Numero 15/2021

13 Aprile 2021

Millecento: la birra dell’abbazia

Millecento: la birra dell’abbazia

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Le Marche sono una regione italiana davvero straordinaria. Il mare, la montagna, le aziende manifatturiere, la cucina, l’operosità e la gentilezza delle persone ne sono alcuni dei tratti distintivi. Un tratto forse meno conosciuto, ma di grandissima rilevanza, è la bellezza del paesaggio rurale marchigiano, che non ha granché da invidiare a quelli di regioni italiane ben più blasonate e familiari perfino al grande pubblico internazionale. Altrove, nel Bel Paese, il paesaggio rurale è stato perlopiù indirizzato verso una esplicita semplificazione strutturale e funzionale, fatta di ampi campi, spesso occupanti interi versanti collinari, utili alla coltivazione voluta da una certa agricoltura industriale. Sfortunatamente, tale semplificazione ha come contraltare il tratteggio di un paesaggio alquanto uniforme, privo delle tradizionali alberature poste a consolidamento di capezzagne e canali di scolo, ed anche barriera ai deleteri fenomeni erosivi, cui sempre più sono soggetti i terreni scoscesi di un paese nel quale, tra le altre emergenze, sicuramente c’è quella del dissesto idrogeologico. Beh, le Marche, certamente più di altre regioni, hanno saputo conservare ampi tratti del proprio territorio collinare per come è stato disegnato dalla saggezza dell’intervento antropico sperimentato con successo nel corso di secoli. Ho avuto la fortuna di frequentare questa regione per ben tre anni, l’intera durata del mio dottorato di ricerca presso l’Università Politecnica della Marche di Ancona. Ed ho avuto modo di girare in lungo e largo nel territorio regionale facendomi un’idea molto precisa sul fatto, che, sebbene non prive anch’essa di contraddizioni, le Marche sono sicuramente una delle regioni più belle della penisola.
Una bellezza che prende le mosse dall’eterogeneità, testimoniata, ancora oggi, dalla conservazione del plurale nel nome della regione. Tale tratto nomenclaturale era comune ad altre regioni italiane in passato, ma nel tempo il desiderio di omologazione ha prevalso un po’ dappertutto, tranne nelle Marche. Permangono dialetti e culture diverse, cui non sono estranei, naturalmente, gli eventi storici e la accidentata morfologia del territorio. Il territorio regionale, nel suo settore settentrionale, è stato lungamente frequentato dal popolo di ceppo celtico dei Galli Senoni, mentre Ancona vanta un’origine greca, essendo stata un importante porto dorico. Poi a sud i Piceni e nel nord i popoli Umbri. Regione espressione di una grande biodiversità, in termini biologici senza alcun dubbio, ma anche culturali, antropici e perfino di agro-biodiversità. Questa eterogeneità in qualche modo è giunta fino a noi ed ha finito col trovare espressione anche nel mondo della birra artigianale, rappresentata ormai da una cinquantina di birrifici dislocati in tutta la regione. Gran parte di questi birrifici, come ci si aspetta in una regione dalle così profonde radici culturali nei singoli territori, non mancano di proporre – tema che mi sta particolarmente a cuore – birre con l’aggiunta di ingredienti vegetali particolarmente caratterizzanti. Ne sono solo alcuni esempi Jester Birrificio Agricolo con la birra Claroma, caratterizzata da aggiunte di melograno (Punica granatum) e con la birra Lavandula con aggiunga di lavanda (Lavandula sp.), o il Birrificio Le Fate che produce la birra Pimpinella con anice verde (Pimpinella anisum) di Castignano presidio Slow Food, o la hAPAnero del birrificio MD77 prodotta con aggiunta di peperoncino habanero (Capsicum baccatum), od anche la Persica del Birrificio 61-100, brassata col contributo di pesche coltivate nel pesarese. E questi sono solo alcuni esempi di produzioni locali perfettamente integrate nel panorama della birra artigianale delle Marche, per non parlare delle IGA, ormai prodotte da quasi tutti i birrifici marchigiani.

