19 Marzo 2016

La morte ha il gusto del luppolo: diciottesimo capitolo

La morte ha il gusto del luppolo: diciottesimo capitolo

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La cella del convento che era divenuta la sala delle torture di Alberico non aveva più la benché minima somiglianza con il luogo che doveva essere.

Non più la branda ove un confratello ristorava le sue stanche membra, non più una scrivania, neanche l’altarino con le effigie del Cristo vi era tra quelle quattro mura.

Mura fredde,in solida pietra, sempre umide ed isolanti… dal caldo, per lo meno.

In quelle celle la temperatura invernale era di poco superiore a quella esterna, mentre d’estate vi si poteva trovare ristoro e riparo dalla canicola asfissiante.

Adesso, quello spazio così angusto, dedicato al riposo ed alla preghiera personale, intima, era stato convertito nella più truce delle stanze.

Pochi attrezzi, in vero, ma erano l’essenziale bagaglio del torturatore o, come erano chiamati allora, Inquisitori.

Nome terrificante, non vi era dubbio alcuno, ma meno raccapricciante di Torturatore o, come il popolo soprannominava chi svolgeva questo infausto ed indecoroso lavoro, “spacca ossa o smembra Cristiani”.

Forse, “Inquisitore”, dava l’idea di un uomo retto che perseguiva la verità… era un modo per dare legittimità ad una figura che, spesso e volentieri, abusava dei propri mezzi per ottenere verità distorte e confessioni da parte di innocenti.

Il tutto sfruttando il dolore e la paura.

Alberico sapeva che la tortura era un mezzo potente, ma sapeva anche quale era il confine tra uso lecito ed abuso indiscriminato.

L’abate andava convinto a parlare; la paura della tortura ed un colpo ben assestato per dimostrargli che l’inquisitore non si sarebbe trattenuto erano bastati.

A Dio piacendo, in quell’occasione, Alberico avrebbe ottenuto una confessione spontanea.

«Bene, Padre Joseph, che ne dite di raccontarmi tutto dall’inizio?»

«Gli omicidi?»

«No, vorrei capire prima che cosa è successo. Che cosa ha portato agli omicidi? Quando è cominciata questa faccenda?»

Il frate, gettando uno sguardo raccapricciato  al poveretto ricoperto di sangue, con un misto di bava, succhi gastrici e rosso fluido che colavano a lato della bocca tra una convulsione ed un’altra, deglutì rumorosamente.

Un colpo di tosse per schiarirsi la voce.

E poi inizio quella che sarebbe stata una confessione “Fiume”.

«Tutto è cominciato prima dell’arrivo di Frà Malcom… anzi, di “Malcom il perdente”, come lo chiamavano a Remisville, il suo villaggio di origine. Il convento era in condizioni disastrose e le finanze di cui disponevamo non erano neppure sufficienti a garantire il mero sostentamento dei frati, figurarsi opere di ristrutturazione!»

«Questo me lo avete già raccontato in molti. Ditemi qualcosa che non so».

«E’ in vero indispensabile che io mi ripeta. Ho omesso delle parti, nei miei precedenti racconti».

«Procedete, allora, ma non tergiversate!»

«Certo! Come dicevo, il convento era allo sfascio ed allora feci la scelta più sbagliata della mia vita: decisi di chiedere un prestito a McOwen».

«Quella sottospecie di infimo Lord?»

«Proprio a lui. McOwen non è nobile di nascita. Ha comprato, o per meglio dire ha estorto, il suo titolo e questo fazzoletto di terra al vero Signore di queste lande: il Conte Renrich».

«E come avrebbe fatto un plebeo ad ottenere un titolo, addirittura ad estorcerlo?»

«In Italia forse non ne avete sentito parlare, ma l’inverno di sette anni fa, fu il più rigido che si possa ricordare a memoria d’uomo. Fu tremendo. La gente morì, le piante da frutto furono congelate, il grano anche, stretto nella morsa del ghiaccio. Fu devastante. Durò a lungo. La primavera giunse a maggio quando, finalmente, la neve iniziò a sciogliersi».

