuto alcuni soci della Cooperativa Agro-Ecologica La Reverde, e abbiamo iniziato un percorso comune che ci ha portati a fondare la cooperativa Comando Cervecero nel 2014. Considerata la mia età, posso affermare con soddisfazione di aver raggiunto il mio obiettivo. Il mio augurio è che quando sarà il momento di andare in pensione, come mastro birraio, possa lasciare in eredità a chi verrà dopo di me la mia passione e le mie conoscenze, con la gioia e l’orgoglio di aver contribuito a fondare uno dei primi birrifici artigianali di Jerez de la Frontera.

Usi materie prime particolari nelle tue birre al fine di caratterizzarle e conferire loro una certa personalità, o ti attieni rigorosamente al famoso editto di purezza bavarese (Reinheitsgebot) che riduceva gli ingredienti brassicoli al solo malto, luppolo e acqua?
Sia nelle birre che abbiamo in produzione in fabbrica che quelle che continuo a fare a casa, c’è sempre un’attenzione particolare agli ingredienti aggiuntivi. Diciamo che amo molto sperimentare. Tutte le nostre birre si chiamano andalusí in ricordo all’eredità araba del nostro passato e a questo fantastico mix di culture che hanno arricchito il nostro patrimonio culinario. Quindi, oltre al rosmarino, finora abbiamo usato uva passa, barbabietola, cacao, caffè, zucchero di canna nelle nostre ricette.

Usi nella produzione delle tue birre qualche cultivar locale di piante coltivate nel territorio? Se sì, quali?
Quasi tutti gli ingredienti addizionali menzionati in precedenza provengono dal nostro territorio. Il rosmarino, la barbabietola da tavola, il coriandolo che producono nella Reverde, l’uva passa della varietà Moscatel di Malaga e la buccia di arancia amara di Siviglia.

Nelle tue birre usi piante spontanee del territorio ottenute per mezzo del foraging (raccolte in natura)? Se sì quali e perché?
Raccolte direttamente in natura direi di no. Almeno per il momento. Nella mia produzione da homebrewer, a volte uso piante che posso recuperare poco distante da casa, come il prezzemolo per dare un punto di amarezza, o la citronella e la Cannabis sativa per conferire aroma.

Te la senti di descrivere analiticamente la produzione brassicola del birrificio Destraperlo?
Con grande piacere. In questo momento abbiamo in produzione 6 diversi tipi di birra, quasi tutte off-style: Rubia è una pale ale con luppoli nobili e un tocco di rosmarino; Colorà, la nostra best seller, è una red ale off-style con aggiunte di rosmarino e barbabietola; Trigo è una witbier certificata bio, con buccia d’arancia amara e coriandolo; la nostra IPA ha luppoli Citra, Mosaic e Simcoe in dry hopping; Matajare, è una APA con Simcoe e Mosaic ed è un omaggio a un famoso cantante locale “El Migue de Los Delincuentes” scomparso prematuramente; Negra è una robust porter con 8% ABV con uva passa Moscatel. Da un paio d’anni abbiamo anche iniziato a realizzare delle produzioni stagionali e ci siamo impegnati in collaborazioni. Lo scorso inverno abbiamo lanciato Winter’s Sun, una white stout con semi di cacao e caffè, che ha avuto molto successo sia per l’effetto ottico di essere una birra bionda con il gusto di una stout, ed anche per le caratteristiche gusto-olfattiva molto particolari ed equilibrate. La domanda è stata tale che abbiamo deciso di fare una seconda edizione in formato da 33 cc e da 75 cc. Brassiamo anche birre su commissione per eventi o per locali che vogliono un prodotto personalizzato e naturalmente per i birrai nomadi che non hanno una installazione propria.

