Numero 03/2018

16 Gennaio 2018

Chianti Brew Fighters: birrificio artigianale per passione, nel cuore della tradizione enologica!

Chianti Brew Fighters: birrificio artigianale per passione, nel cuore della tradizione enologica!

Condividi, stampa o traduci: X

 

 

La Toscana, terra straordinaria della cultura enogastronomica nazionale, è anche la culla in cui sono nati, in tempi più o meno recenti, importanti birrifici e brewpub. Molti di questi portano oggi in sé l’innovazione della tradizione, coniugando nella filosofia produttiva le più alte tecnologie, l’evoluzione del pensiero dei giovani imprenditori, la creatività dei moderni artigiani e l’attenzione alle rinnovate richieste degli stili di consumo. Tra questi, una realtà degna di nota è il Birrificio “Chianti Brew Fighters” che, dal 2016, soddisfa i palati di un’ampia platea di birrofili con una gamma di birre in continua evoluzione.

La piccola brasseria ha trovato ispirazione dall’estro artigiano e dall’animo imprenditoriale di tre giovani amici, Stefano Giannini, Giulio Iannelli e Marco Lenzi che oggi ci hanno accolto in visita al birrificio.  Dalle prime cotte ad oggi il microbirrificio ha perseguito una costante propensione alla innovazione ed alla sperimentazione, grazie alla quale oltre alle “classiche birre” afferenti ad uno stile storico, sono state portate in produzione birre che impiegano anche prodotti locali e di nicchia.

Una dinamica, intraprendente e creativa realtà artigianale,  che oggi, in esclusiva, Giornale della Birra, vi porta a conoscere.

 

.

.

 

 

Stefano, ripercorriamo in dettaglio la genesi della vostra impresa: quali stimoli hanno trasformato il progetto in realtà?

Gli stimoli che hanno trasformato il nostro progetto in realtà sono stati la passione per le birre e per tutto quello che bere birra significa. Quando pensiamo ad una birra pensiamo alla musica, alla compagnia degli amici, al tono di voce che si alza pian piano, al piacere di stare insieme con altre persone, al calore dei pub, alla vita.

La nostra amicizia parte da lontano, dai tempi del liceo dove iniziavamo a bere le nostre prime birre industriali, dove il punk rock ci ha uniti in una band che ci ha regalato tante soddisfazioni e portato in giro per l’Italia e dentro ai pub. La birra ci ha sempre accompagnato, un sottofondo costante nelle nostre vite. La vera svolta però avviene quando circa 10 anni fa assaggiammo con consapevolezza una I.P.A. in un beershop aperto vicino a casa nostra. Da lì iniziammo un percorso intenso che ci ha portati ad aprire il nostro birrificio. La curiosità ci spinge alla ricerca di birre che abbiano un’anima, un cuore, una storia. Iniziamo a fare corsi di degustazione, a visitare pub specializzati e birrifici, iniziamo a fare birra in garage, iniziamo a pensare di creare qualcosa di nostro. Io, oltre al corso da hombrewers presso il BHC di Fabio Giovannoni frequento anche il corso di tecnico birraio al C.E.R.B. di Perugia che solidifica le basi autodidatte. Inizio anche grazie a Giampiero e Michela della ex Birroteca di Greve (attuale SETE Pub) ad entrare in contatto con birrai esperti e capaci come Daniele Chiarini del birrificio Mostodolce che mi ospita per una settimana nella sua sala cotta, lo stesso succede con Apo di Brùton che mi apre le porte del suo birrificio per qualche giorno al seguito di Andrea Riccio. Infine, la costante frequenza del birrificio Calibro 22 e l’amicizia con Raimondo Melis mettono le basi per convincermi di poter iniziare questa avventura.

A questo punto dovevamo decidere dove e come aprire, l’idea nasce a Madrid in uno dei nostri viaggi.

“CHIANTI”, disse Marco dopo settimane di riflessioni. E Chianti fu.

All’inizio in pochissimi credevano fosse una buona idea, anzi la ritenevano fallimentare e rischiosa. Noi non abbiamo mai avuto il minimo dubbio sulla bontà di tale intuizione.

Siamo sempre andati un po’ – per citare De André – “in direzione ostinata e contraria”, e questo ci ha sempre permesso di rimanere noi stessi e di trasmettere in quello che facciamo la nostra personalità.