 

Le Marche hanno una riconosciuta tradizione nel settore enologico, ma registrano anche occasionali esperienze brassicole già nel 1800, ben prima della rivoluzione craft. Pasquale Montini, un imprenditore fabrianese, realizzò una liquoreria, e secondo alcune fonti anche un birrificio, a Fabriano nel 1854, la cui produzione cessò nel 1871, sembrerebbe anche a causa della pesante imposizione fiscale voluta dal Regno d’Italia. In realtà però, la familiarità con le fermentazioni di questo territorio va ancora più indietro nel tempo, e vede protagonista un celebre cittadino fabrianese. Francesco Scacchi (1577-1656), medico a Roma presso il Cardinale Ottavio Bandini, pubblicò nel 1622 il volume De salubri potu dissertatio (Dissertazione sulla bevanda salutare), nel quale illustra, sulla base di esperienze proprie e di quelle storiche [cita infatti Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e Galeno (129-201 d.C.)], la prassi, i diversi modi e perfino l’arte di bere il vino, all’insegna dell’opportuna moderazione. Una parte significativa dell’importanza attribuita all’opera di Scacchi – fra l’altro più volte “riscoperta” già a partire dal celebre storico enologo e gastronomo André Louis Simon (1877-1970), nel suo libro Bibliotheca vinaria del 1913 – discende dalla sua descrizione della rifermentazione in bottiglia per ottenere il vino frizzante.

Forte di un tale background culturale, ed inserito in un contesto eterogeneo e dinamico, nasce il Birrificio Millecento. Una piccola azienda, della quale Samuele Carnevali è il factotum. Per il nome del birrificio è stato preso in prestito l’anno di costruzione dell’abbazia benedettina che si trova proprio sopra al birrificio, ed ubicata in questa sede proprio per la ricchezza delle acque sorgive oligominerali, oggi uno dei punti di forza del birrificio. Il Monastero Benedettino di San Cassiano, sito nell’omonima Località San Cassiano in Valbagnola, nel comune di Fabriano (AN) fu costruito tra l’anno 1109 ed il 1119, alle pendici del Monte Cucco, proprio nei contrafforti dell’appennino Umbro-Marchigiano. Il birrificio nasce dall’iniziativa di un gruppo di homebrewers, nel quadro della ricostruzione post-sisma del 1997, quando la cooperativa Castelvecchio mette a disposizione un locale per ospitare la piccola infrastruttura produttiva. Le tappe evolutive successive sono, in breve, le seguenti: nel 2013 iniziano le prove di brassaggio, nel 2014 nasce il marchio Birra Millecento, nel 2015 passa nella cooperativa Inkarta e nel 2018 Samuele ne diventa unico proprietario.

Il progetto di Samuele Carnevali ha attirato la mia attenzione per il suo crescente interesse alla valorizzare delle produzioni del territorio. Già da tempo, infatti, brassa una birra assai interessante, la Zaffera, speziata con lo zafferano (Crocus sativus) prodotto dall’Azienda Agricola Metelis, di Matelica (MC). Poi, analogamente a diversi suoi omologhi birrai marchigiani, produce una IGA per la Cantina Maraviglia (Matelica), Sybilla, impreziosita dall’addizione di mosto di Verdicchio.
Samuele Carnevali è un ragazzone del ’73, perito chimico, il quale, pur essendosi dedicato all’approfondimento brassicolo tramite la lettura della bibliografia di settore, riconosce nel suo retroterra di attività amatoriali condotte in famiglia, un ruolo importante nelle sue future scelte professionali. La sua famiglia ha infatti sempre coltivato la vite e lui, ripercorrendo le orme del suo illustre concittadino fabrianese, già molti anni fa, si era dedicato a produrre spumante applicando il celebre Metodo Scacchi. La scintilla brassicola è scoccata però solo nel 2013, in un momento tutt’altro che sereno della vita del nostro protagonista, giacché il fallimento dell’azienda metalmeccanica nella quale lavorava come magazziniere, lo aveva lasciato senza lavoro. In questa fase di vita sospesa un amico, titolare di un birrificio della zona, gli consiglia di riattivare l’impianto di San Cassiano, un monotino elettrico da 100 litri. Da lì in poi è tutta una teoria di corsi frequentati per migliorare la propria padronanza della materia brassicola, di esperimenti, di consigli di buoni amici più esperti. Ne cita diversi in verità, tutti quelli cui riconosce l’aver avuto un ruolo significativo nel suo percorso: Pierpaolo Chiaraluce, Marco Simoni, Filippo Olmeda, Fabio Gabrielli. Umiltà e riconoscenza, verso chi ti ha dato una mano, sono anch’essi merce rara di questi tempi.