Nel corso delle mie chiacchierate con Marianna è stato ripetutamente evocato questo vento di rinnovamento che starebbe attraversando il vostro birrificio. Hai voglia di raccontarci cosa succede?
Da circa un anno abbiamo iniziato un processo radicale di revisione dei macchinari e delle ricette, allo scopo di riuscire ad offrire sul mercato un prodotto più competitivo in termini di qualità, e poter essere, sempre più, una marca conosciuta e riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Abbiamo investito nel miglioramento del sistema di filtraggio, applicato nuovi sistemi di pulizie, migliorata l’efficienza del mulino, rinnovato le ricette e stiamo usando alcuni luppoli e malti nuovi, come pure stiamo applicando nuove tecniche di brassaggio e dry-hopping con l’obiettivo di ridurre l’ossidazione. Questo sforzo ha visto un importante riconoscimento proprio qualche settimana fa, nel corso del sesto campionato della birra che si è tenuto a Barcellona, dove siamo stati premiati con una medaglia di bronzo per la nostra white stout Winter’s Sun”. Inoltre, sempre da circa un anno, abbiamo aperto una nuova linea di lavoro che è quella della distribuzione nella provincia di Cadice e così, oltre alle nostre birre, abbiamo un listino di altre marche nazionali e internazionali con otre 90 referenze. Infine, stiamo lavorando anche ad una pagina web per potenziare le vendite online e poter raggiungere potenziali clienti in tutta la Spagna.

Grazie mille Tomás. Grazie della tua squisita disponibilità. E grazie delle tue birre. Spero che un giorno tu possa scoprire, apprezzare ed utilizzare almeno parte dell’enorme potenziale brassicolo della flora autoctona della Spagna. Vivere in uno dei paesi che vanta tra le più ricche fitodiversità d’Europa è un bel colpo di fortuna. Sarebbe un peccato non attingere a tanta varietà vegetale.
Ora, se permetti, mi avvio a conclusione ponendo qualche ulteriore domanda a Marianna. Cose da italiani. D’altro canto, ciascuno a suo modo, Tomás ma anche Marianna, sono persone davvero fuori dal comune. Marianna, un sorriso furbetto, è decisamente più giovane del suo talentuoso socio-head brewer. Marianna è del 1975 e viene da Vibo Valentia, in Calabria. Ha messo in cascina una Laurea in Giurisprudenza ed un Master in Cooperazione Internazionale. La fuga di cervelli è una triste realtà del nostro Paese, ma confesso di non aver mai sentito di nessuno che si sia spinto nel profondo sud della Spagna. Da un profondo sud ad un altro. La domanda è inevitabile.

 

Dall’Italia alla Spagna. Ma come ci sei arrivata fin qua?
Tutta colpa dell’Erasmus nel 2001! E dopo essere ritornata a Roma per un certo periodo, ho deciso di trasferirmi qui nell’estate del 2007.

Se ad un certo punto hai deciso di restare è perché qualcosa ti ha trattenuto qui in Spagna, sicuramente più di quanto potesse essere la voglia di ritornare in Italia. Cosa hai trovato a Jerez de la Frontera che in Italia non sei riuscita a trovare?
Non credo che Jerez abbia qualcosa di particolare rispetto a molti fantastici posti dell’Italia. Probabilmente si tratta più una scelta personale, basata sul fatto che avevo bisogno di una vita più semplice in un ambiente più libero. Semplicemente, nel posto nel quale mi sono trasferita, convergevano tutte queste condizioni. È vero, d’altro canto, che venendo dalla Calabria il confronto tra i due Sud viene assolutamente naturale. Effettivamente, sento che qui ho maggiori possibilità di affermarmi professionalmente e continuare un percorso di crescita personale che altrimenti nella mia terra d’origine sarebbe più difficile.

Ti manca qualcosa dell’Italia?
Non posso nascondere che la gastronomia, e soprattutto l’attenzione alla qualità delle materie prime, è qualcosa di unico nel nostro Paese. Un aspetto ancora non valorizzato a sufficienza in Spagna. E poi, vivendo in un sud arido, mi manca il verde delle nostre colline e montagne, che anche d’estate da noi è onnipresente.

Qual è il tuo ruolo all’interno dell’organizzazione di Destraperlo?
Sono principalmente la responsabile commerciale, però dato che siamo una piccola azienda sono un po’ multitasking. Mi piace aiutare Tomás a trovare nuove ricette ed ingredienti per sperimentare nuove birre, ed allo stesso tempo posso anche ricevere un gruppo di visita in azienda, dirigere una degustazione o quando Irene ne ha bisogno, aiutare nelle attività amministrative.