L’amore per le birre è diventato viscerale e l’attenzione alla produzione è sempre massima. Le ricette provate in garage adesso sono rivestite di un’immagine che ben ci rappresenta e che comunica chiaramente il nostro carattere. Abbiamo investito molto anche lì, perché sappiamo che adesso i birrifici in giro sono molti e un prodotto di buona/ottima qualità potrebbe non bastare più per emergere. Quindi oltre all’attenzione per la produzione ci vuole anche un’immagine che sia ben distinguibile.
Ci tengo a precisare che questo progetto parte da lontano, un progetto pensato e coltivato per circa 5 anni dove ognuno di noi ha dato il massimo per realizzarlo.

 

.

.

 

Molto interessante la vostra filosofia produttiva, che spazia attraverso una gamma di birre molto diverse. Quali sono le peculiarità e gli elementi distintivi delle produzioni?
Come dicevo prima – per me, ma credo di parlare a nome anche dei miei soci – la birra non rappresenta solo una bevanda da annusare, commentare, da analizzare e psicoanalizzare. Io penso di aver acquisito, ed ancora mi sto allenando per migliorarmi, una capacità di degustazione tale da capire quello che bevo, perché per me è fondamentale capire l’intenzione del birraio e del birrificio, e spero che questa voglia cresca sempre di più nei bevitori. La birra deve essere buona e l’intenzione del birraio onesta. Spesso si fanno stili per moda, che non significa fare una birra perché curiosi d’interpretare quello stile, ma semplicemente perché va.  Ecco: questo mi da un po’ noia. Io apprezzo molto chi fa lavoro di ricerca, chi si appassiona a stili desueti e semi-sconosciuti, e nel nostro piccolo noi l’abbiamo fatto con La Serpe, una California Common. Le nostre birre hanno sempre una buona attenuazione perché vogliamo birre secche che chiamino un altro sorso, perché sorseggiando birra ci piace fare tante cose: come dicevo prima, suonare, alzare bonariamente il tono delle voce, stare in compagna allegramente, essere in situazioni informali. La qualità della bevuta è strettamente legata alla qualità del divertimento. Nel senso che vogliamo birre pulite, prodotte con quello che noi riteniamo le migliori materie prime, le più adatte. La scelta degli stili è da ricercare appunto nel mio periodo da homebrewer. La Villana (Golden Ale), La Serpe (California Common), La Bestemmia (Strong Ale) e La Selva (Dry Stout), sono le nostre prime ricette. Sono stili diversi che cercano di coprire almeno in parte i nostri gusti senza inizialmente creare dei doppioni. La Villana nasce dal mio amore incondizionato per il Citra, attualmente unico luppolo statunitense che uso, La Serpe è la ricetta che più mi affascina considerando tutta la storia, forse più leggenda, che si porta dietro. Essendocene pochi esemplari in giro, ho dovuto fare – oltre che a degustazioni – un bel lavoro di ricerca sui libri che è stato davvero appassionante, e il fatto di poter utilizzare in modo particolare i lieviti mi hai intrigato fin da subito.  La Bestemmia mi è venuta in mente dopo aver bevuto la Jambe de Bois di Brasserie de La Senne, un capolavoro di birra. Volevo una birra ad alta gradazione alcolica ma che non avesse un corpo eccessivamente rotondo e dove il finale regalasse un amaro non solo da alcol, ma anche erbaceo. La Selva invece è la mia birra maledetta. Fin dai tempi del garage qualcosa andava sempre storto… per fortuna adesso sono riuscito ad addomesticarla. Ovviamente anche qui una delle qualità importanti sta nella sua secchezza finale e nel bilanciamento di malti tostati. Poi è sopraggiunta la voglia di utilizzare materie prime locali ed è nata La Vergine, prodotta con il grano raccolto nell’unico campo di grano del Chianti Storico. La prima birra dove ho iniziato ad utilizzare le spezie, cercando di farlo in modo oculato e senza esagerare, per creare una bevuta elegante.

 

.

.