«Ha fatto un inverno rigido anche a Roma, lo confermo».

«Allora non farete fatica a credere che in quelle condizioni, senza cibo per l’anno a venire e senza nuove sementi, con le casse della Contea vuote, per poter sopperire al fabbisogno alimentare immediato di tutti, ricchi e poveri, il Conte Renrich non poté far altro che  rivolgersi a chi avrebbe potuto salvare le sue terre dal tracollo finanziario ed alimentare. Era in gioco la sopravvivenza stessa di questi territori! Il Conte chiese sementi, generi di prima necessità e danari in prestito al più ricco mercante che abitava nelle sue tenute».

«McOwen, immagino…»

«Esatto! Lui allora commerciava con la Francia e con la Spagna. Lì, il clima più mite aveva consentito un esubero di scorte alimentari ed allora McOwn importò semi, piante da frutto ed animali per rimpiazzare quelli morti per il freddo e per la fame. Fu un investimento molto oneroso perfino per lui!»

«Immagino che non lo fece gratuitamente, per l’amor di Patria».

«Immaginate bene… Gli interessi richiesti da McOwen sul danaro investito erano esorbitanti, tali che in tre anni, il Conte, era riuscito a ripagare solamente gli interessi relativi ai primi due anni!»

«Un vero strozzino! Perché il Conte non lo ha arrestato?»

«Non so come funziona in Italia, ma qui la Nobiltà è presa molto seriamente! Un nobile che non onora i propri debiti non è degno di essere Nobile. Quindi, se fosse trapelata la notizia, Renrich sarebbe stato svestito del suo titolo, le sue terre sarebbero divenute feudi della Corona e lui, con tutta la sua famiglia, sarebbero stati messi a morte per impiccagione per aver gettato discredito sulla Nobiltà e sulla stessa Corona».

«Come se i sovrani d’Europa non fossero indebitati fino al midollo con mille e mille persone!»

«Sappiamo benissimo, mio caro Padre Alberico, che per i Re la legge è diversa. Anche per i nobili, ammesso che non gettino, loro stessi, fango sulla Corona!»

«E questo era uno di quei casi».

«Precisamente».

«Quindi McOwen ha ottenuto titoli e terre in cambio dell’estinzione dei debiti del Conte?»

«McOwen è uno strozzino arricchito che desiderava la nobiltà… ma non era certo un idiota che avrebbe regalato una posizione di predominanza per poche casupole e qualche acro di terra! Scontò la metà del debito al Conte che, a tutt’oggi, riesce a pagare annualmente solamente gli interessi maturati nello stesso anno».

«Continua ad averlo in pugno, quindi…»

«Saldamente».

Alberico emise un sospiro.

«Quello che non mi spiego è come avete fatto voi, da Abate di questo monastero, a cadere nelle grinfie di quell’essere abbietto, pur sapendo tutte queste cose! Dovevate immaginare come sarebbe andata a finire!»

«Vi ricordate il nostro primo dialogo?»

«Come se fosse avvenuto stamane!»

«Voi diceste: “Ameno ma mai dimenticato”, riferendovi a questo monastero…»

«Sì, lo ben ricordo. Cosa c’entra?»

«In vero, la Santa Chiesa di Roma, troppo tronfia e ricoperta d’oro, si è dimenticata di noi! Delle sue pecorelle smarrite nel freddo Nord! Delle…»

«Non tentate di farmi pena, né di accampare giustificazioni insulse e pretestuose per la vostra scelleratezza!»

«Ho inviato mille e mille missive al Vescovo, al Cardinale di Londra, perfino a Sua Santità in persona! Non un solo alto prelato che mi abbia risposto! Non uno! Ci voleva un omicidio per far interessare Roma alla nostra situazione?»

«E’ dunque per questo che avete assassinato Malcom?»

«Certo che no!»

«Allora? Come sono andati i fatti?»

