Numero 12/2022

24 Marzo 2022

Acqua della Birra: un approfondimento tecnico

Acqua della Birra: un approfondimento tecnico

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La birra è composta principalmente da acqua: ne conviene che essa ha un’influenza enorme sul prodotto. Tempi addietro l’acqua era raramente potabile e la birra era quindi il suo perfetto sostituto. Con il passare del tempo si è via via capito l’importanza dell’acqua per la produzione di questa bevanda ed i mastri birrai del passato hanno modificato le loro ricette per adattarle alle differenze ed alle caratteristiche che ogni acqua di un dato luogo possiede.

I valori principali di un acqua da tenere conto per un birraio sono: la durezza, la quantità di sali disciolti all’interno di essa ed il pH.

La durezza  si misura generalmente in gradi francesi con una scala che parte dallo zero e va salendo. Più la misura della durezza si avvicina allo zero e più un’acqua viene detta dolce, mentre quando si ha una misura più alta essa verrà definita dura. La durezza misura il contenuto di ioni di calcio e magnesio presenti nell’acqua, 1 grado francese corrisponde a 10 parti per milione di CaCO​3​ (carbonato di calcio). Le acque dolci sono adatte soprattutto per birre chiare e maltate ed in generale per quelle a bassa fermentazione. Difatti esse sono birre che devono essere molto pulite, leggere e bilanciate. Avere un’acqua la più neutra possibile aiuta a raggiungere questo obiettivo, perché il basso contenuto di sali garantisce che la birra non venga caratterizzata eccessivamente da essa.

 

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I sali minerali sono componenti quantitativamente e qualitativamente molto variabili nelle acque di differente origine. Oltre che al calcio, il magnesio ed i loro ioni, nell’acqua sono presenti molti altri sali. Nella birrificazione sarebbe bene sapere i i livelli di sodio (Na​+​), cloruro (Cl​-​), solfati (SO​4​–​) e carbonati (HCO​3​-​). Il sodio per esempio oltre che dare una possibile nota sapida, contribuisce a conferire rotondità e pienezza in bocca. Il cloruro, in dosi importanti, sottolinea la parte maltata, mentre i solfati tendono ad esaltare l’amaro dato dai luppoli. I carbonati hanno infine la proprietà di poter ridurre l’effetto acidificante dei malti torrefatti e scuri in generale. Il calcio, invece, tende ad abbassare il pH in fase di ammostamento, ciò consente una migliore efficienza enzimatica all’interno del mosto. Il calcio permette inoltre una migliore flocculazione del lievito durante la fermentazione e aiuta a far precipitare alcune sostanze nocive come gli ossalati (presenti in buone quantità nei cereali).

Altro elemento di grande importanza per la brassazione è il pH dell’acqua. Il momento in cui il pH inizia a giocare un ruolo decisivo è il mash, infatti se esso si attesta attorno a 5,2-5,4 gli enzimi si trovano in condizione ottimale per poter svolgere il loro lavoro. Nell’acqua, che è composta da H​2​O, può capitare che alcune molecole si spezzino formando ciò che nella chimica viene chiamato ione, ovvero atomi dotati di una carica elettrica. Da questa separazione abbiamo così due differenti ioni: lo ione idrogeno (H​+​) e lo ione idrossido (OH​-​). Il pH viene misurato rapportando la quantità di questi due diversi ioni presenti nell’acqua. Quando il loro rapporto è pari l’acqua viene definita neutra ed il suo pH è 7. Se la quantità di ioni idrogeno è superiore a quella degli ioni idrossido la scala del pH scende verso lo 0 e diventa così acida. Viceversa se gli ioni idrossido sono di più, l’acqua viene detta alcalina. Poiché però la carica complessiva deve risultare neutra, l’acqua contiene ioni di altre sostanze con carica elettrica positiva o negativa così da bilanciare la carica elettrica totale.

