Numero 10/2019

8 Marzo 2019

Roberto Perruccio, un Brigante del Monte Cinto

Roberto Perruccio, un Brigante del Monte Cinto

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Partiamo con una piccola premessa…
Se mi chiedete quanto fa 2 più 2 sono quasi certo che faccia 4, ma era 4 anche la mia media in economia aziendale quando frequentavo ragioneria, scuola che poi ho abbandonato, ma questa è un’altra storia…
Non so se vi ricordate, ma un anno fa raccontai la scelta di vita rivoluzionaria di Cristopher Spitzley e gli chiesi di spiegare, lui che ne è stato un manager, le politiche di mercato della GDO dove i numeri invece sono la sola cosa importante.
Oggi invece voglio scoprire come opera commercialmente un neo microbirrificio, chi ci lavora, la fatica che serve nel fare i conti e far sopravvivere l’idea che la qualità di un prodotto deve essere la protagonista del mercato.
Quanta forza necessita difendere questa idea, offrirla, garantirla e integrarla alle regole della “matematica del mercato”?
C’è ancora qualcuno che senta il bisogno nel proprio lavoro di instaurare un rapporto di reciproca fiducia e rispetto, il nobile agire sempre più raro nel mondo del 3×2?
Cerchiamolo insieme, scopriamo di chi e cosa stiamo parlando con Roberto Perruccio del birrificio Busa dei Briganti.

Roberto, ci fai un tuo breve identikit per iniziare?
Ho scoperto il mondo della craft beer durante un viaggio in Scozia nel 2000. Prima, come tutti, bevevo birre commerciali senza nemmeno chiedermi che cosa ci fosse dentro. Scoperte le prime Pale Ale un po’ più luppolate, mi si è aperto un mondo. Ai tempi vivevo a Firenze, dove già era attivo il pub del birrificio MostoDolce, dove ho affinato i miei gusti da bevitore. Poi sono diventato homebewer ma l’incontro che ha cambiato tutto è stato con Luigi Recchiuti del birrificio Opperbacco. Con Luigi ho capito cosa è la birra da un punto di vista produttivo, creativo, e ho capito che poteva diventare il mio lavoro. Per prima cosa ho collaborato proprio con Opperbacco alla realizzazione dei contenuti video del loro sito e alla realizzazione dei visual per il loro merchandising (insieme a Laura Bartelloni). Poi ho aperto un craft beer bar a Viareggio, il Punto Birra, tre anni e mezzo meravigliosi durante i quali ho anche creato birre con il Birrificio degli Archi e Lupus in Luna. Dall’aprile 2017 al settembre 2018 ho lavorato per il birrificio PLB come commerciale. Da ottobre 2018, invece, lavoro per il neonato (ma agguerrito) birrificio Busa dei Briganti di Padova.

 

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Ti svegli al mattino, doccia, colazione e poi?
Internet. Social. Facebook su tutti. Tutto gira intorno ai contatti, a volte basta una battuta o un commento fatto al momento giusto e ti parte un ordine. Non sono il tipo di commerciale che tartassa i clienti con le disponibilità, preferisco che il tutto si evolva in modo fluido, parlando di birra, condividendo il progetto. E se non ho voglia di stare in casa, prendo un treno e vado direttamente nei locali, per capire cosa va, cosa non va, cosa potrebbe andare e dove magari sbagliamo noi. Studiare le taplist dei pub sui social mi aiuta a capire quale stile sta prendendo il sopravvento, o quale distributore è più forte nel centro Italia, o su al Nord. Mi confronto con i colleghi del birrificio, quotidianamente, soprattutto riguardo a nuovi stili di birra da affrontare, ai feedback dei clienti, eventi e collaborazioni.

