Numero 33/2023

16 Agosto 2023

Belgio: storia del paradiso della birra!

Belgio: storia del paradiso della birra!

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Il Belgio è considerato da molti il “paradiso della birra” con la sua offerta di stili, colori, profumi e tonalità gustative
probabilmente senza pari al mondo. Esso racchiude straordinarie storie e tradizioni secolari, alcune delle quali si sono trovate (o ancora si trovano) di fronte a un serio rischio di estinzione ma che oggi, fortunatamente, sono oggetto di una forte ripresa di approfondito interesse, di operazioni di recupero e di attività di valorizzazione anche al di fuori dei confini nazionali. Il Belgio non è mai stato un grande impero, ma nonostante le dimensioni ridotte dello stato ha potuto godere di un’economia florida. Partendo dal 1477 con Massimiliano d’Asburgo fino all’invasione della Germania Nazista nella Seconda guerra mondiale, il Belgio è praticamente sempre stato dominato dalle potenze militari confinanti. È formato da un insieme di piccole regioni, ognuna delle quali ha la propria lingua, cultura e, ovviamente, birra.

 

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C’è stato un momento in cui il Belgio ha rischiato di perdere molto del proprio patrimonio brassicolo, l’orlo del collasso si è avvicinato in particolare nel corso del Novecento, il secolo della concentrazione produttiva, della crescita dei gruppi industriali di maggiori dimensioni, della standardizzazione dei profili sensoriali e della massificazione del gusto dei consumatori. Sul finire della Belle Époque, si contavano oltre 3.300 birrifici, negli anni ’50 il loro numero era sceso sotto le 600 unità e verso la metà degli anni ’90 si raggiunse il
punto più basso, precipitando a quota 115. Con il nuovo millennio, invece, sotto la duplice spinta del risveglio di passione per il “know how” artigianale e della conseguente curiosità verso le particolarità stilistiche più preziose, è tornata a farsi registrare una decisa tendenza alla crescita del tessuto produttivo, tanto che il settore sembra trovarsi in discrete condizioni di salute. Oggi si può affermare che la scuola birraria tra Fiandre e Vallonia si sta rinnovando,
affiancando, a quelle tradizionali, ricette innovative (o rivisitazioni moderne dei classici), dalle quali si attinge
nuovo slancio sia per il mercato interno, sia per le esportazioni.

 

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Anche qui, in quella che è la culla di alcuni stili tradizionali più legati alla territorialità e alle radici, dal punto di vista dell’occupazione del mercato e dal punto di vista degli assetti dominanti, a tenere saldamente in pugno le leve del comando è la grande industria, con la sua capacità di inondare gli scaffali, da un lato attraverso prodotti (soprattutto Lager) sensorialmente piatti e dall’altro mediante una potenza di fuoco pubblicitaria la cui efficacia è devastante. Non si dimentichi che il maggior colosso brassicolo mondiale AB InBev, dal 2015 appropriatosi anche dell’ex rivale
SABMiller, e accreditato di un potenziale pari a 700 milioni di ettolitri annui affonda le radici proprio in
Belgio, ovvero in quel gruppo Interbrew (Stella Artois, Jupiler alcuni dei marchi controllati) che, prima, si era fuso con la brasiliana America Beverage, a formare la InBev e poi, nel 2008, era entrato, volando a nozze con la statunitense Anheuser-Busch (Budweiser nel suo portafoglio), a far parte della nuova grande formazione, battezzata appunto AB InBev.
Eppure, il Belgio, guardando ad esso con un occhio attento in primo luogo alle esperienze di pregio qualitativo, costituisce un tessuto diffuso di specialità storiche, territoriali e regionali, di filoni antichi e di indirizzi di modernità, nei quali palpita un’implacabile passione manifatturiera, una “resistenza” ai processi di omologazione.
Durante l’epoca medievale, la produzione si spostò dalle abitazioni alle abbazie, centri di sapere per l’agricoltura, l’allevamento e alcuni lavori artigianali fra cui la fabbricazione della birra. I monaci potevano berne piccole quantità vista la scarsa salubrità dell’acqua.

