Numero 41/2018

11 Ottobre 2018

Umberto Sinigaglia e il Valore della Terra

Umberto Sinigaglia e il Valore della Terra

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Ormai siamo sovrastati dall’idea che non ci sia mai abbastanza tempo.

L’assoluto “dover fare e avere” non lascia spazio al riflessivo “bisognerebbe fare per ottenere”.

Nel quotidiano le nostre azioni sono tutte veloci, quasi meccaniche.

Questo si riflette anche sul riconoscere il valore di quello che vogliamo, mangiamo e beviamo a volte valutandolo con superficialità, quasi come una perdita di tempo.

Quando compri un prodotto industriale lo fai anche perchè è facile e veloce da trovare sugli scaffali dei supermercati.

Non ci si chiede come e con cosa è stato prodotto.

A volte ci “laviamo la coscienza” comprando qualcosa di biologico, se possiamo permettercelo, del quale però sappiamo altrettanto poco, per pensare “stasera ho mangiato sano”.

Sulla genuinità la prima cosa che può venire in mente è che i nostri nonni “potevano” veramente avere cibo migliore sulla loro tavola perchè “compravano direttamente dal contadino” se non addirittura lo erano loro stessi.

I contadini del passato, senza immaginarlo, sono stati i primi produttori “bio”.

Niente diserbanti, anticrittogamici, antiparassitari, concimi di produzione industriale, sementi modificate, serre, nessuno che gli offrisse presunti metodi di coltivazione migliori o nuovi prodotti da sperimentare incoscientemente perchè “tanto erano gratis”.

Tutta la loro conoscenza era stata tramandata da padre in figlio.

La sopravvivenza delle società rurali dipendeva dalla fertilità della terra, rispettata e per alcune culture addirittura venerata.

La loro vita si sviluppava in totale sintonia con l’ambiente, nel bene e nel male.

Sapevano quando seminare, concimare, potare e mietere.
Si misurava il tempo grazie alle fasi lunari, alle maree, ai cambi atmosferici, maledicendo o sperando l’arrivo dei venti e delle pioggie.

Il “quando fare” dipendeva da immutabili regole e tempi precisi non corrotti dal “tutto, sempre, ora e a metà prezzo” tipico di questo presente.

Oggi la ricerca per il ritorno alla qualità se la vogliamo esige dei cambiamenti.

Sperimentare nuove tecniche spesso sono strade in salita, accolte con scetticismo.

Qualche mese fa mi sono imbattuto, mentre assaggiavo una birra, in un aggettivo a me quasi sconosciuto: “biodinamica”.

L’Enciclopedia, un antico mezzo di sapere, non mi ha aiutato molto a scoprirne il significato.

A chi chiedere delucidazioni?

Un amico mi ha detto che un certo Umberto Sinigaglia “ne sa abbastanza” quindi mi sono fidato e ho deciso di parlarne con lui.

 

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Ciao Umberto…

Il mio primo “approccio” con la Biodinamica è stato diversi anni fa in una piccola enoteca.

Ero indeciso sul cosa bere e mentre leggevo la lista notai a fianco dei nomi di alcuni vini la dicitura “bio” e “bio din.”.

Pensai ad un errore di scrittura che feci notare al proprietario e lui mi spiegò, senza entrare nei dettagli, che era “una specie di produzione biologica”.

Io ordinai un vino classico senza fare altre domande.

Ultimamente, sono andato alla ricerca di informazioni e di scetticismo sull’argomento ne ho riscontrato abbastanza, spesso espresso con superficialità ed è per questo che ho deciso di parlarne con te.

 

Per prima cosa quali sono le tue “origini”, non vorrei che alla fine le persone ti immaginassero come un moderno Mauro Corona…

Si, nemmeno a me piacciono i confronti, anche se non nego che abbiamo molte passioni in comune. Ad ogni modo le mie origini lavorative ed il mio percorso sono abbastanza tortuosi, ma la cosa che da sempre mi accompagna è la curiosità nei confronti della natura, la volontà di avviare una piccola realtà agricola fondata sulla sostenibilità ambientale e completamente autosufficiente partendo dall’alimentazione fino al settore energetico.

Il nostro attuale progetto “Birre della Terra” è stato avviato nel 2012 con la riqualificazione di un vecchio rustico in un’area sui colli Berici vicino a Vicenza e ad oggi ci consente di avere circa tre ettari di campi coltivati a cereali in rotazione, di ceci, un frutteto misto, un vigneto, un oliveto e ovviamente luppoleti.
Tutte le nostre sementi sono selezionate ogni anno e vengono coltivate secondo un mio personale concetto di “agricoltura itinerante”, mentre tutte le essenze arboree sono state scelte in base alla loro rusticità ed adattabilità al territorio.
Per me “agricoltura itinerante” significa rafforzare le nostre sementi coltivandole ogni anno in ambienti pedoclimatici diversi.