«Fino ad un anno fa, in un modo o nell’altro riuscivamo, noi frati, a garantire il nostro sostentamento. In fondo non avevamo bisogno di null’altro, abbiamo fatto voto di povertà! Se nonché a metà settembre crollò buona parte del tetto dell’abazia, trascinando con sé molte mura e, ahimè, anche tre frati. La situazione era letteralmente insostenibile. Saremmo morti di freddo e, non avendo posto dove andare, poiché siamo gli unici esponenti del Nostro Ordine in Inghilterra, dovemmo adattarci a ciò che andava fatto».

«Così, Padre Joseph, chiedeste un prestito a McOwen, dico bene? Che cosa vi è saltato in mente?»

«Pose delle condizioni molto vantaggiose… e non avevo scelta».

«Quali condizioni?»

«Disse che si sarebbe occupato della ristrutturazione del convento, in modo lento ma costante, per non far capire a nessuno che c’era lui dietro all’ingente flusso di denaro necessario alla ricostruzione. In cambio avremmo dovuto accettare tra di noi un uomo, uno che gli doveva dei soldi. Mi impose di chiudere un occhio, anzi tutti e due, sul fatto che lui non avrebbe osservato uno solo dei voti imposti dal saio. Mi ordinò di far costruire un birrificio e di mettere quell’uomo nelle condizioni di poter lavorare sulla birra senza nessun vincolo di orario o di preghiera. Mi assicurò che il convento avrebbe trattenuto una percentuale pari alla metà delle entrate, il ché voleva dire riuscire a restituire il debito in tre anni, interessi compresi!»

«Come mai tanta generosità?»

«Non stato un gesto disinteressato o dettato dal timore di Dio e dei suoi Servi, se è questo che pensate… McOwen aveva bisogno di questo birrificio. Malcom gli doveva dei soldi… tanti soldi. Ma era bravo a produrre birra. Se quel folle non fosse stato il “vizio” in persona, non avrebbe dilapidato la propria fortuna in donne, birra e dadi ed avrebbe vissuto un’esistenza da nababbo! Ma era innegabile il suo talento, soprattutto agli occhi di un uomo d’affari senza scrupoli come McOwen. Così iniziò la produzione di birra».

«E quel tale, Frank, cosa c’entra in tutto ciò?»

«Frank era un altro dei creditori di Malcom. Un uomo al soldi di McOwen, in vero. Malcom era stretto ad un doppio cappio, le cui fila erano tirate dal medesimo individuo: McOwen. E Frank è l’uomo che McOwen usa ad oggi per strozzinare chi ha necessità di poco danaro, onde evitare che girino brutte voci sul suo conto. Ed in modi tutt’altro che convenzionali, Frank ha obbligato i piccoli produttori di birra di qui e di oltre confine ad indebitarsi con lui… »

«Cioè?»

«Intendo dire che, casualmente, le stalle o le cantine delle persone a cui Frank, e quindi McOwen erano interessati, andarono a fuoco, oppure misteriosi ladri si accanirono sulle loro colture… insomma: quei poveretti vennero obbligati ad assumersi gli oneri di un prestito che non sarebbero mai state in grado di pagare».

«Quindi è per questo che i mastri birrai della zona cedono a pagamento le proprie ricette di birra! Per sanare i propri debiti estorti illegalmente! Adesso è tutto chiaro! McOwen ed i suoi obbligano i produttori a vendergli le ricette di birre nuove e deliziose, Malcom le produce perché obbligato, Voi acconsentite per avere un tetto sulla testa legandovi però indissolubilmente a questa trafila di malversazioni… McOwen fa montagne di denari approfittando del buon nome del Convento che produce Birra per i suoi figlioli,  avendo le spalle protette sia dal proprio titolo nobiliare, sia grazie al giogo con cui ha imbrigliato anche  il Conte!»

«Esattamente… mi pento di tutto, ma l’ho fatto per far sopravvivere il monastero e…»

«Ora non mi interessa! Continua! Tutto filava per il meglio, giusto? Fino a quando? Fino all’omicidio di Malcom? Chi l’ha ammazzato? Sei stato tu? McOwen? Un povero diavolo caduto in questa tela malvagia?»

«Gli omicidi… quella è un’altra faccenda…»

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.