Numero 50/2019

9 Dicembre 2019

Federica Felice, il lato femminile del birrificio Cittavecchia

Federica Felice, il lato femminile del birrificio Cittavecchia

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La nostra protagonista di oggi è Federica Felice, attualmente socia dello storico birrificio “Cittavecchia” e membro attivo dell’Associazione “Le Donne della birra”.

Federica ci racconta la sua vita personale e professionale: da sempre a fianco del suo compagno di vita per completarsi, vivere e crescere professionalmente insieme, illustrerà brevemente la storia e la situazione attuale del birrificio Cittavecchia.

Scoprirete una donna pratica che vede le cose in chiaro, convinta che non ci sono differenze tra uomini e donne nel lavorare nel mondo della birra ma due identità che si completano.

Vi invito a leggere il racconto di Federica, che ringraziamo molto per il tempo dedicatoci:

Federica, raccontaci la tua storia: qual è la tua professione e come sei arrivata ad occuparti di birra?

Non vorrei sembrare “filosofica”, ma posso ammettere senza dubbio che è la vita stessa che mi ha portato alla birra. Devi sapere che tutta la mia vita da donna adulta, sia personale che professionale, ha sempre ruotato attorno a mio marito, una persona decisamente carismatica e pragmatica, da cui ho imparato e a cui devo molto. Ho lasciato gli studi a due esami dalla laurea in Economia con una bambina in grembo e così da quel giorno mi sono occupata di vino e comunicazione nell’attività che allora era di mio marito per circa 15 anni. A sua volta lui aveva “ereditato” dal padre l’azienda vinicola e assieme abbiamo lavorato fino al 2013, anno in cui abbiamo cambiato strada decidendo di vendere l’attività. La birra, sempre stata nelle corde di mio marito, Giulio Ceschin, è arrivata assieme ad un progetto avviato con amici, ora anche soci, e Cittavecchia è frutto delle ricerche che avevamo iniziato per trovare un punto di partenza già esistente. Proprio quando alla fine delle ricerche stavamo pensando di creare da zero un brand nostro, abbiamo avuto i “rumors” di una attività in vendita e ci siamo buttati, letteralmente anima e corpo, nel progetto, mantenendo il birraio Michele Barro e tutta la storia di pioniere che si è portato dietro.

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Attualmente sei una dei soci del birrificio storico “Cittavecchia”: puoi raccontarci un po’ di più di questo progetto? Come sei arrivata a farne parte e quale è il tuo ruolo al suo interno?

Dal 2016 sono socia in questo birrificio nato ben 20 anni fa, quasi in contemporanea a quei pionieri della birra che ora sono dei veri “mostri sacri” (nomi come Teo Musso, Gianpaolo Sangiorgi, Agostino Arioli…. Birrai-fenomeno di cui ho conosciuto la storia e che ho conosciuto di persona).

Cittavecchia si è ritagliata una fetta di mercato che già agli inizi della sua storia l’ha resa popolare tra i beer lovers e che ora con il nuovo assetto societario cerchiamo di innovare grazie ad un attento lavoro di espansione sia tecnologica che produttiva in birrificio, grazie alla produzione in proprio di orzo che facciamo maltare in Austria e grazie al riposizionamento del brand avviato dal recente cambio di etichette. Qui sono una socia operativa e mi occupo di marketing e comunicazione contribuendo a portare avanti le strategie di crescita. È un lavoro specifico che richiede allenamento con il pubblico e competenza. E ereditando dal mio passato nel vino le centinaia di degustazioni a cui ho partecipato e il titolo di sommelier, posso ritenermi qualificata sia come ambasciatrice del brand quando presenzio gli eventi, sia nell’approccio più squisitamente commerciale al cliente, dove – si sa – è necessario essere informati non solo su ciò che si vende, ma anche sulle dinamiche di mercato.

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La mia fortuna è la curiosità che mi spinge a studiare sempre e a cercare informazioni sia per quanto riguarda la birra artigianale di cui faccio parte, sia per quanto riguarda in generale il mondo della birra, i trend di consumo, le mode che arrivano dall’estero, le peculiarità di alcune birre, la concorrenza etc.  

Sei anche membro attivo dell’Associazione “Le Donne della birra”. Perché secondo te è importante la creazione di tali associazioni? Come possono concretamente aiutare le donne che si occupano direttamente o indirettamente di birra?

Mi sono iscritta nel 2016, curiosa di conoscere le dinamiche che spingono le donne ad approcciarsi ad un mondo marcatamente maschile. Essere donna nel mondo della birra, non è privo di ostacoli. Non è solo questione di lavoro manuale oggettivamente faticoso, ma spesso c’è il pregiudizio e sei solo “la moglie/compagna di” oppure “tu lavori per”. Ma non tutti gli ambienti sono così chiusi come noi donne vogliamo far credere e i birrai, che hanno dalla loro il senso pratico e del numero, sono benissimo a loro agio con donne sveglie, intraprendenti, pragmatiche ed efficienti. Conta il sapere fare. Apportare un pezzo di noi nell’attività in cui lavoriamo è inevitabile, farlo in modo proficuo è questione di capacità.

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Noi donne spesso riteniamo di avere una marcia in più per il puro fatto di essere donne. Ebbene, io non amo essere definita meglio o peggio dei nostri compagni di viaggio su questa Terra. Preferisco pensare che le diversità di punti di vista che sono inevitabili fra uomo e donna, siano qualcosa che ci completa a vicenda. Senso pratico e senso estetico son entrambi essenziali. L’esistenza delle associazioni al femminile (pensate che io sono anche Donna del Vino e mi sono iscritta anche alla Pink Boots Society americana) non va intesa come esaltazione della donna che in quanto tale rischia di diventare etichetta e ghettizzazione. Queste associazioni, allo stato attuale rappresentano piuttosto un piacevole momento di aggregazione e crescita dove convergono idee e pensieri di persone accomunate dalla stessa cosa e dove spesso il confronto coinvolge uomini e donne di esperienza e capacità notevoli, da cui tutti possono apprendere.