Sono convinto che il DNA racchiuso in ogni chicco mantenga una memoria che registra l’esperienza fatta precedentemente in ogni singolo terreno. Ad oggi sono molto soddisfatto anche se non nego che il rischio di fallimenti è sempre alla porta specialmente a causa di imprevisti e dei mutamenti metereologici ogni anno sempre più estremi.

Applico una fusione di varie pratiche agricole quali biologico, biodinamico e permacolturale.

Mi affido molto all’istinto ed effettuo sperimentazioni continue sul campo.

Per scelta non utilizziamo concimi chimici e nemmeno animali, ma utilizziamo tecniche di concimazione “verde”, in fin dei conti è quello che succede nelle foreste di tutto il mondo.

Prendo da ogni pratica agricola, volta alla salvaguardia dell’ecosistema, ciò che dal mio punto di vista più si adatta ai terreni.

Non credo nelle certificazioni in quanto mi sento responsabile diretto della qualità del prodotto offerta ai nostri clienti.
Il miglior riconoscimento è la salute delle nostre piante.

 

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“La concezione olistica, cioè l’idea del cosmo come di un tutto, è l’ordinaria armonia di ciò che esiste”.
E’ una frase che potrebbe impressionare… in parole semplici in cosa può essere tradotto? È uno dei fondamenti della biodinamica?

Da quanto ho avuto modo di studiare e confrontandomi con agricoltori che da decenni praticano biodinamica mi sento di semplificare il concetto dove per visione olistica si intende che l’ecosistema terrestre è un unico organismo formato dai vari regni: minerale, vegetale, animale, umano e la vita. Quest’ultima ha la funzione di permeare ogni cosa. Dunque tutte le pratiche biodinamiche sono orientate ad un tipo di agricoltura più in equilibrio possibile con la natura; a questo poi bisogna aggiungere l’aspetto spirituale legato alle forze cosmiche ed all’energia vitale, concetti dunque non misurabili dalla scienza e molto complessi da trattare.

 

Che cos’è l’humus?

Voglio essere preciso e quindi uso la tua enciclopedia…

“L’Humus (e voglio usare la lettera maiuscola) è una parte del terreno, quella più fertile che deriva dalla decomposizione della sostanza organica quali foglie, erba, piante, insetti ecc… avviata grazie all’intervento di microrganismi e reazioni chimiche.
E’ di colore scuro, friabile, profumato ed un esempio naturale su tutti è il terriccio che si trova nel sottobosco.”

Per me un componente di inizio fondamentale per la Biodinamica.

 

Perchè hai deciso di sposare le pratiche biodinamiche nel tuo lavoro?

Come dicevo prima, tutto ciò che salvaguarda l’ecosistema merita di essere studiato e valutato. Devo dire che non utilizzo tutte le pratiche biodinamiche in quanto alcune necessitano secondo me di una preparazione ed un equilibrio spirituale elevato mentre altre implicano l’utilizzo di sostanze animali che personalmente non riuscirei a procurare.

 

Sono i primi anni del 1900 e “l’agricoltura tende alla capitalizzazione e l’industria alla ipercapitilizzazione”.

É questo il momento storico in cui l’agricoltura è cambiata?

Per me il grande cambiamento è avvenuto con la “rivoluzione verde” tra gli anni quaranta e sessanta del secolo scorso. L’idea di base era molto nobile ovvero cominciare a risolvere il problema delle carestie. Purtroppo ci si è fatti prendere la mano senza valutare i potenziali rischi di innovazioni tecniche troppo incentrate sulla chimica.

 

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L’agricoltura chimica quali effetti devastanti ha provocato?

Ha posto sullo stesso piano l’agricoltura e l’industria.
L’obiettivo si è trasformato nell’ottimizzare la produzione. Purtroppo il terreno è un organismo complesso che rimane fertile se mantiene tutto ciò che è presente nell’Humus.

La monocoltura, i mezzi pesanti, i fertilizzanti chimici e quant’altro non aiutano di certo a preservare la fertilità. Questo lo posso confermare di persona dopo diverse esperienze agricole in giro per il mondo.

 

L’agricoltura Biodinamica è un’evoluzione di quella Biologica?

Dipende da che punto di vista vogliamo fare il confronto: tecnico o sostanziale. Ricordiamo che l’agricoltura Biodinamica nasce dal movimento antroposofico di Rudolf Steiner nei primi del novecento.
Per quanto riguarda la sostanza le due pratiche vanno a braccetto.
Dal punto di vista tecnico invece non sono secondo me confrontabili.