 

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Come è stato già detto in precedenza però non tutte le acque sono uguali: pH, durezza e quantità di sali disciolti all’interno di essa varia da luogo a luogo. È stata proprio questa differenza che, birrariamente parlando, ha fatto la fortuna di alcune città. Gli esempi più eclatanti storicamente sono quelli della città di Pilsen e di Burton-on-Trent. Burton-on-Trent ha un’acqua più dura, ricca di molti sali come soprattutto il calcio, i solfati ed i carbonati. Questa è storicamente la città per eccellenza per la produzione di molte birre britanniche, soprattutto per stili come le bitter o le pale ales. La presenza in elevate quantità di questi sali permette infatti, come già citato, di amplificare le note amare date dal luppolo. Pilsen possiede invece un’acqua tra le più leggere in Europa, con un bassissimo contenuto di sali minerali, che la rendono ideale per birre chiare a bassa fermentazione che presentano un carattere tendente più al maltato e con una sottile nota amara e nel complesso molto pulita. Non a caso quindi è proprio in questa città che è nata la Pilsner, la birra forse più famosa al mondo, che per le sue caratteristiche trova in questa città il luogo perfetto dove essere prodotta. Nonostante un’acqua molto leggera sia ottima per il risultato finale di una lagerbier, la scarsità di sali che come abbiamo visto gioca un ruolo importante oltre che a livello organolettico anche a livello tecnico, può causare dei problemi durante la birrificazione. Infatti una volta i malti non avevano la carica enzimatica di quelli di cui disponiamo oggi gli impianti non avevano la stessa efficienza dei nostri. Anche per questo motivo tipico di questi stili è la brassazione in decozione, che garantiva così un abbassamento del pH, una migliore precipitazione delle proteine ed un migliore disgregamento degli amidi che oltre che essere enzimatico è anche meccanico (tramite bollitura).

 

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Per avere acque perfette (o che si avvicinino il più possibile all’ideale), molti birrai trattano la loro acqua tramite l’aggiunta di sali o di acidi per migliorarne i suoi parametri (correzione). Altri birrifici, al contrario, preferiscono studiare le tipologie di birra da produrre e adattarsi in base al tipo di acqua che hanno a disposizione.

Nella precedente tabella è evidente un esempio delle acque a disposizione nelle varie principali città birrarie del mondo. Si può sin da subito vedere le profonde differenze che ci sono per esempio tra Pilsen e Burton, differenze che si riscontrano anche nelle loro birre.

 

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Marco Marcigot
Info autore

Marco Marcigot

Leva 1993, crescendo ad Udine ho respirato Mitteleuropa: Austria a nord e Slovenia ad est.
In una terra di vino che scuola potevo fare? La scelta era facile: scuola enologica di Cividale del Friuli. Il sessennio fu molto interessante, con tirocini, studi, visite e parecchi approfondimenti sul campo.
A un certo punto scopro per caso le birre artigianali, in un pub cittadino: da lì con qualche amico facevamo delle vere e proprie degustazioni, cercando di assaggiare ogni volta stili differenti.
Qualche mese dopo mi regalarono un kit per la produzione casalinga e da lì inizio una vera e propria ricerca e approfondimenti dell’ambito. Ciò che mi attirava di più della birra erano le migliaia sfumature di colori, aromi, stili e storie che si celano dietro questo mondo.
Anni universitari: la scelta ricadde su Scienze e tecnologie alimentari a Udine dove all’interno della facoltà c’è il corso di Tecnologie della Birra. L’ultimo anno il tirocinio l’ho fatto in un birrificio agricolo, il primo in regione, che coltiva sia orzo che luppolo; la tesi è sulla produzione e promozione della birra artigianale friulana.
Nel 2017 un’esperienza molto interessante e formativa di 7 mesi nel Birrificio Antoniano a Padova.
In tutti questi anni, dal 2012, mi diletto come homebrewer partendo dal kit, passando all’E+G e arrivando all grain: da qualche mese gestisco anche una pagina Facebook per far conoscere ai miei amici cos’è per me la produzione brassicola casalinga e raccontando loro le mie avventure. Infine sono socio dell’associazione homebrewers Friuli Venezia Giulia.
Sono innamorato delle basse fermentazioni tedesche e delle alte fermentazioni inglesi.
Bitter e Marzen, una coppia strana, ma che mi fa impazzire.