Paragoniamo un birrificio a una Band musicale e proviamo ad assegnare dei ruoli ai vari soggetti che ci lavorano. Il leader del gruppo è il Mastro Birraio e gli altri…
Mi piace la metafora musicale, la uso spesso anche io. Non per essere cinico, ma sono pochi i birrifici dove il leader è il birraio. Sono i birrifici nati 10/15 anni fa che hanno birrai leader che guidano il birrificio seguendo le loro idee. Per i birrifici più giovani, il leader è il mercato. Ti proponi sul mercato, ma poi il mercato, cotta dopo cotta, ti plasma secondo le sue necessità. Questo mercato sta vivendo un momento particolare, dove i publican diventano distributori e, per forza di cose, dettano le tendenze stagione dopo stagione. Non la vivo come una cosa negativa ma, per quanto mi riguarda, mi sento parte di una band, ma devo sempre fare i conti con la casa discografica.

Da commerciale sei colui che rappresenta il birrificio davanti ai clienti, sei garante della professionalità dell’azienda, la qualità dei prodotti e devi conquistare la loro fiducia.
Una missione quanto difficile?
Un birrificio ha bisogno di una storia da raccontare. Più la storia è coinvolgente, più fiducia conquisti. In questo mi sento fortunato, perché mi immedesimo molto nei progetti in cui mi immergo. Io non sono mai stato né socio, né fondatore dei birrifici in cui ho lavorato, ma sfido chiunque a dire che non mi sono comportato come tale. Altra cosa che mi aiuta, è il provenire da dietro il bancone. Essere un ex publican mi permette di parlare la loro stessa lingua. Conosco le oscillazioni del lavoro, i problemi con i corrieri, tutte le menate collegate alla gestione di una piccola impresa, difficile impresa, perché comunque la craft beer, in Italia, è ancora una fetta di mercato minuscola. E poi credo che i tempi in cui veniva proposta birra di medio/bassa qualità siano finiti. Mi spiego meglio. Nel 2012, quando ho aperto il locale, settimanalmente mi arrivavano campioni assaggio di nuovi birrifici. Settimanalmente bevevo birre davvero scadenti. Ora non è più così. La qualità è medio/alta per tutti. I birrai di ultima generazione hanno preparazione e esperienze mediamente equivalenti, gli impianti sono tutti moderni e adeguati. A parità di qualità, è il progetto, la storia e come la comunichi che fa la differenza. E, aspetto molto importante in questa ultima fase di espansione del mercato, avere un locale di proprietà.

 

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Raramente cito i birrifici, ma farò un’eccezione…
Cosa differenzia, nel tuo caso, un prodotto della Busa dei Briganti da un’altro?
Riprendo la risposta alla domanda precedente. Il progetto. La Busa, in due anni, ha investito in un locale a Padova, un impianto di produzione, ha assunto Eva Pagani come mastro birraio, me come commerciale. Dietro ci sono persone che hanno qualcosa da dire, che vogliono essere protagonisti di questo movimento che, forse oggi in maniera diversa, meno violenta, è comunque un movimento rivoluzionario. Chi decide di lavorare nel mercato della craft beer, deve necessariamente avere una propensione al cambiamento e al provocare cambiamento. Divulghiamo una diversa cultura del bere, del concepire e del servire la birra.

Un piccolo birrificio che tipo di politica commerciale deve attuare?
Seguire le mode, indagini di mercato territoriale… come si decide cosa proporre?
Seguire le mode serve. Forse non è bello da dire, ma è la verità. Le birre luppolate sono sempre le padrone del mercato. Ultimamente hanno preso una bella fetta di mercato le birre alla frutta, gose e berliner weiss. Le basse fermentazioni hanno un loro mercato, sempre abbastanza solido. Il “territorio” Italia è abbastanza omogeneo nella domanda, e l’offerta, automaticamente, si adegua.