 

Una volta i contadini “analizzavano scientificamente” il proprio campo semplicemente prendendo un pugno di terra, guardandola, annusandola e addirittura assaggiandola come una degustazione.

Quali semplici deduzioni e quali caratteristiche positive o negative si possono trarre da queste azioni?

Sono “analisi”, modi innati che ho sempre fatto anch’io. Con un po’ di esperienza semplicemente osservandolo si può capire se un terreno è fertile o meno e spesso anche come iniziare a prendersene cura.
E’ una scuola che non finisce mai e io mi sento sempre alle elementari…

 

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Ti affidano un terreno.

Quali sono i primi interventi di “dinamizzazione” che faresti?

E’ difficile rispondere, posso descrivere quello che faccio io, ma le variabili sono moltissime.
In campo non si può fare ciò che si vuole.

Più che dinamizzare bisogna secondo me prendere la vanga e vedere in profondità come è strutturato il terreno e da lì partire in modo preciso in base alle necessità della coltura che vogliamo.

 

La Biodinamica è applicabile solo nelle piccole aziende?

Bisognerebbe definire i valori di piccolo e grande. Ad ogni modo tali pratiche se fatte in modo ortodosso necessitano di molta manodopera, consapevolezza di quel che si fa, organizzazione e studio. Diventa uno stile di vita. Se si crea un gruppo convinto e affiatato si possono gestire anche grandi realtà. Insisto su fatto che ciò necessita di molta pianificazione.

 

“L’Agricoltura Biodinamica è curare, tenere in salute la terra e quindi noi stessi”

Una dichiarazione semplicistica o complessa nella sua semplicità?

Più che una dichiarazione dovrebbe essere l’obiettivo di ogni agricoltore. Mi chiedo spesso come ci si possa giustificare di fronte alle future generazioni se non siamo in grado di lasciare una terra meno malata di come ci è stata data.

 

E’ vero che le pratiche biodinamiche possono far aumentare le rese produttive?

A livello scientifico sembra che ciò non sia possibile affermarlo. Bisogna dire che mancano anche studi “convenzionali” approfonditi e a lungo termine. In alcuni casi si sono verificate rese stupefacenti, in altri invece non particolarmente rilevanti. Se invece si valutano le misurazioni della vitalità dei prodotti mediante l’utilizzo di analisi per immagini (cromatografia e cristallizzazione) si avranno notevoli risultati.

Peccato che tali analisi non siano riconosciute.

 

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Ci puoi parlare dei preparati biodinamici? Ci fai qualche esempio?

Molto sommariamente ci sono due grandi categorie: i preparati da spruzzo e quelli da cumulo. I primi vengono impiegati sulle colture utilizzando dosi omeopatiche di preparato, i secondi vengono impiegati nel cumulo, ovvero composti lasciati maturare per lungo tempo in area dedicata, allo scopo di innescare i vari processi di compostaggio e stimolo dei microrganismi utili. L’utilizzo combinato delle due famiglie è in grado di rinforzare le colture in atto, concimarle e migliorare il terreno. Ci sono libri interi che parlano di questo argomento che consiglio di studiare.

 

Cos’è il marchio Demeter?

Demeter International è l’unico ente che detiene i diritti di certificazione nell’ambito dell’agricoltura biodinamica. Risale ai fondatori della biodinamica del secolo scorso.

E’ una lunga storia e spero nasca in chi sta leggendo la curiosità di approfondire.

 

Una Agricoltura Giusta, Sostenibile, Sana e Responsabile.

Principi sposati teoricamente dall’Unione Europea, ma la Pac (Politica agricola comune) sostiene maggiormente un’agricoltura Malata favorevole alle grandi aziende agricole? L’agricoltura Biodinamica viene sostenuta?

Posso risponderti a testa alta dicendo, per esperienza personale, che le piccole realtà non vengono nemmeno prese in considerazione, anzi la tendenza è quella di disincentivarle e farle fallire. La nostra azienda si è sempre finanziata con fondi personali e sostenuta grazie al nostro lavoro. Esistono incentivi interessanti per le aziende che intendono approcciarsi al biologico, ma non ho mai capito se tale “conversione” avviene per volere interiore o per un prurito nel portafoglio.

 

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L’ ”Agricoltura integrata”, cioè coltivare “riducendo” l’utilizzo di prodotti chimici con mezzi e prodotti biologici, ha senso? Non è un inutile spreco di risorse con risultati opinabili?

