Numero 43/2016

29 Ottobre 2016

I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 5

I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 5

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Giuseppe non ricordava di aver patito un freddo così intenso nella sua vita come durante quella discesa dai monti.

Neppure durante l’inverno di quattro anni prima, quello che gli esperti avevano definito ancora più rigido di quello del ’17, in piena guerra…

Giuseppe si ricordava come, quattro anni prima, il freddo avesse distrutto intere giornate (unità di misura degli appezzamenti di terra con valore differente da regione a regione. 1 giornata Piemontese equivale a 3810 mq, ossia circa un quarto di ettaro) di frutteti, pesche ed albicocche in primis, seguite poi anche dal grano che, nonostante la sua predisposizione naturale al freddo dell’inverno, non aveva retto alle continue settimane ad una temperatura media di -18°!

E lui, ben sapendo che il clima lassù non era così rigido, era convinto di aver più freddo di allora!

Certo, quattro anni addietro affrontò il freddo con abiti caldi ed asciutti, bevande calde ed il caldo e schioppettate fuoco che lo rinfrancava la sera…

In quella occasione, aveva dormito alla diaccio per giorni, la divisa zuppa (per lo meno i pantaloni e gli stivali), il vento pungente che non aveva smesso neanche per un attimo di sferzare, quasi a voler scoraggiare quegli umani avventori…

Ed in più…

Lui scendeva il ripido pendio a petto nudo. Non un solo straccio a ridurre, anche se impercettibilmente, la sensazione di gelo che penetrava e permeava ogni fibra del suo essere dalla punta degli alluci a quella dei capelli!

Una tortura di inenarrabile crudeltà, non vi era ombra di dubbio!

Ma lo scopo per il quale gli era inflitta era, a dire dei suoi istruttori, più alto e nobile, rispetto alla mera tortura fisica.

Voleva essere un modo per far capire, a Giuseppe e agli altri, che la morte era realmente terribile, e non una pantomima sadica ed a tratti umoristica!

Quella tortura serviva ad insegnare che la morte in battaglia era eroica e comunque di gran lunga preferibile ad un destino di supplizi e di torture per aver tradito il Duce, il Re e l’Italia! Sopravvivere disertando o nascondendosi o per via di scaramucce tra commilitoni era una macchia che non si sarebbe lavata mai, nella vita di un fascista; una macchia cancellabile solo con l’espiazione a mezzo di tortura con, come unica via d’uscita, la morte con disonore!

Ecco lo scopo di quella tortura; ecco perché più di metà dei componenti il battaglione di Giuseppe stavano sperimentando la discesa dai monti a petto nudo.

Con ogni probabilità lui e gli altri si sarebbero ammalati per via di quelle temperature ma, in cuor suo, Giuseppe sapeva che questo non sarebbe stato un esimente… anche con la febbre i suoi istruttori lo avrebbero obbligato a seguire l’addestramento, il giorno seguente.

Continuava a frizionare le braccia ed i fianchi ed eseguiva movimenti rapidi nell’inutile tentativo di riscaldarsi; il vento trascinava via con sé sudore e calore corporeo.

La cosa che, però, gli gelava il sangue nelle vene, ancor più del rigido clima, erano le parole che il suo istruttore gli aveva rivolto una volta che era stato condotto alla tenda, assieme al sergente ad interim con cui si era azzuffato:

«Mi avete molto deluso… al ritorno alla Caserma ne riparleremo… in modo estremamente approfondito».

La strada era impervia.

La discesa lunga ma costante.

Eterna.

Giunsero alla caserma che era quasi sera.

Tutti alle docce, compresi gli sciagurati semi assiderati come Giuseppe.

Il contatto della carne con l’acqua bollente fu dapprima un’atroce agonia che divenne ben presto sollievo d’inebriante libidine.

Ma questa sensazione durò poco, invero…

Quattro minuti, per l’esattezza.

Era il tempo che era concesso a ciascuno per lavarsi e riscaldarsi.

«Femminucce,» esordì il Sergente una volta che tutti ebbero fatto la doccia, asciugamano addosso per asciugarsi «Dopo quest’orgia di fatiche vi meritate un po’di riposo. Da ora fino alle tre e zero-zero ci sono circa sei ore. Mangiate, mi raccomando, in fretta perché le ore di sonno saranno poche. Arrivederci a questa notte!»

Per un attimo Giuseppe si illuse di averla scampata…

Per un attimo…

«Voi due… nel mio ufficio. Tre minuti per rendervi presentabili, gli ufficiali di picchetto vi scorteranno».

«Signorsì».

Era evidente che non l’avevano fatta franca!

 

L’ufficio del sergente non era niente di ché ma, in fondo, “Sergente” non era un grado alto.

Arredamento scarno: una scrivania, due sedie a mo’di quelle delle scuole, un armadietto portadocumenti, una decina di timbri, un calamaio, un quadro raffigurante il Duce in uniforme ed una bandiera del Regno appesa al muro; il tutto compattato in poco più di sei metri quadrati.

I due ragazzi si misero sugli attenti e restarono immobili in attesa delle parole del Sergente.

Dopo interminabili minuti, il graduato iniziò il sermone:

«Perché siete qui?»

«Perché il qui presente caporale ad interim ha disatteso i miei ordini e perché mi ha aggredito e…»

«Questo è falso! Sei solo…»

«Zitti! I miei nipoti sono più educati e rispettosi!»