Coltivare i contatti, essere presente agli eventi di settore quant’è importante?
E’ fondamentale. Almeno agli inizi. Ti devi mettere in gioco. Il confronto con la concorrenza è fondamentale, non solo sulla qualità del prodotto, ma anche sul merchandising, sulla comunicazione, sulla grafica, sullo stand. Anche le serate nei locali sono importanti. Condividere il bancone, il tempo con un publican che crede in te, che sceglie le tue birre invece di quelle di un altro, magari altrettanto buone, è un segno di empatia, di crescita condivisa.

Una domanda stile “Forbes”: Sono gli “uomini che credono” a fare grandi le imprese. Tu in cosa credi?
Ho gestito un locale di sola craft beer a Viareggio dall’agosto del 2012 al dicembre del 2015. I miei ex clienti ora sono amici, quasi famiglia. Uno di loro ha aperto un birrificio (Birrificio Sul Mare, fortuna e gloria per Riccardo), un altro ha trasformato l’osteria di famiglia in una osteria birraia (forza Attila!), Patrizio, collaboratore unico e instancabile, ancora lavora nel settore, altri due ex clienti recentemente mi hanno cercato per una consulenza sull’apertura di un locale craft, molti altri si sono completamente “convertiti” alla birra artigianale e, quanto sono a Viareggio, chi mi riconosce mi saluta con affetto e mi dice che il mio locale gli manca moltissimo. Credo in questo. Credo nella condivisione, nella motivazione, nella divulgazione, nel distinguersi, nel fare cultura e, soprattutto, credo che sia fondamentale amare quello che fai e trasmettere quell’amore a chi hai davanti.

 

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Il mondo del lavoro attualmente non permette tante libertà di manovra.
Decidere per chi lavorare non è così semplice.
Spesso per esigenza si devono accettare compromessi mentre altre volte si ha la fortuna di incontrare i partner ideali.
A te com’è andata fino ad ora?
Non voglio parlare del passato. Parlo del presente e ti posso dire che sono stato estremamente fortunato. Nella Busa dei Briganti ho trovato dei partner davvero ideali. Coraggiosi, folli e aperti alle sperimentazioni. Ma hai ragione, ci vuole fortuna. Tanta fortuna. Ma è anche vero che la fortuna aiuta gli audaci…e i briganti.

“Bere bene” è tanto importante quanto lo è “mangiare bene”.
Abbinare questi due concetti in cucina è una strada che esalta le potenzialità dei prodotti. Una via più complicata se uno dei due protagonisti è la birra. Che ne pensi?
Spesso mi capita di andare a cena in locali, soprattutto pizzerie e hamburgherie di medio/alto livello, dove almeno una pagina del menù è dedicata a quanto tempo e ricerca investono nella scelta delle materie prime per la realizzazione dei loro prodotti, poi però hanno la Heineken Extra Cold (quella col braccio spina ghiacciato, per intenderci) come unica birra alla spina. Ci sono locali con la dicitura “BIRRERIA” nell’insegna che alla spina hanno prodotti commerciali, e non ci si può fare niente. Ognuno fa il suo mestiere e dobbiamo accettare il fatto che chi, come me, lavora nel settore della craft beer, si è immerso in un settore estremamente di nicchia, molto tecnico, specifico, culturalmente percepito come “esotico”. Noi, per il grande pubblico, facciamo e vendiamo le “birre strane”. Personalmente, non credo nel matrimonio tra birra e ristorazione, perché la variabile fondamentale la fa la persona. Puoi essere il miglior ristoratore dell’Universo, ma se non te ne frega niente della birra, non sarò certo io a farti cambiare idea. Non perché non voglia, ma perché non ho le capacità di cambiare la mentalità delle persone. Posso proporre un’alternativa, ma non imporla.

La Birra Artigianale in Italia è un fenomeno relativamente recente a differenza di molti paesi stranieri… Quei mercati hanno muri invalicabili per la birra italiana?
Non esistono muri invalicabili.  