 

 

 

Se nell’Europa meridionale si beveva vino, i monaci di queste regioni si concentrarono sulla coltivazione della vite e sulla produzione del vino, nelle Fiandre i monaci si dedicarono alla produzione birra. Quindi è proprio grazie ai monaci che la produzione della birra passò da un’attività domestica a
una vera e propria attività artigianale. Inoltre, è proprio in questa fase che le birre furono aromatizzate con una
mistura vegetale chiamata “gruit”. Tuttavia, se i birrai dovevano acquistare la mistura presso le “gruithuis”, le
abbazie, esentate da questo obbligo, iniziarono a usare il luppolo, che permetteva di preservare la birra
garantendone una durata maggiore.
Nel 1364, l’Imperatore Carlo IV promulgò il decreto il “Novus Modus Fermentandi Cerevisiam”, con l’obiettivo di migliorare la qualità della birra usando un nuovo metodo di fabbricazione che prevedeva l’obbligo di impiegare il luppolo.
Nei secoli successivi, tra il Cinquecento e il Seicento, furono introdotte più regole per garantire la qualità delle birre e poco a poco, i birrai esportarono esportare le birre al di fuori della regione. Alla fine del XVIII secolo l’Imperatore Giuseppe II fece chiudere le abbazie perché usurpavano i diritti dei birrai. Solo nel XIX secolo si vide l’inizio di un nuovo capitolo della storia della birra con l’introduzione della Pilsner ceca nel 1839, un successo in un mondo
dominato delle birre scure velate.

La Prima Guerra Mondiale diede il colpo finale a diversi birrifici belgi poiché le forze di occupazione tedesche confiscarono tini di rame, attrezzatura e veicoli. Una volta concluso il conflitto mondiale, i birrifici che si erano ripresi dovettero far fronte e un nuovo colpo causato dalla crisi economica degli anni ’30 e dagli effetti della Seconda Guerra Mondiale. Nei decenni successivi molti microbirrifici chiusero, mentre i più grandi consolidavano il mercato nazionale.

 

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Alla fine degli anni ’60 furono riscoperte le birre belghe, dando un nuovo riconoscimento alla cultura birraia. Tra il 1985 e il 2000 iniziarono a sorgere birrifici di medie e grandi dimensioni e furono aperti microbirrifici locali. Attualmente l’industria della birra belga vanta alcune delle marche più conosciute e popolari: dalle birre trappiste alle proposte di birrifici locali e a conduzione familiare, dai Lambic alle birre fiamminghe bruno-rossastre, dai brune alle bionde forti fino alle birre belghe luppolate.
Il Lambic è un antico stile legato al territorio per eccellenza, prodotto della regione intorno a Bruxelles, rappresenta quanto di più particolare il mondo brassicolo ha da offrire. È caratterizzato dalla fermentazione rigorosamente spontanea, che avviene grazie a microrganismi naturalmente presenti nell’aria.
Questa tipologia di birra contiene una notevole percentuale di frumento non maltato e luppoli invecchiati di due o tre anni così da essere quasi totalmente privi di aroma e amaro, in quanto i birrai hanno bisogno solo del suo potere antiossidante. I lieviti si depositano in modo naturale nel mosto in quanto viene fatto raffreddare all’aria aperta così da lasciar scorrazzare i microrganismi presenti nell’ambiente. Questi ambienti sono estremamente importanti per la fermentazione di questo prodotto, infatti non è strano trovare in queste sale di fermentazione ragnatelo, polvere o altro perché ogni singolo componente è fondamentale come habitat perla flora e quindi per la riuscita della birra.
La maggior parte delle birre belghe non fermenta con veri microrganismi selvaggi, il cui uso viene limitato ai lambic e alle oud bruin acide delle Fiandre, i lieviti belgi sono tuttavia estremamente vari, e ogni ceppo tende  inevitabilmente a imprimere il proprio marchio sul prodotto finito. È possibile in via teorica usare lieviti belgi in qualsiasi ricetta, e il risultato finale sarà una birra che saprà di Belgio. Alcuni stili come la saison, dipendono in maniera totale da un particolare ceppo di lievito, e se questo non viene utilizzato il prodotto finito sarà irrimediabilmente diverso e fuori stile.

 

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Lorena Ortega
Info autore

Lorena Ortega

Mi chiamo Lorena Carolina Ortega, sono nata a Rosario, in Argentina. Nel 2013 ho deciso trasferirme in Perù, dove sono diventata Beersommlier e giudice BJCP.
Ho lavorato per 5 anni per birrificio Nuevo Mundo nella mansione di Responsabile di eventi, dove ho conquistato alcuni dei miei obiettivi: incentivare gli studenti universitari alla passione per il fenomeno della birra artigianale con tours per il birrificio; riunire la birra e la musica con l’organizzazione di un festival ad edizione bimensile chiamato Rica Chela, sostituire la vendita di birra industriale con la birra artigianale nel festival Selvamonos, un evento musicale con piú di 11°edizioni; iniziare la diffusione di birre artigianali in ristoranti gourmet e collaborare nell’organizzazione del primo franchising di bar di birra artigianale a Lima e nella formazione dei camerieri. Adesso in Italia, da febbraio 2019 vivo nella città Terracina, cercando di portare avanti la mia passione per la birra nel territorio mediterraneo.