«Signore…» il commilitone di Giuseppe provò a proferir verbo, ma ricevette il pesante calamaio in piombo sul grugno.

«Se vi dico di stare zitti, VE LO STO ORDINANDO! ED ESIGO CHE I MIEI ORDINI, I MIEI, VENGANO PERFETTAMENTE ESEGUITI!» tuonò il sergente.

Dopo un attimo di silenzio, nel quale il commilitone di Giuseppe si ricompose dal trauma procuratogli dal calamaio, il Sergente proseguì:

«Siete qui perché non solo avete disatteso le mie direttive, ma anche perché, con il vostro comportamento, avete causato la sconfitta della vostra squadra. Vi devo confessare che ho l’abitudine di infiltrare dei miei collaboratori, dei caporali, nelle fila delle nuove reclute, in modo che essi siano i miei occhi e le mie orecchie. Come potrete ben immaginare, mi sono stati molto utili per capire i fatti di diverse situazioni, non ultima la vostra baruffa infantile».

I due giovani rimasero di stucco!

Per tutte quelle settimane c’erano dei fidati consiglieri dell’Istruttore tra di loro e di ciò nessuno si era accorto?

In un attimo ai due vennero in mente tutte le critiche fatte tra commilitoni al Sergente ed ai suoi collaboratori, compresi epiteti ed insulti più o meno pesanti!

«Colgo nel vostro sguardo l’angoscia di chi ha la coda di paglia… se la vostra preoccupazione sono gli insulti che tutti rivolgono a me ed ai miei familiari, beh, non verrete puniti per quelli! Un buon addestratore non deve essere simpatico. Un buon Sergente non deve esservi amico. Un buon Sergente va odiato e temuto… ma quando il soldato sopravvivrà sul campo di battaglia, allora ringrazierà ed amerà il suo Sergente come ama suo padre! Ed il sottoscritto sarà orgoglioso del soldato e del proprio lavoro. Voi siete qui per un’altra questione».

Il graduato prese fiato:

«Partiamo da te: ti ho assegnato il grado di Sergente in questa esercitazione per traghettare i tuoi alla vittoria ed hai fatto tre scelte, due sbagliate ed una giusta. Quella sbagliata: restare immobile ad attendere il nemico. Senza neppure una sentinella, come pensavi di respingere l’aggressione con lo svantaggio dell’effetto sorpresa? L’altro errore che hai commesso è stato quello di non ascoltare i consigli dei tuoi sottoposti. Le scelte le prende il più alto in grado, funziona così, ma anche il più abile stratega non è esente da errori. Prima ascolti e poi decidi, mai il contrario! E poi hai fatto la scelta giusta: hai ucciso il qui presente… Giuseppe, giusto?»

Sbalordito, Giuseppe non fece altro che annuire a bocca aperta, giusto per rispondere al superiore.

«Un subalterno che non esegue gli ordini e che mina l’autorità di un superiore va RESO INOFFENSIVO. O si adegua all’ordine impartito, oppure va posto agli arresti quando possibile oppure, come in trincea, va soppresso per ristabilire l’ordine tra le gerarchie. La guerra è dura, ragazzi miei e vanno prese vie, impartendo ordini, in modo tassativo e senza ripensamenti».

Un nuovo attimo di silenzio e poi la ramanzina passò a Giuseppe:

«Tu, invece, hai commesso due errori e due scelte giuste: la prima scelta giusta è stata quella tattica; la tua strategia, seppur non perfetta era nettamente migliore di quella del tuo Sergente. Il tuo primo sbaglio è stato cedere al comportamento vile del tuo commilitone: dovevi imporgli il tuo ordine e non accordare un tuo eventuale sacrificio pur di accontentarlo! Ogni stratega è indispensabile, di inetti come il tuo commilitone, buoni solo ad esser carne da macello, ne è pieno il mondo. Avresti dovuto ucciderlo, piuttosto. Seconda scelta giusta: hai deciso di riunire tutti i caporali ed il sergente per esporre il tuo piano. Seconda scelta sbagliata: farti uccidere dal tuo Sergente!»

«Come? Signore, non capisco… non ha appena detto che nessuno deve disobbedire ad un ordine di un superiore?»

«Quando il tuo superiore è un imbecille e condanna tutti i suoi uomini alla sconfitta ed alla morte, se vi è accordo di tutti i secondi in comando si deve procedere alla rimozione dell’idiota dal comando! Fa parte delle leggi Marziali e colui il quale è stato rimosso, nonché i secondi che lo hanno rimosso saranno giudicati dalla Corte Marziale, per verificare la legittimità dell’azione. Un’insubordinazione giustificata è censurata e condannata, ma ricordate bene: meglio il peggior processo che il miglior funerale!»

I due ragazzi restarono attoniti.

Quanta saggezza in quella ramanzina!

«Veniamo a noi, dunque. Sono sicuro che avete capito i vostri sbagli ma, come vi ho detto, un buon Sergente va odiato, quindi: è prevista una libera uscita per tutti voi per le vacanze natalizie di cinque giorni. Va da sé che per voi non vi saranno ferie. Resterete in caserma. Eviterò, ma solo per questa volta, di farvi rapporto ufficiale. Ritenetevi fortunati. Ed ora… sparite dalla mia vista!»

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.