Numero 46/2021

17 Novembre 2021

Dimont: la storia della nascita del birrificio dei Monti di Carnia

Dimont: la storia della nascita del birrificio dei Monti di Carnia

Condividi, stampa o traduci: X

 

Il binomio tra birra artigianale e montagna, nel nostro Paese, non è certo una novità: e non solo per ragioni storico-culturali – basti pensare ad esempio al fatto che l’arco alpino è punto di contatto con quel Centro Europa in cui la birra è storicamente assai più consumata che nel mondo mediterraneo – ma anche per ragioni decisamente più “pratiche”. È spesso in montagna infatti, Alpi o Appennini che siano, che si trova l’acqua più pura, dalle caratteristiche ideali per brassare numerosi stili; o quantomeno per dare loro una caratteristica del tutto peculiare, in base alle caratteristiche dell’acqua stessa. Ed è anche il caso del birrificio artigianale Dimont di Arta Terme (Udine), già salito alla ribalta delle nostre pagine, al suo terzo anno di attività.

 

In realtà, l’arrivo tra le montagne della Carnia di Dimont è frutto di diverse motivazioni – alcune fortuite, altre “scientifiche”, altre ancora addirittura al confine tra la realtà e le leggende di queste terre. “Quando abbiamo deciso di avviare la produzione di birra – raccontano tre dei soci fondatori udinesi, a cui poi se ne sono uniti altri quattro – abbiamo iniziato per prima cosa a cercare il luogo adatto: quindi una struttura adeguata come spazi, e che fosse vicina ad una fonte di acqua di montagna”. Due di loro, partiti per un giro in mountain bike, si sono fermati ad Arta Terme per una sosta; e lì hanno visto un capannone con la scritta “Vendesi”. Peccato che, chiamando subito al numero indicato, hanno scoperto che era appena stato venduto. “Lì per lì ci siamo detti “Vabbè, vorrà dire che cercheremo altrove” – proseguono -; poi però siamo venuti a sapere che metà del capannone era disponibile in affitto”. Hanno così contattato il proprietario, che ha confermato la disponibilità ad affittare.

Trovato il luogo, rimaneva quindi da verificare l’adeguatezza dell’acqua. “Ci siamo subito attivati per verificare da quale sorgente provenisse l’acqua, e per avere le relative analisi bio-chimiche: così abbiamo visto che la sorgente si trova sulla montagna di Cabia, che domina l’abitato di Cedarchis, e che il risultato delle analisi era ottimo. Insomma, almeno a porre le basi ce l’avevamo fatta: potevamo partire”.

C’è però anche un altro particolare curioso che lega la storia di Dimont ad Arta Terme. Uno dei soci infatti è nato appunto in questo paese, lasciandolo poi ancora giovanissimo per lanciarsi in un’attività che l’ha portato in tutto il mondo. Dopo quarant’anni si è così trovato a ripartire proprio da Arta Terme, con un nuovo progetto. “La cosa ha quasi dell’incredibile – commentano i soci –. Ci piace pensare che siano stati gli Sbilf, i folletti magici delle montagne carniche, a riportarlo quassù”.

 

Gli Sbilf sono delle figure nate dalla fantasia degli abitanti delle montagne; che, quando non riuscivano a dare una spiegazione logica a qualche fatto strano, ne attribuivano la responsabilità appunto agli Sbilf – ognuno dei quali aveva una sua particolare caratteristica: chi aggrovigliava i lacci e corde, chi rovesciava il secchio del latte appena munto, chi scuciva gli abiti…

E proprio gli Sbilf hanno “tenuto a battesimo” le birre di Dimont, dato che ciascuna porta il nome di uno di questi: La bionda Gjan (una Helles), la Pils Licj, la Weizen Pavar, l’ambrata Bagan (una Amber Ale) e la Ipa Braulin.

Una birra che richiama le montagne, naturalmente, richiama anche le ormai vicine feste natalizie e le serate davanti al camino, magari mentre fuori nevica. In realtà Dimont, coerentemente con la sua filosofia di privilegiare l’ulteriore ricerca sulle birre esistenti – da inizio anno si è arrivati a farle tutte senza glutine – sulla creazione delle birre nuove, e di rimanere nell’ambito di stili classici, tecnicamente puliti e versatili, ha scelto di non brassare una birra natalizia. Tuttavia, per accompagnare magari un panettone, suggeriamo la Bagan: una birra che unisce all’aroma il fruttato-agrumato della luppolatura e i toni tostato-caramellati del malto, che si ritrovano poi al palato caldo e avvolgente; mentre la chiusura che torna su un amaro resinoso, netto ma non invasivo, fa da garanzia di facile beva e di “chiusura” anche del boccone dolce. Prosit!

 

Condividi, stampa o traduci: X

Chiara Andreola
Info autore

Chiara Andreola

Veneta di nascita e friulana d’adozione, dopo la scuola di giornalismo a Milano ho lavorato a Roma – dove nel 2009 ho conseguito il titolo di giornalista professionista – e a Bruxelles al DG Comunicazione della Commissione Europea. Lì sono iniziati i miei primi timidi approcci con la birra, tra cui la storica Bush de Noel che ha finito per mettere il sigillo definitivo alla storia d’amore tra me e il mio futuro marito – e già da lì si era capito che una storia d’amore era nata anche tra me e la birra. Approdata a Udine per seguire appunto il marito, qui ho iniziato ad approfondire la mia passione per la birra artigianale grazie al rapporto in prima persona con i birrai – sia della regione che più al largo – e i corsi di degustazione tenuti dal prof. Buiatti all’Università di Udine; così dal 2013 il mio blog è interamente dedicato a questo tema con recensioni delle birre e resoconti delle miei visite a birrifici, partecipazioni ad eventi e degustazioni. Le mie collaborazioni con pubblicazioni di settore come Il Mondo della Birra e Nonsolobirra.net, con eventi come la Fiera della Birra Artigianale di Santa Lucia di Piave e il Cucinare di Pordenone, e la conduzione di degustazioni mi hanno portata a girare l’Italia, la Repubblica Ceca, il Belgio e la Svezia. Ora sono approdata anche al Giornale della Birra, un altro passo in questo mio continuare a coltivare la mia passione per il settore e la volontà di darvi il mio contributo tramite la mia professione.