Numero 27/2016

8 Luglio 2016

Cosa ci dicono le etichette delle birre artigianali italiane? – Parte 3

Cosa ci dicono le etichette delle birre artigianali italiane? – Parte 3

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Le etichette delle birre artigianali italiane sono tutte uguali? Si rivolgono allo stesso tipo di pubblico? Naturalmente no!

Partiamo osservando le etichette di due birre prodotte nel birrificio di Borgorose, il Birra del Borgo.

 

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Questa etichetta presenta alcune delle caratteristiche che sono state notate negli articoli precedenti. Ad esempio il nome della birra, “Ambrata”, corrisponde alla sua gradazione cromatica e il colore dell’etichetta riprende, abbastanza fedelmente quello della birra stessa. Nella parte a sinistra dell’etichetta sono evidenziate le caratteristiche dell’artigianalità di questo prodotto, mentre si ha una indicazione semplice, e direi quasi nascosta accanto alla gradazione alcolica, riguardo allo stile brassicolo. Non vi sono, in ogni caso, descrizioni sui metodi di produzione di questa birra o dettagli sugli ingredienti.

Di tutt’altro genere sembra essere l’etichetta della birra My Antonia sempre del Birra del Borgo, in collaborazione però con l’americano Dogfish Head.

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In questa etichetta lo stile brassicolo è continuamente menzionato ed è addirittura un marchio registrato: “Continually-Hopped ™ Imperial Pils”. Vi sono molte informazioni su come è stataprodotta questa birra, in particolare è menzionata più volte la luppolatura di 60 minuti, è indicata la data della prima produzione e compaiono i nomi dei due noti mastri birrai. Non compare la dicitura “artigianale” anche se vi sono i dettagli tecnici che definiscono l’artigianalità del prodotto (“non filtrata, non pastorizzata, rifermentata in bottiglia”). Non si fa alcuna menzione al colore della birra, se non indirettamente attraverso il giallo delle scritte.

 

Qual è il motivo per cui le etichette di due birre dello stesso produttore divergono così tanto? La risposta è semplice, la prima etichetta appartiene alla linea “Trentatre” destinata alla vendita nei supermercati, mentre la seconda viene commercializzata tramite canali di vendita maggiormente di nicchia. A chi se ne intende non c’è bisogno di dire che una imperialpils è una bionda, mentre la dicitura pale alenon dice molto a chi di birra ne sa poco: meglio chiamarla “Ambrata”.

Da ciò si può avanzare l’ipotesi che le etichette della birra, o meglio delle birre, artigianali italiane usino un linguaggio diverso a seconda di chi sia il destinatario ideale del prodotto.

 

Il birrificio “Amarcord” è stato uno dei primi a proporre le sue birre sugli scaffali dei supermercati italiani. Le loro etichette, perciò, si rivolgono a un pubblico più vasto e meno colto in quanto a birra. Sulle bottiglie della “Amarcord” appare la scritta “artigianale”, “prodotta in Italia” ed è indicato il colore della birra ma non lo stile brassicolo.

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Su queste etichette appare anche la dicitura “doppio malto”. Questo è un termine giuridico-fiscale che indica le birre con una “densità” maggiore a 14,5 °P; la “densità” misura la quantità di zuccheri presenti nel mosto. La categoria delle “birre doppio malto” è funzionale semplicemente al calcolo delle accise ed è un termine che appartiene esclusivamente alla lingua italiana. Nonostante sia un termine tecnico marginale e poco importante a determinare le caratteristiche effettive della birra, è entrato nel linguaggio comune e con birra “doppio malto”, credo, si intenda una birra forte, con un contenuto alcolico alto. Naturalmente a chi sa cosa significa veramente questa espressione, importa poco saper che una birra sia “doppio malto”.

Una birra che si propone al grande pubblico si presenta perciò attraverso gli stereotipi italiani su questa bevanda: il colore come sistema esclusivo di catalogazione della birra, il pregiudizio che “artigianale” e “italiano” significhino “buono” e la qualità della mitologica “doppio malto”. Mancherebbe solo lo stereotipo della birra ghiacciata bevuta d’estate ad accompagnare una pizza.

Ecco a voi un altro esempio dall’etichetta di una birra acquistata al supermercato, nella quale si propone, appunto, una bevuta estiva accompagnata dalla “classica pizza”.

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Abbiamo osservato come le artigianali italiane vendute al supermercato, tendenzialmente, utilizzino un linguaggio meno preciso e meno tecnico. Chi volesse sapere qualcosa di più riguardo a che tipo di birra sia effettivamente contenuta in una bottiglia venduta nella grande distribuzione, deve cercare di capire cosa si celi dietro a termini poco precisi quali “rossa”, “doppio malto”, “artigianale”, ecc.

L’invito quindi è quello di valutare bene l’etichetta per capire cosa andremo a comprare, al supermercato come al beershop.

Spero di avervi offerto, in queste tre settimane,dei buoni spunti di riflessione e di avervi fornito degli strumenti per leggere in modo critico le etichette delle birre artigianali italiane.

 

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Lorenzo Donati
Info autore

Lorenzo Donati

Studente universitario (ancora per poco!), originario della provincia di Bergamo, ho imparato ad apprezzare la mia terra natale e i suoi prodotti da quando mi sono allontanato da essa. Mi sono trasferito prima a Pavia per conseguire la laurea in Lettere Classiche, poi a Shanghai, dove ho vissuto per quattro mesi imparando il cinese mandarino, e infine a Siena, dove sto per laurearmi in Linguistica.
Mi piace molto cucinare i piatti tradizionali della mia terra e sto imparando a cucinare cinese; a volte unisco le due cose per creare qualcosa di innovativo ma armonioso.
Altra mia grande passione, naturalmente, sono le birre! Poco dopo aver avuto l’età legale per bere, mi sono imbattuto per caso in alcune birre belghe e da lì è nato il mio grande amore. La prima volta che assaggiai una birra trappista, la cameriera del pub, rispondendo a una mia domanda, mi disse che “trappista” significava “triplo malto”!! Per fortuna, successivamente, ho avuto l’occasione di frequentare birrerie nelle quali sono stato educato da gestori estremamente competenti ed appassionati.
All’interno del vasto panorama brassicolo belga, le mi birre predilette sono le trappiste di Orval, Chimay e Westvleteren, e i lambic in ogni forma (evitando magari quelli che sembrano più dei succhi di frutta…). Fuori dai confini belgi, apprezzo molto le pils boeme e le weizen bavaresi, specialmente dopo una camminata in montagna!
Sono felice di collaborare con il Giornale della Birra, condividendo ricette, studi e esperienze birraie. 干杯!(asciugate i bicchieri!)