 

 

Allora Samuele, grazie per la tua disponibilità e per il tuo lavoro come birraio. Direi di iniziare da qualche dato tecnico. Come è composto il tuo impianto?
Grazie a te dell’opportunità di far conoscere il mio lavoro. L’impianto attuale è un Polsinelli, al quale ho aggiunto delle resistenze elettriche a fascia per bilanciare la temperatura nella pentola in fase di ammostamento. Si tratta di un doppio tino a GPL ed elettrico da 5 ettolitri. Nella cantina poi, ho 3 fermentatori da circa 600 litri e un maturatore isobarico.

Spesso, ai birrai intervistati, chiedo di raccontare il loro lavoro e le loro produzioni. Hai voglia di descrivere, per i nostri lettori, 3-5 birre del birrificio Millecento che rappresentino compiutamente la tua idea di birrificio?
Certo che sì. Le birre prodotte hanno tutte dei nomi maschili, questo perché si è costruita una storia (non sempre del tutto veritiera, per dirla tutta, ma in molti casi almeno verosimili!) su alcuni monaci che si presume producessero birra nel Medioevo all’interno di queste mura che oggi ospitano il birrificio Millecento. Le birre in produzione attualmente sono 7, ed io vorrei raccontare Giovanni, una birra dedicata ad un monaco benedettino silvestrino scomparso recentemente ed assai dedito all’agricoltura. Si tratta di una Pils brassata con luppolo Saaz con 4,7 % ABV. Una birra a bassa fermentazione quindi, isobarica a 11°C e tre settimane di lagerizzazione a 4°C. Procedimento analogo per la Pasquale, lager monomalto Pils e 4 diversi luppoli bavaresi. L’ambrata Gregoire è una bitter con Cascade Neozelandese. Quindi una birra ad alta fermentazione rifermentata in bottiglia. Il nome Gregoire è stato attribuito in memoria del monaco benedettino silvestrino Reginaldo Gregoire, bibliotecario del monastero silvestrino di Monte Fano, scomparso di recente e parecchio rimpianto per le sue elevate competenze e per il carattere solare. Infine, la Zaffera, la più complicata, una birra base Scotch Ale, speziata con un dry hopping a base di zafferano.

Come ben sai, come botanico, mi occupo, fra l’altro, di piante applicate alla produzione della birra. Quindi sono particolarmente curioso delle birre in cui si usano ingredienti vegetali inconsueti. Oltre alla birra di grande successo con l’aggiunta di zafferano so che proprio in questo periodo stai sperimentando qualcosa di nuovo. Hai voglia di raccontarci cosa bolle in pentola?
In realtà sto lavorando ad un nuovo progetto, che potrebbe portare alla prossima creazione del birrificio Millecento. Sebbene sia ancora in fase di sviluppo, devo confessare che la fase preliminare della sperimentazione è andata piuttosto bene. Si tratta di una birra brassata con l’aggiunta di elicriso, adottando una tecnica simile a quella appena illustrata.

Come sei arrivato a sapere dell’esistenza di questa pianta così particolare e dalle molteplici applicazioni fitoterapiche, e come ti sei deciso di utilizzarla nella produzione di una birra così particolare?
Dopo la produzione della Zaffera mi sono interessato ad altri ingredienti da aggiungere alla birra. Ho pensato anche alla lavanda, ma ho avuto, del tutto fortuitamente, l’opportunità di sentire l’odore dell’olio essenziale di elicriso estratto dai monaci benedettini silvestrini come presidio fitoterapico contro il raffreddore, e quell’aroma ha attirato la mia curiosità.