Da quanto tempo lavori qui?
Sono socia collaboratrice fin dall’inizio, ho iniziato a lavorare nel giugno 2018 e da dicembre 2019 sono anche socia lavoratrice.

Hai intenzione prima o poi di tornare in Italia e mettere a frutto la tua esperienza spagnola e nel campo della birra?
Se devo dire la verità, qui sto davvero bene e spero di poter accompagnare per molto tempo il nostro birrificio in mille avventure!

Ci sono sempre più persone, è un dato di fatto, pronte a resistere alle lusinghe di una certa distruttiva modernità, anteponendo l’etica della propria esistenza sulla Terra ai beceri interessi materiali. Certo anche queste persone, affatto avulse dalla realtà, vivono nel e con il mondo. E pertanto, sono perfettamente consapevoli che un’azienda deve confrontarsi quotidianamente con il mercato e realizzare profitti, senza i quali nessuna realtà aziendale può vivere a lungo. Tuttavia, queste persone sono altrettanto consapevoli che l’ineluttabile profitto può essere realizzato anche imponendosi forme di sostenibilità: energetica, ecologica, socio-economica. Non è una differenza da poco, perché l’alternativa è usare il profitto come motivazione per compiere qualsiasi scempio a spese della Natura o del prossimo. Non si può che esprimere ammirazione per quanti sono capaci, a dispetto di certe consolidate consuetudini, e perfino in un periodo così difficile, di porre coraggiosi confini morali alla propria esperienza professionale. Ed è proprio qui, all’interno dell’esperienza cooperativa Destraperlo, che la magia si compie. Alcune persone, assai diverse fra loro per anagrafe e storia, ma tutte ugualmente orgogliose della propria sensibilità rispetto ai bisogni della propria comunità, hanno saputo trovare un mirabile equilibrio tra la prospettiva comunitaria delle proprie azioni e la loro dimensione di crescita e soddisfazione individuale. Sorrisi e parole ci raccontano di umanità realizzate e appagate, che non intendono lasciarsi sfuggire l’opportunità di ammiccare ad un leggendario passato di asini e contrabbando. Complici una cerveza o due, quei sorrisi sornioni non sembrano affatto intenzionati a far mancare, all’antica clandestina attività transfrontaliera, una certa romantica approvazione morale. Se così non fosse, che Destraperlo sarebbe?

 

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Giuseppe Caruso
Info autore

Giuseppe Caruso

Docente di Botanica Forestale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché insegnante di Scienze Naturali e Biotecnologie Agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, botanico (consulente scientifico per enti pubblici, privati, professionisti), disegnatore botanico, beerlover, beer sommelier.
Diploma di Perito Agrario presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Dottorato di Ricerca in Botanica Ambientale ed Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona.
Membro di diverse associazioni scientifiche: Organization for Phyto-Taxonomic Investigation of the Mediterranean Area, Società Botanica Italiana, Società Italiana di Scienze della Vegetazione, Società Italiana di Biogeografia, Society for Economic Botany, International Biogeography Society.
Pubblicate numerose ricerche scientifiche sulla flora dell’Italia Meridionale nei campi della tassonomia vegetale, floristica, vegetazione, conservazione, museologia, didattica e divulgazione scientifica. Principali interessi scientifici: ricerca botanica (tassonomia vegetale, floristica, vegetazione), analisi fitogeografico-vegetazionale (metodo fitosociologico e geosinfitosociologico dinamico-catenale), ecologia vegetale, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, recupero aree degradate e gestione verde urbano, sentieristica naturalistica, analisi/planning dei processi formativi, outdoor environmental education.
Libri pubblicati: Guida al riconoscimento di alberi, arbusti, cespugli e liane del PN della Sila (PN Sila, 2011), Andar per piante tra terra e mare – Escursioni botaniche sulle coste della Calabria (Koeltz Scientific Books, 2015). Nell’ultimo libro, La Botanica della Birra (Slow Food Editore, 2019), frutto di un lunghissimo lavoro di documentazione, unisce due grandi passioni, la botanica e la birra, raccontando con rigore scientifico le proprietà brassicole di oltre 500 specie vegetali impiegate nel brassaggio. Lo stesso libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2022 come The Botany of Beer dalla Columbia University Press (New York, US).