Numero 12/2017

20 Marzo 2017

Etichetta nutrizionale per le bevande alcoliche (birra compresa) obbligatoria dal 2018!

Etichetta nutrizionale per le bevande alcoliche (birra compresa) obbligatoria dal 2018!

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QUESTO ARTICOLO HA SUBITO IMPORTANTI INTEGRAZIONI, LEGGERE ANCHE L’ARTICOLO PUBBLICATO IN DATA 28 MARZO 2017 AL LINK CONNESSO.

La notizia, rimbalzata in questi ultimi giorni sui social, è di quelle in grado di rivoluzionare l’intero settore: l’Unione Europea ha stabilito infatti di imporre a partire dal 2018 l’indicazione dell’Etichetta nutrizionale su tutti i prodotti alcolici, birra compresa ovviamente.
I produttori avranno a disposizione un anno di tempo per trovare un accordo su una proposta di autoregolamentazione che preveda uno standard di etichettatura condiviso, capace di accogliere le modifiche introdotte da Bruxelles, la cui adeguatezza dovrà poi passare al vaglio della Commissione; in caso contrario sarà la Commissione stessa a lanciare una valutazione d’impatto che porterà ad un disegno di regolamentazione organica vincolante per tutti.

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Per capirci è necessario fare un po’ di chiarezza partendo dai fondamentali: che cos’è l’Etichetta (o Dichiarazione) nutrizionale?

La Dichiarazione nutrizionale fa parte dell’etichetta alimentare e serve per definire nutrizionalmente le caratteristiche di un prodotto. In essa sono riportati i seguenti dati espressi per 100 g o per 100 ml di prodotto, affiancati dai dati relativi alle singole porzioni:
⦁    Calorie totali (in kilojoule e in kilocalorie)
⦁    Proteine (in grammi)
⦁    Carboidrati (in grammi)
⦁    Zuccheri (in grammi)
⦁    Grassi e Grassi saturi (in grammi)
⦁    Sale

In alcuni paesi, ad esempio in Gran Bretagna, per facilitare la comprensione ai consumatori vengono usati i c.d. semafori per indicare cibi contenenti elevate quantità di grassi e/o zuccheri.
E’ pacifico apprezzare come le norme comunitarie a partire dal 2011 e fino agli ultimi aggiornamenti del dicembre 2016 abbiano contribuito in modo sostanziale a rendere più semplici, leggibili e utili per tutti i consumatori le etichette poste sui prodotti. Il che non significa parlare di uno strumento informativo impeccabile, perché il concetto di chiarezza delle informazioni cui si riferisce la normativa è più che altro rivolto agli aspetti grafici e di stampa che non al reale significato delle parole. Ecco così che si trovano facilmente etichette riportanti fra gli ingredienti, ad esempio, sigle e codici riconducibili a non si sa quale conservante o antiossidante. Quindi: bene i passi avanti fatti, ma anche ampio margine di miglioramento in prospettiva.
In tal senso, nello specifico, possiamo dunque muovere delle valutazioni anche critiche relativamente all’introduzione delle tabelle nutrizionali nelle etichette degli alcolici.

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Detto ciò proviamo a capire quali oneri comporta per i produttori la nuova normativa: entrando nello specifico della materia, in primo luogo la norma esenta dall’obbligo di inserire le Dichiarazioni nutrizionali sia i piccoli artigiani che producono per vendita diretta nei locali di trasformazione, come ad esempio i panettieri, sia i produttori di bevande con tenore inferiore a 1,2% vol, come ad esempio le c.d. birre analcoliche.
In secondo luogo, bisogna tenere conto delle peculiarità dell’artigianato alimentare italiano. Il vino, ad esempio, viene prodotto da migliaia di piccole aziende disseminate ovunque sul territorio e comprese in circa 500 denominazioni, per ciascuna delle quali servirebbe un impensabile accordo fra i produttori.
Riguardo alla nostra birra forse la situazione, se è possibile, rischia addirittura di essere peggiore: immaginatevi poco più di 1.000 birrifici costretti a modificare tutte le loro etichette e ad indicare valori che per loro stessa natura non avranno mai una costanza nel tempo. L’Italia è nota all’estero come il paese della fantasia birraria per eccellenza, da noi stili e consuetudini vengono stravolte fino all’inverosimile, ogni birraio degno di questo nome interpreta e rinnova. Immaginate quindi il caos di prevedere uno standard per la Dichiarazione nutrizionale sulle etichette di birra italiana.
Si aggiungano a tutto questo i costi per la commissione di analisi e verifiche continue, oltre alle spese di grafica e stampa: migliaia e migliaia di euro a gravare sulle spalle di piccoli operatori che già faticano non poco per riuscire a tenere in ordine i conti.
In attesa delle dichiarazioni in merito da parte delle associazioni birrarie di categoria, prendiamo per buone le prime esternazioni pubbliche del fronte del No, rappresentato per ora da Confagricoltura e Coldiretti: i primi suggeriscono di prendere in considerazione l’ipotesi di sostituire la tabella nutrizionale con l’indicazione, fornita su base esclusivamente volontaria, dell’apporto calorico per bicchiere; i secondi pongono l’accento sul rischio di un inutile ulteriore aggravio di oneri burocratici sulle spalle delle piccole aziende.
Per concludere, rimanendo in attesa di possibili sviluppi positivi, facciamo nostro quel che è già stato evidenziato da alcuni osservatori specializzati del settore, su tutti Renato Nesi: stando così le cose, l’industria birraria avrà uno strumento di marketing in più capace di fidelizzare ulteriormente il cliente in un’epoca di crisi nel rapporto fra i mondi craft e crafty, mentre i microbirrifici ne pagheranno il salato conto in termini anche, ma non solo, economici.

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