Per i non addetti ai lavori l’elicriso o Helichrysum italicum (Roth) G. Don (Asteraceae) è pianta davvero interessante. Si tratta di pianta perenne suffruticosa, le cui numerose ramificazioni ascendenti formano un piccolo cespuglio di colore biancastro, per il tomento di peli lisci grigio-biancastri che ricoprono l’intera pianta nello stadio giovanile. I fusticini si presentano angolosi, legnosi e contorti alla base, alti 20-50 cm, portano foglie alterne, sessili, strette e lineari, lunghe 10-40 mm e larghe 1 mm, erette o patenti, con margine ripiegato verso il basso, verdi glabrescenti o ricoperte da sparso tomento su entrambe le facce. Le infiorescenze di questa pianta sono raggruppate in densi corimbi apicali, composti da 20-35 capolini dall’involucro giallo paglierino, ciascuno conico-ovoide-fusiforme, poi oblungo-cilindrico. I capolini, del diametro di 2-4,5 mm, sono avvolti da brattee giallo-verdastre, poi giallo-brunastre, embricate, in più serie. I fiori, circa 15 per capolino, tutti tubulosi ed ermafroditi, colore giallo-oro, con corolla tubolare divisa all’apice in 5 lobi triangolari, emanano un intenso e caratteristico profumo. Il frutto è una cipsela ovale-oblunga, con piccole, sparse ghiandole bianche brillanti, e un pappo di peli semplici inserito nella parte superiore dell’achenio. L’areale naturale di questa pianta copre l’intera Europa meridionale, ed in Italia è abbastanza comune al centro, al sud e nelle isole, mentre al nord è saltuaria nella sola fascia prealpina. Si tratta di una specie eliofila, termofila, tipica delle garighe, dei cespuglieti e dei prati aridi prossime al mare, mentre all’interno si rinviene prevalentemente in luoghi rocciosi e su suoli poco evoluti, fino a 800 m (massimo 1400) sul livello del mare. Nella mia Calabria, ad esempio, è molto comune ed abbondante sui terrazzi più bassi delle fiumare ioniche, ma anche sulle dune marittime consolidate e sulle rupi. I principi attivi dell’elicriso, olii essenziali, fitosteroli, flavonoidi, acido caffeico etc., in base alla bibliografia disponibile pare conferiscono alla pianta proprietà tossifughe, espettoranti, antinfiammatorie, analgesiche e antireumatiche, antiartritiche, ipocolesterolizzanti, stimolanti epatocellulari, depurative e drenanti epatiche, cicatrizzanti, desclerosanti, antipsoriasiche, antieczematose, spasmolitiche, coleretiche, colagoghe, antibatteriche, antiallergiche, stimolanti gastriche. Da tali proprietà, fra l’altro già ben note fin dall’antichità (Plinio, Geber, Dioscoride, ed altri pare considerassero questo vegetale un’autentica panacea contro la maggior parte dei malanni), discendono molteplici usi per trattare le patologie più diverse ed anche in campo cosmetico. Se è prudente affermare che ulteriori studi dovranno accertare su rigorosa base scientifica se tale reputazione sia o meno usurpata, nonché valutarne eventuali profili di tossicità (è sempre buona norma evitarne la somministrazione a bambini e donne in gravidanza o allattamento), l’aroma delle foglioline di questa pianta multifunzionale, che vagamente ricorda quello del curry, è da taluni utilizzato in cucina come insaporitore naturale, e quindi possiamo ben immaginare che potrebbe effettivamente contribuire allo sviluppo di qualche prodotto brassicolo davvero innovativo, e forse perfino nutraceutico.