 

Giulio, in merito alle materie prime come effettuate la selezione degli ingredienti per raggiungere leccellenza delle birre?
Di base c’è la cognizione di sapere quello che acquisti, ovvero sai che un determinato lievito ti darà dei risultati mentre un altro te ne darà di completamente diversi. Lo stesso vale per le altre materie prime. Poi, per esempio, con quei luppoli che non conosco faccio delle tisane per capirne gli aromi, con il malto posso fare dei mini batch a casa. Fai comunque delle prove con quello che non conosci. Per avere un’idea, perché poi come la chimica e soprattutto l’esperienza c’insegna, le rese in percentuali su quantitativi diversi cambiano, ovvero da una cotta di 10 litri a una da 500 litri se utilizzo la stessa percentuale avrò comunque risultati diversi. Le materie prime sono fondamentali come è fondamentale la preparazione del mosto, la fermentazione, l’imbottigliamento, la pulizia: tutto fa parte di un processo di qualità, non solo la scelta delle materie prime. E’ inutile avere un malto con una resa altissima se poi non riesco a fare un ammostamento corretto.

 

.

.

 

Il vostro birrificio, a differenza di molte altre realtà, nasce a monte da uno stretto rapporto con il consumatore, attraverso le vostre precedenti esperienze lavorative in pub e ristorazione: come ha influito questa condizione speciale nella definizione delle ricette?
Lavorare in un pub mi ha dato la possibilità di capire meglio le esigenze del cliente e suoi punti di vista. Per quanto riguarda Marco (che ha proprio gestito un ristorante dove veniva servita birra artigianale), per noi il suo punto di vista è stato fondamentale: un punto di vista gestionale. Avendo il ristorante vicino alla zona del nostro birrificio conosceva anche la stagionalità del luogo e le abitudini di un certo tipo di cliente. Per quanto riguarda l’approccio alle ricette, come dicevo prima abbiamo cercato di creare una linea base che potesse rappresentare i nostri gusti ed offrire una scelta differente di birre al cliente senza cercare effetti pirotecnici o modaioli, cercando di fare birre corrette, buone e con una precisa personalità.

 

 

Marco, l’esperienza maturata sul campo come imprenditore ti permette di analizzare il settore della birra artigianale italiana da un punto di osservazione privilegiato: come immaginate il futuro delle craft-beer made in Italy? Quali consigli dareste a un giovane con il desiderio di avviare un progetto imprenditoriale simile al vostro?

Il futuro della birra artigianale in Italia lo vedo molto positivo. Ogni anno piccole fette di mercato vengono rosicchiate alle birre industriali che stanno cercando di fagocitare il movimento. Il consumo e la richiesta è aumentata, ed è cambiata una cosa fondamentale. Vi racconto questo aneddoto. L’anno scorso abbiamo partecipato al Beer Attraction di Rimini per la prima volta da espositori – di solito andavamo la domenica ed il lunedì o solo il lunedì proprio per il discorso che io lavoravo in un pub e Marco aveva il ristorante. Il lunedì era il giorno degli addetti ai lavori, e si poteva girare tranquillamente perché non c’era molta gente. Lo scorso anno, convinti che il lunedì fosse una giornata tranquilla, ci presentiamo allo stand con calma olimpica inconsci di quello che stava per accadere. Fu la giornata più intensa di tutte. C’erano gestori non solo di pub specializzati ma anche gestori di ristoranti, di pizzerie, di pub che non avevano artigianali ma che erano interessati. Ora, con questo voglio semplicemente dire che la sensazione è che prima fosse solo il cliente interessato al prodotto, mentre oggi anche i commercianti che prima (o forse anche adesso) neanche sapevano cosa fosse una birra artigianale si stanno interessando. Certo qui scatta il lavoro più difficile: creare un rivenditore consapevole di quello che vende.

Ad un giovane che ha intenzione di aprire un birrificio direi questo: primo, assicurati di fare un prodotto perlomeno senza difetti, perché altrimenti non solo fai male a te stesso ma fai male anche a tutti gli altri. Poi devi essere disposto a non avere orari e devi avere le idee chiare su tutto. Dal marketing alle grafiche alla comunicazione. Scegli un posto dove stare commercialmente e cerca di collocarti lì. Ma soprattutto ti devi divertire nel farlo e lo devi fare con passione perché poi le persone quando bevono e vedono le tue birre queste cose le sentono. Questi più che i consigli che io darei sono quelli che mi sono stati dati da gente molto più esperta di me, che ritengo fondamentali e che tuttora seguiamo. Di mio potrei dire di non farsi abbattere dalle prime difficoltà (perché ci saranno!), di rimanere sempre curioso e di bere tante tante birre.

 

Maggiori informazioni su Chianti Brew Fighters sono disponibili sul sito web aziendale www.chiantibrewfighters.com

 

Condividi, stampa o traduci: X

Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!