 

 

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Solo se si comprende tutto questo, solo se non ci si erge a paladine di un’idea, ma a parte di un tutto, si può beneficiare dall’appartenenza a questi gruppi. La possibilità di fare rete, oltre che essere un modo divertente di fare amicizie, offre infinite opportunità professionali che basta saper cogliere opportunamente, a prescindere dal sesso.

Posso dire che ho vissuto la stessa esperienza anche col vino. Sono sempre rimasta fedele anche alle mie “ex colleghe” Donne del Vino e la differenza sta solo nel fatto che con la birra le cose si sono sviluppate in tempi più recenti, ma le esperienze sono molto simili.

Quali sono secondo te le difficoltà maggiori che una donna può incontrare in questo mestiere?

Come accennavo, a parte il discreto sforzo fisico per chi tra noi si occupa più specificamente della produzione (e non è il mio caso), la difficoltà vera, non è essere donna, ma avere l’approccio mentale corretto. Anche tra le donne. La cosa più difficile è far capire e comprendere che non c’è nessuna volontà di “prendere il posto di”. Una donna semplicemente è come tutti, parte di un flusso, inserita in un contesto sociale e professionale al pari di altri. Qualcuno contesterà “ma allora perché sono nate queste associazioni che mettono in evidenza la donna rispetto all’uomo”? Beh…lo scopo iniziale era anche la tutela, perché non mi pare che comunque le cose stiano filando sempre alla meglio. La parità e il rispetto sono concetti scomodi posti all’attenzione dei sempre più frequenti casi di ingiustizia. Ma non possono essere il motivo vero delle associazioni culturali e professionali, semmai un pretesto a supporto di un problema che ancora esiste. Le associazioni al femminile hanno semplice ragion d’esistere perché – e lo dico frivolamente – siamo donne, perché in fondo in fondo ci piace farci riconoscere. Consce però che di conseguenza non si resta nel mucchio, ma si esce da coro e da qui critiche o elogi hanno pari ragion d’essere. La differenza la fai se sei competente. Dal punto di vista professionale, le figure sono in fase di sviluppo e credo che le vere difficoltà nascano dal ruolo ricoperto più che dal fatto di essere donne: ci sono birraie attive nella produzione, commerciali e venditrici, donne attive nella comunicazione, giornaliste. La creatività birraria non è tanto dissimile da altri settori, richiede pragmaticità e competenza. Avere un approccio femminile nella birra colora tale creatività di delicatezza e dettagli, ma è uno dei modi, non migliore o peggiore.

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Quali sono i tuoi piani per il futuro e come vedi la situazione dei birrifici in Italia?

I birrifici italiani sono ancora in crescita, ma non significa che sarà un fiorire di rose. Anzi. A mio avviso la birra paga lo scotto di essere penalizzata dalla concorrenza sui numeri e i volumi. Ogni birraio sa che per sopravvivere ha due opzioni: o fa tutto e vende in loco nella sua tap room, brewpub e può limitarsi a produzioni in base al bacino d’utenza del suo locale, oppure se vuole fare business a molti zeri deve innovare, crescere, evolversi, aumentare i volumi per poter sostenere i costi fissi spesso alti. L’industria omologa, ma trascina il mercato e non si può essere ciechi e non guardare. Mi aspetto un calo fisiologico fra qualche anno, poiché i mercati sono grandi, ma la birra in sé non è un made in Italy come la moda o l’arte, il vino o il food, la birra si fa in tutto il mondo e anche con leggi molto meno restrittive di quella nostra in Italia. Fare la differenza è possibile, ma certamente si mettono in campo risorse non sempre disponibili.

Nel mio prossimo futuro unirò il titolo di sommelier a quello di beer sommelier Doemens e credo mi occuperò ancora di più di degustazione, eventi, fiere e supporto al cliente. Credo nel fare cultura e nel dare al consumatore sia l’assistenza adeguata che le informazioni corrette.

 

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Lina Zadorojneac
Info autore

Lina Zadorojneac

Nata in Moldavia, mi sono trasferita definitivamente in Italia per amore nel 2008. Nel 2010 e 2012 sono arrivati i miei due figli, le gioie della mia vita: in questi anni ho progressivamente scoperto questo paese, di cui mi sono perdutamente infatuata. Da subito il cibo italiano mi ha conquistato con le sue svariate sfaccettature, ho scoperto e continuo a scoprire ricette e sapori prima totalmente sconosciuti. Questo mi ha portato a cambiare anche il modo di pensare: il cibo non è solo una necessità, ma un piacere da condividere con la mia famiglia e gli amici. Laureata in giurisprudenza, diritto internazionale e amministrazione pubblica, un master in scienze politiche, oggi mi sono di nuovo messa in gioco e sono al secondo e ultimo anno del corso ITS Gastronomo a Torino, corso ricco di materie interessanti e con numerosi incontri con aziende produttrici del territorio e professionisti del settore. Il corso ha come obiettivo la formazione di una nuova figura sul mercato di oggi: il tecnico superiore per il controllo, la valorizzazione e il marketing delle produzioni agrarie e agro-alimentari. Così ho iniziato a scrivere per il Giornale della Birra, occasione stimolante per far crescere la mia professionalità.