 

 

Allora Samuele, comprenderai che, a beneficio dei nostri lettori, devo recuperare più informazioni possibili. Quando decidi di aggiungere un ingrediente nuovo e particolare, che percorso logico decidi di seguire?
Molto dipende dall’ingrediente che si sta provando ad inserire nel brassaggio. In questo caso specifico, visto che si tratta essenzialmente di impiegare solo i fiori, si procede con un percorso di infusione a freddo, prima in acqua per arrivare a determinare la quantità più opportuna di erba da utilizzare, e poi nella birra con la tecnica del dry-hopping.

Come scegli la birra base da realizzare per integrare un nuovo ingrediente praticamente inedito nel brassaggio?
Dipende dalla prevalenza dei sapori, odori o dal carattere in generale della pianta. Si può anche procedere con l’introduzione in ammostamento, in alcuni casi, a patto che le caratteristiche aromatico-sensoriali non sono troppo volatili.

Ed in questa nuova birra all’elicriso che birra base hai brassato?
Ho ritenuto di brassare una Scotch Ale.

Dove ti sei approvvigionato delle infiorescenze di elicriso per questa nuova birra?
L’ho avuta dai monaci benedettini silvestrini di Monte Fano, che coltivano questa pianta da secoli.

Quali parti della pianta hai utilizzato?
Ho utilizzato i fiori opportunamente essiccati.

In quale o quali fasi del processo di brassaggio hai inserito l’elicriso ed in quali condizioni (temperatura, tempo, pH, etc.)?
Come accennavo poc’anzi ho praticato una sorta di dry-hopping con la fermentazione ancora in corso. Quindi a 11°C per le prime 48 ore, poi 7 giorni a 4°C.

Che quantità in peso di elicriso hai utilizzato per 100 litri di birra prodotta?
Circa 180 g.

Hai fatto fare per caso qualche analisi al gas cromatografo per conoscere il profilo aromatico della birra con l’elicriso rispetto alla birra base?
Lo prendo come un suggerimento. Non avendo, ovviamente, l’attrezzatura, dovrò vedere se qualche laboratorio pubblico o privato è disponibile a fare questo tipo di indagine… e magari anche ad un costo accessibile, visto il momento.

Come descriveresti i principali parametri, anche sensoriali, della tua birra all’elicriso?
Stile: Scotch Ale
ABV: circa 7%
Esame visivo (schiuma, colore, limpidezza, etc.): schiuma poco persistente, leggermente velata.
Esame olfattivo (intensità, persistenza, finezza, descrittori olfattivi, etc.): aroma di elicriso ben distinguibile.
Esame gustativo (intensità, persistenza, gusto, sensazioni boccali, frizzantezza, corpo): maltata, dolciastra con un buon bilanciamento in bocca.
Esame finale (equilibrio, amaro): interessante finale con sentori balsamici gradevoli.

Come ben sai in alcuni paesi del Nord Europa, prima dell’avvento del luppolo, la produzione brassicola era fondata, oltre che sui cereali, su un mix di erbe noto come gruit. Hai mai pensato di brassare una birra con il contributo di un gruit tutto made in Italy, espressione della flora spontanea del tuo territorio?
In futuro sicuramente vorrò sperimentare qualcosa del genere, oppure brassare qualche ale con aggiunte di aghi di pino o ginepro, visto che in zona ne crescono diverse varietà spontanee. Ma nel futuro del birrificio Millecento vedo anche ulteriori percorsi, come la fermentazione in botte, ad esempio, ed anche un necessario ampliamento dell’impianto, con qualche altro fermentatore, ed una cantina più grande che consenta una produzione media che si attesti attorno ai 600 ettolitri l’anno. Però quello che rimane più essenziale, dal mio punto di vista, è la ricerca di nuove esperienze, nuovi profumi o nuove ricette sempre guidate dalla passione. Il brassaggio, nella mia visione, è soprattutto sperimentazione, ma anche il sorriso del cliente che ti cerca per una buona birra. Vista l’attenzione al territorio, l’acqua di sorgente, e la stessa posizione montana del birrificio ed anche la prossimità ad una antica abbazia, ho sempre cercato una connessione della produzione del birrificio Millecento con eventi improntati al rispetto ambientale, o manifestazioni sportive legate alla montagna (corsa, speleologia, etc.). In questo periodo funestato dalla pandemia, oltre al fatturato, manca soprattutto il calore dei clienti, le manifestazioni gioiose e le feste. Ciò nonostante, la cosa che mi rincuora, e non poco, è che molti clienti mi hanno cercato per fare diversi ordini online o per l’asporto. Questa fedeltà, oltre ad aver garantito la sopravvivenza del birrificio, mi ha molto gratificato a livello personale, perché mi ha dato la consapevolezza di aver ben operato, con correttezza e con la necessaria passione. Naturalmente, in questo campo non si finisce mai di imparare e di sperimentare, ma intanto spero che il ritorno alla normalità, ci consenta di brindare tutti insieme con una buona birra artigianale.

