Numero 37/2017

13 Settembre 2017

Passione Birra – Nicola Coppe: l’astronomo del microuniverso

Passione Birra – Nicola Coppe: l’astronomo del microuniverso

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In passato, durante il suo studio sulla fermentazione della birra, Pasteur era guidato da un impulso patriottico, sognava un successo di laboratorio per dare alla birra francese una reputazione superiore a quella tedesca. La birra non poteva invecchiare, non doveva inacidirsi, muffe e batteri la infettavano molto più facilmente del vino. L’azione del calore, l’operazione di “pastorizzazione”, era il miglior mezzo di preservazione. Attraversiamo le Alpi e facciamo un salto in Trentino dove lavora un giovane italiano detto “Il Coppe”. Non so se anche lui sia guidato da un’impulso patriottico, ma pensa che quei temutissimi funghi e batteri non vengano sempre e solo per nuocere, la birra si può invecchiare, se diventa volutamente acida non è un difetto e pastorizzarla è un reato. Il risultato che si cerca di ottenere è una birra “Sour”, E’ convinto che i birrai del Belgio siano bravissimi in questa tecnica produttiva, ma anche che “la perfezione può essere sempre migliorata”.

Nicola vorrei iniziare col chiederti…

Aspetta Piero, prima una precisazione… Rispetto e lodo in modo quasi divino i grandi birrai belgi che attualmente rappresentano un punto di riferimento ancor oggi inarrivabile non solo per la qualità delle loro sour, ma anche per la capacità di standardizzare tale prodotto, specie se ottenuto da fermentazione spontanea. Semplicemente cerco di prendere il meglio da questi grandi esempi e di metterci del mio affinché non diventi soltanto una brutta copia, ma una più che degna reinterpretazione. Non c’è postulato di Lorenzo che io ami di più di “ la birra è il proseguimento della personalità del birraio”.

 

 

 

Nicola Coppe bambino… Di solito da piccoli si gioca ai cowboy e indiani, si sogna di diventare calciatori, piloti o astronauti. Tu invece hai dichiarato che sin da piccolo ti divertivi col “piccolo chimico”, ti immaginavi un pò mago ed alchimista. Da grande con la microbiologia hai concretizzato le tue fantasie. Qual’è stato il tuo percorso di studi e in che modo questo si è intrecciato con la passione per la birra?

No comment!, Sono un perito termotecnico. Lo trovo alquanto ironico ma il mio percorso di studi è poco consono all’ ambiente strettamente birraio, ciò che ha fatto davvero la differenza è stata la curiosità e il cogliere sempre il massimo da ogni occasione adattandola al mio hobby preferito, la birra. Questo percorso formativo inusuale si riflette su tutte le mie birre, specialmente nelle acide. Dopo asilo e medie, la prima scelta consapevole ricade nell’ITIS, mai scelta più azzeccata. La mia passione nello “smanettare” con qualsiasi cosa si traduce non solo in realtà, ma anche in studio. Ed è proprio da questo mix di meccanica, elettrotecnica e termotecnica assieme ad un insana alchimia “che mi sale l’homebrewing”, un fai da te portato all’estremo con lo scopo non ultimo di produrre birra.

Dopo un oscuro anno alla facoltà di INGEGNERIA , la scelta di fare della birra il mio futuro diventa chiara ed inevitabilmente modifica il mio percorso formativo, portandomi alla decisione di iscrivermi a scienze e tecnologie alimentari, la facoltà ai tempi più vicina alla birra, ma che allo stesso tempo permetteva una visione scientifica più ampia di tutto il paniere alimentare.

Proprio in questa facoltà ho incontrato la mia passione per la microbiologia e per questo microcosmo, passione che mi ha portato anche a lavorare nel settore, dapprima nel laboratorio Bioagro per il progetto “ lattici nella birra” e in un secondo momento presso Bioenologia 2.0 nella produzione e controllo qualità dei lieviti ATECNOS.

Da lì ad oggi tanta, tanta, tanta, ricerca personale, una curiosità al limite dell’ossessione che ti spinge a conoscere sempre di più.

 

Com’era all’inizio il Nicola Coppe homebrewer?

Come tutti gli homebrewer che incontro oggi e come lo sono tutt’ora, anche se ahimè il tempo per produrre in casa è sempre meno. Probabilmente la cosa più peculiare del mio essere homebrewer è che ho cominciato così presto che ho iniziato prima a farla che a berla. Infatti sin dagli inizi non ho mai realizzato una birra tanto per farla o per dissetarmi, ma l’approccio scientifico era ed è sempre in prima linea. L’homebrewing sperimentale, con lo scopo di veder quel che succede e soprattutto di trovare un modo per crescere sempre, senza dimenticare però che assieme a questo freddo rigore scientifico và inevitabilmente aggiunto tanto cuore ed un pizzico di follia. Forse questi sono i miei più grandi segreti nel realizzare una birra.