 

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Un grande prodotto del territorio richiede anche l’uso, in certi casi, di materie prime autoctone o criteri di produzione particolari come la biodinamica, il biologico. Queste scelte alzano i costi, il valore, ma anche i prezzi. Politiche che possono essere sposate solo da birrifici affermati?
I birrifici agricoli, come la Busa stessa, sono una bellissima realtà. Credo meno nel bio, ma sono un acceso sostenitore nella coltivazione del proprio cereale, sono un grande fan di chiunque coltivi luppolo in Italia e credo che il futuro sia nei lieviti. Secondo me presto i birrifici avranno i loro piccoli laboratori dove coltiveranno i loro ceppi di lievito.

A volte si parla di costi della Birra Artigianale alti, di saturazione del mercato e di come i grandi distributori stiano strozzando i piccoli birrifici. Cosa pensi della situazione attuale?
Purtroppo esiste un silenzioso ricatto, in questo come in altri settori. A parità di prodotto, va avanti chi riesce a fare il prezzo più basso. Ma non so per quanto potrà andare avanti questa metodologia di lavoro. Non bisogna svendere il proprio prodotto. Bisogna imparare a dire qualche “no”.

Una volta ho sentito pronunciare questa frase: “Il birraio pensi al prodotto che a distribuirlo al meglio ci penso io. A ognuno il suo mestiere!”
Saggezza, concretezza o sfrontatezza?
Concretezza. Siamo nella stessa squadra, ma ognuno deve avere il suo ruolo.

Quali sono le regole fondamentali per la conservazione e distribuzione dei prodotti nel mercato alimentare?
Che difficoltà si incontrano?
La difficoltà più grande, per mia esperienza, è il rapporto con i corrieri. Molto difficile garantire la catena del freddo, molto difficile tenere bassi i costi di spedizione. Ammiro moltissimo il lavoro che fa Ritual Lab, con una politica di auto-distribuzione che, sinceramente, mi piacerebbe attuare anche in Busa.

Sei “l’anello di congiunzione” tra il produttore e il cliente. Che difficoltà incontri più spesso con entrambi?
La difficoltà più grande sta nel luppolo. Buffo, vero? Ma le “discussioni” che faccio più spesso riguardano proprio quanto luppolo mettiamo nelle nostre birre. Per i clienti è sempre troppo poco, per il birrificio è sempre troppo (perché soprattutto certe tipologie alzano il prezzo). Il mercato è drogato di luppolo, devi trovare il giusto equilibrio e non è semplice.

 

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Ad un costo più alto del prodotto artigianale corrisponde una provenienza certa, cibi più sani e genuini.
L’italiano oggi è più attento alla sicurezza ed origine dei prodotti alimentari? C’è più interesse per ciò che si vuole proporre al consumatore?
E’ soggettivo. Tremendamente soggettivo.

Una persona che nel tuo lavoro non dimenticherai mai e una che non vorresti più incontrare.
Luigi Recchiuti.
Chiunque si avvicina a un bancone e chiede “mi dai una birra qualsiasi”

Che cosa mi consigli di bere stasera?
Scotch Ale di Black Isle.

E’ compito del commerciale informare e offrire qualità senza bluffare.
Serve chiarezza, conoscenza del prodotto, etica e non svendere l’artigianalità.
Diversamente avreste davanti a voi un mistificatore, qualcuno che crede nelle vie di mezzo.
La birra artigianale e la qualità richiedono sacrifici, non dovrebbero poi essere sminuiti nell’offrire sconti.
Io diffido di chi ti assicura che “è buona e costa poco”.
Roberto con molto impegno ogni giorno cerca di essere fedele a questo pensiero.
Ora da “Brigante” buono nelle notti di luna piena lo si può scorgere sulla cima del Monte Cinto con le braccia incrociate a scrutare l’orizzonte e pensare al futuro.
Roberto comportati bene perché so dove venire a cercarti…

 

Maggiori informazioni: www.busadeibriganti.com

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.