Questo Paese straordinario, la nostra amata Italia, non finisce di stupire con le sue incredibili contraddizioni e con le sue sorprendenti eccellenze. L’eccellenza di questa sinuosa lingua di terra incuneata nel Mediterraneo, a mio parere, è rappresentata soprattutto dalle persone che in questa terra vivono e lavorano. Non si finisce mai di scoprire quanta bella umanità esista attorno a noi, assieme a tutta la bellezza e la bontà (di sicuro quella gastronomica) che il mondo ci invidia e che questo Paese riesce ancora incredibilmente ad esprimere, a dispetto dell’insopportabile pressione fiscale e burocratica, e nonostante la sciatteria di una classe dirigente assolutamente non all’altezza delle sfide che attendono il nostro sistema-paese. Dopo aver assaggiato le birre di Samuele, in particolare la sua ultima visionaria creazione a base di elicriso, e dopo fatto due amabili chiacchiere con questo sorridente ragazzone marchigiano, mi sono fatto l’idea che, per cuore e passione, oltre che per indubbie competenze tecniche, il birrificio Millecento sia assolutamente parte di questa bellezza e di questa generosa bontà italica. Lunga vita, quindi, a Samuele Carnevali ed alle sue avventurose creazioni brassicole.

Maggiori informazioni:Birra Millecento – birra artigianale fatta da 100% acqua di San Cassiano

 

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Giuseppe Caruso
Info autore

Giuseppe Caruso

Docente di Botanica Forestale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché insegnante di Scienze Naturali e Biotecnologie Agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, botanico (consulente scientifico per enti pubblici, privati, professionisti), disegnatore botanico, beerlover, beer sommelier.
Diploma di Perito Agrario presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Dottorato di Ricerca in Botanica Ambientale ed Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona.
Membro di diverse associazioni scientifiche: Organization for Phyto-Taxonomic Investigation of the Mediterranean Area, Società Botanica Italiana, Società Italiana di Scienze della Vegetazione, Società Italiana di Biogeografia, Society for Economic Botany, International Biogeography Society.
Pubblicate numerose ricerche scientifiche sulla flora dell’Italia Meridionale nei campi della tassonomia vegetale, floristica, vegetazione, conservazione, museologia, didattica e divulgazione scientifica. Principali interessi scientifici: ricerca botanica (tassonomia vegetale, floristica, vegetazione), analisi fitogeografico-vegetazionale (metodo fitosociologico e geosinfitosociologico dinamico-catenale), ecologia vegetale, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, recupero aree degradate e gestione verde urbano, sentieristica naturalistica, analisi/planning dei processi formativi, outdoor environmental education.
Libri pubblicati: Guida al riconoscimento di alberi, arbusti, cespugli e liane del PN della Sila (PN Sila, 2011), Andar per piante tra terra e mare – Escursioni botaniche sulle coste della Calabria (Koeltz Scientific Books, 2015). Nell’ultimo libro, La Botanica della Birra (Slow Food Editore, 2019), frutto di un lunghissimo lavoro di documentazione, unisce due grandi passioni, la botanica e la birra, raccontando con rigore scientifico le proprietà brassicole di oltre 500 specie vegetali impiegate nel brassaggio. Lo stesso libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2022 come The Botany of Beer dalla Columbia University Press (New York, US).