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Oggi a molti homebrewer quando sentono pronunciare il tuo nome gli si illuminano gli occhi. Non esagero dicendo che sei diventato un personaggio ormai noto nel tuo campo. Che effetto ti ha fatto, le prime volte, essere riconosciuto ed invitato a parlare in pubblico del tuo lavoro?

Non esageriamo non sono per nulla il VIP della birra che tu vuoi esibire. Probabilmente sono uno dei pochi che si è concentrato sullo studio molto molto specifico di un piccolissimo aspetto riguardante il mondo della birra, quello della microbiologia birraia ed è stato un ping-pong tra lieviti e batteri, lattici soprattutto. Parlare in pubblico è sempre per me un grandissimo onore, ed anche nella platea più misera cerco di metterci sempre il massimo impegno. Devo dire che non è mai stato così difficile inizialmente forse perché è stato un passaggio graduale; dalle prime serate tra gli amici della brasseria Veneta fino ai grandi eventi come il Beer Attraction, poi probabilmente è dovuto anche al mio passato da bassista rocker che mi aveva già temprato nei rapporti con le platee…
Mi è capitato invece, parlando di te, sentire persone affermare di essere stati il tuo mentore. Una volta per tutte, chi ti ha consigliato, aiutato e insegnato? A chi sei più legato?

Antonio di Gilio della Brasseria mi ha visto nascere. Riconfermo che il mio più grande maestro è sicuramente Fabiano Toffoli, a cui sono devotamente legato, ma non dimentichiamoci anche dell’ingegner Bano (Alessadro Zilli) anch’esso membro del Team 32. Loro mi hanno insegnato più che il far birra a “stare al mondo” (inteso come mondo birraio), ma soprattutto mi hanno dato le basi di un sistema di lavoro ottimo e sono convinto sia la cosa fondamentale. Infine Paolo Erne e Kuaska che più che maestri sono stati straordinari compagni di viaggio.

 

Ci sono persone nell’ambito birrario alle quali ti sei ispirato e che ammiri?

Le persone ed i birrai che ammiro sono moltissimi… Da quelli più grandi a cui dobbiamo riconoscere, oltre che grandi birre, una capacità imprenditoriale spaventosa come appunto Fabiano con tutto il Team 32 e anche Teo Musso. Però oggi voglio soffermarmi sui piccoli birrai, gli ONEmanBeer, quelli che non hanno tutta questa fama, ma che si sono fatti il culo per arrivare dove sono oggi, magari partendo con le tasche vuote. Uno di loro è Fabio Polesel, birraio di Habemus ed ora anche di Labi, l’esempio di un compagno di cotte che ha saputo “vederci dentro” ed investire il giusto. Come non citare poi Fabrizio Pellegrini di birra Leder, anche lui grandissimo esempio di umiltà con delle birre che pochi conoscono ma che sono sconvolgenti.

Infine una parentesi per coloro che non sono birrai ma di cui ho una grande stima poichè vivono parlando di birra “o quasi”, che ritengo una cosa paradossale, anche se INDISPENSABILE ai giorni nostri, per cui tanto di cappello… Ne cito tre: Lorenzo Dabove, Simone Cantoni e Alfonso del Forno .

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Io sono un appassionato di cinema, dove di solito lo “scienziato” è un personaggio che ridà vita a creature erranti, vuole dominare il mondo oppure è alla ricerca nell’universo di nuovi pianeti e civiltà. Che ruolo ti piacerebbe interpretare in un film?

Senz’ombra di dubbio Doc in “Rtorno al futuro”, anche se da piccolo ero appassionato di qualsiasi film di scienza del tipo “Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi” o “ Flubber”.

 

Oltre all’amore per i batteri hai anche altre passioni?

Escludendo tutto ciò che contiene un sacco di batteri? Purtroppo posso dire che gli interessi “erano” tanti. La birra ha assorbito quasi tutto il mio tempo, ma è un hobby e ormai un lavoro decisamente eterogeneo, non ci si stanca mai … Mi piace una piccola pratica Zen di fare l’orto, non quello classico, ma adottando il sistema dell’agricoltura naturale dei maestri Steiner e Fukuoka, però purtroppo ripeto ho poco tempo. Ti confesso… ho un’altra passione, le capre. Tre bellissime capre nane tibetane. Me le regalarono anni fa i miei compagni di università di Padova. Da buon montanaro avevo la nostalgia delle montagne e mi sentivo come Heidi a Francoforte. Tutte le mattine mi alzavo prima di tutti perchè alle 7:30 trasmettevano il cartone animato. Io “sparavo” la sigla a manetta e di conseguenza i miei coinquilini mi mandavano a quel paese. Io rispondevo che non potevano capire quanto Heidi stava bene lassù in montagna, con le sue caprette… Che bello avere una capretta… Beh, il giorno del mio compleanno mi hanno scaricato un becco nano in giardino e se ne sono andati! Ho anche provato a isolare dei lieviti dalle capre, ma senza successo.

 

Esperienza Brewhouserock, una fase della tua vita archiviata o un percorso che è ancora vivo?

Tutto quel che è sperimentazione homebrewing nella mia piccola stanzetta di casa ha preso quel nome. Brewhouserock è il nome che ho dato alla mia passione, come può morire o essere archiviato??! Il tempo disponibile però è sempre meno anche perché sono molto “incasinato” con altre idee e progetti. Appena riesco a trovare un attimo di calma e stabilità la prima cosa che faccio è quella di regalarmi due giorni col mio impiantino per nuove sperimentazioni casalinghe.

 

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Il “Bio e il “Noc”, non semplici datori di lavoro, ma persone che credono in te e amici. Ti va di raccontare il vostro incontro e il rapporto che avete instaurato?

Se devo dirla sinceramente il nostro primo incontro non lo ricordo di preciso, ho ancora i postumi! Tuttavia non è stata la vicinanza a farci conoscere. Anche se geograficamente abbastanza vicini Trentino e Veneto sono due regioni completamente diverse e le birre Bionoc, agli inizi, faticavano ad uscire dalla regione. Quello che ha fatto scoccare la scintilla penso sia stato uno scambio di bottiglie. Come ben dicevi, prima che datori di lavoro sono ottimi amici. Nell’amicizia e nella fiducia reciproca è stato fondato il progetto “Asso di Coppe”, che loro hanno voluto dedicarmi dandogli una netta riconduzione al mio nome e di ciò sono molto orgoglioso e riconoscente. In birrificio ci si diverte e si beve tanto, anche se il mio tempo lo passo molto di più rinchiuso in bottaia, tra le botti ed i miei animaletti, d’altronde bisogna anche lavorare…

 

In questo viaggio “Asso di Coppe” siete su una barca e remate insieme, ma in che direzione?

Sinceramente ancora non so dove siamo diretti, ma la rotta è stata tracciata e sembra ottima. La mia filosofia resterà sempre quella della ricerca della qualità e in questo, con i mezzi a disposizione, faremo il possibile per aumentarla sempre di più.

 

Primi esperimenti Sour e subito successi dietro ai quali c’è tanta conoscenza, passione e lavoro. Per “addomesticare i batteri selvaggi” ci vuole anche un po’ di fortuna?

No, la fortuna proprio non serve. Con il progetto ” lattici nella birra “, assieme al team di Bioagro, abbiamo impegnato più di due anni di ricerche, partendo da 172 ceppi e siamo arrivati solo a 13 adatti ed addomesticati per la birra, direi che non è fortuna ma selezione e scienza.

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Come nasce e si evolve una “birra acida”?

Una birra acida nasce acida. Per ottenere una buona birra sour nella stragrande maggioranza dei casi bisogna progettarla tale. Difficilissimo che da un errore di produzione o da un mosto casuale possa uscire qualcosa di buono, sicuramente acido…Anche se in Italia è proprio così che è nato questo stile di birra. Quello che possiamo fare è progettare un giusto mosto che poi possa maturare a lungo ed evolvere anche grazie all’azione di più m.o. nella birra desiderata.  Infatti a differenza della totalità delle birre “pulite”, in cui il birraio ha già una precisa idea del risultato finale e può far si che tutto matematicamente accada per ottenerlo, per le acide è tutto il contrario. Posso avere un’idea di quel che voglio ottenere ma non posso assolutamente controllare quello che sta succedendo, devo adattarmi ai continui cambiamenti. Nello specifico parlo di fermentazione che in questo caso è troppo complessa. Mai nessun microbiologo riuscirà a spiegare o a isolare tutti i m.o. e le loro interazioni, l’evoluzione nel tempo, il ruolo dell’ossigeno in una vera birra acida. Perciò la soluzione che adotto è selezionare materie prime di qualità, trattarle secondo tradizione perché è proprio questa che ci restituisce le spiegazioni scientifiche di cui abbiamo bisogno ..  è il microbiologo che deve imparare dal birraio e non viceversa! Un esempio velocissimo: perché nel lambic si utilizza il surannè o luppolo vecchio di almeno 3 anni? Perché grazie a questo invecchiamento perde quasi del tutto il suo potenziale amaricante, ma mantiene invece la capacità battericida nei confronti dei gram+, quindi il risultato sarà ottimo: una birra in cui i lattici sono inizialmente inibiti (nel primo anno) e con poco amaro .

La mia filosofia è quindi quella di partire da un’ottima materia prima, trattarla nel miglior modo, in genere quello classico (se lo fanno così da secoli ci sarà un perché) per ottenere un MOSTO , che rappresenta il pasto per i miei adorati animaletti. Così più che un microbiologo mi sento un microallevatore. Non stò facendo nulla di diverso da un contadino che fa sopresse. Do da mangiare ai miei animali affinchè essi mi restituiscano un ottimo prodotto fermentato. Lo so è una visione bizzarra tuttavia penso calzi bene… Tutto il resto lo fa il tempo.

 

Mi viene spontaneo pensare che bevendo una Sour il giusto abbinamento gastronomico sia il formaggio. Un degno matrimonio di due mondi batterici? Cosa consiglieresti?

Boom ! Al mio segnale scatenate l’inferno … Non potevi farmi una domanda da me più apprezzata, ma allo stesso tempo così complicata. Mi servirebbero giorni solo per risponderti e dunque non lo faccio, anche perché cito come “non esiste la birra” “non esiste il formaggio”, mi limito a darvi un nome IRENE PIAZZA. E’ il mio alter ego formaggiaro. Casara, affinatrice, produce strepitosi formaggi con latte di sole vacche brune in malga Cavallara, soltanto durante la stagione estiva. Quando si pensa alla malga si pensa al formaggio fresco, al Botiro, allo stagionato della malga e magari alla ricotta, ebbene Irene ne fa più di 40 tipi, tutti eccezionali. Con le acide abbiamo abbinato sempre benissimo formaggi di uguale intensità quindi belli tenaci come croste fiorite, erborinati e formaggi con stagionature particolari come la gessatura; anche la robiola se fatta bene regala grandi sorprese.

 

C’è qualcuno che mi sta pressando per farti una domanda e fai attenzione a come rispondi… Dietro a un uomo c’è sempre una grande donna. La mia per fortuna mi “sopporta”, è lo stesso anche per te? (puoi appellarti al quinto emendamento se vuoi)

Mi sopporta anche troppo. Ogni volta che andiamo in giro assieme lei sa già benissimo che ci sarà una deviazione in un birrificio o in un qualcosa attinente alla birra. Ormai i viaggi e le vacanze non son più tali, ma mete birraie mascherate, che assolutamente voglio condividere con Lei.  Ogni giorno mi regala stabilità grazie al suo grande equilibrio, ha la capacità di starmi sempre vicino senza lasciarsi travolgere e coinvolgere in qualsiasi cosa.

 

Grazie Nicola “Doc” (Brown) della chiacchierata! Ci hai aperto gli occhi su un nuovo universo dove è necessario pensare quadrimensionalmente. Per concludere voglio citare la tua frase preferita: “Uno scienziato nel suo laboratorio non è soltanto un tecnico, è anche un fanciullo posto di fronte a fenomeni naturali che lo impressionano come un mondo di fate” (Marie Curie).

Grande Giove, dimenticavo!!! Un particolare ringraziamento a Iacopo ed al suo entusiasmo che ha ispirato questa intervista.

 

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BrewHouseRock – https://brewhouserock.jimdo.com/

Bioenologia 2.0 – https://www.bioenologia.com/

BioAgro – http://www.bioagro.it/ita/

Rudolf Steiner – https://it.wikipedia.org/wiki/Rudolf_Steiner Masanobu Fukuoka – https://it.wikipedia.org/wiki/Masanobu_Fukuoka Fabiano Toffoli – https://www.32viadeibirrai.it/ Fabio Polesel , La Brasseria Veneta – http://www.brasseriaveneta.org/2016/08/30/birrai-expo-2016-fabio-habemus-birra/ Birrificio Leder – http://www.birrificioleder.it/

“Doc” Emmet Brown – https://it.wikipedia.org/wiki/Emmett_Brown

Creazioni grafiche di Piero Garoia.

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.