Visto lo scetticismo generale e l’esigenza assoluta di salvare l’ecosistema sono a favore di chi si impegna ad eliminare dalla propria azienda almeno una parte delle sostanze chimiche.
Però deve essere fatto come l’inizio di un progressivo miglioramento.

 

Terreni controllati e analizzati dai computer, tecnologie avanzate, applicazioni, Gps e anche utilizzo dei droni… si afferma che siano cambiamenti in positivo, tutti mezzi per un risparmio di sprechi e tempo.

Tutto ciò mi fa un po’ paura… che futuro ci aspetta? Il lavoro e l’amore dell’uomo per la vita della propria terra sarà considerato qualcosa di superfluo?

L’utilizzo della tecnologia non mi spaventa, ma solo se l’agricoltore è in grado di fare il suo lavoro anche senza di essa come un tempo.
Non si dovrà mai perdere la sensibilità e lo spirito di osservazione in quanto elementi fondamentali per chi fa questo mestiere.
Sono invece contrario alla tecnologia quando essa va a depauperare fuori misura le risorse naturali del nostro pianeta.

Faccio un semplicissimo esempio: essere costretti ad utilizzare macchinari a combustibile per lavorare quanto ci costerà in termini ambientali nel futuro?
Il protagonista è comunque sempre l’uomo.

Siamo noi i colpevoli o i fautori di un cambiamento positivo.

A noi la scelta.

 

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Alleggeriamo un po’ la chiacchierata…

Vogliamo sfatare la leggenda che un assertore della biodinamica è anche un vegetariano?

Non ho nulla contro i vegetariani, ma se ti invito a cena vorrei semplicemente sapere cosa comprare quando andrò a fare la spesa…

Ho conosciuto diversi “biodinamici” onnivori, vegetariani ed anche vegani.

La mia scelta è molto personale, legata ad esperienze vissute e a convinzioni morali.
Sono vegetariano, evito di mangiare latticini e uova, ma non sono un estremista.

Visto che sei romagnolo preferirei un bel piatto di strozzapreti piuttosto che uno di cappelletti.

 

Io cucino però la Birra Artigianale la devi portare tu, in questo caso le “Birre della Terra”. Ci racconti meglio come è nato questo progetto e quale vuole essere il suo obiettivo?

Siamo una società agricola semplice che nasce dall’azienda Stonebreaker farm&brew.
E’ un progetto condiviso con altri due soci, ma prima di tutto amici che sono Fabio Simoni e Nicola Simion proprietari del birrificio artigianale delle Dolomiti Bionòc.

L’idea di base è come ti avevo detto quella di realizzare un’azienda agricola autosufficiente ed ecosostenibile in base alle risorse disponibili solo nel territorio.
E’ un progetto realizzabile quasi ovunque, ma partendo da linee guida ben chiare:
metodi di coltivazione naturali, sviluppo della biodiversità del luogo e sua salvaguardia, utilizzo di meccanizzazione agricola leggera, fonti energetiche rinnovabili, recupero delle acque, gestione dei reflui in modo sostenibile, riciclo e riutilizzo delle materie prime.
Quando partimmo, vicino al comune di Val Liona, dopo un’analisi delle risorse del luogo, ci trovammo di fronte al fatto che le uniche piante che nascevano e vivevano rigogliosamente erano i Bagolari (“spaccasassi” in gergo locale, quindi Stonebreaker).
Ci rimboccammo le maniche e faticammo parecchio, visto che roccia e siccità non sono gli alleati migliori per colture produttive.
Dopo cinque anni di lavoro ora a dimora e in produzione ci sono come dicevo circa 400 piante tra frutteto misto, vigneto e oliveto.
Tutte piante acquistate presso il vivaio biologico Omezzolli di Riva del Garda, con cui continuiamo a condividere ricerche e nuove sperimentazioni.
L’obiettivo preposto, l’autosufficienza, è quasi raggiunto, dico “quasi” perchè ogni anno l’agricoltura riserva sempre sorprese.
Gestiamo altri appezzamenti sempre sui colli Berici e fuori provincia tra il Trentino e l’Alto Adige secondo il personale concetto di coltivazione che ti spiegavo:
rotazione colturale delle sementi in zone pedoclimatiche diverse al fine di rinforzarle.
I nostri cereali sono tre tipi di grano tenero, grano duro, farro spelta, segale, orzo distico.
La rotazione comprende anche i terreni vicino a Primiero dove coltiviamo i luppoli.
Grazie a questi abbiamo realizzato diversi prodotti, tra le quali le nostre birre progettate appositamente per valorizzare le caratteristiche dei singoli cereali.
Ricette originali, volutamente “fuori stile” e assolutamente stagionali.
Prodotti realizzati al 100% con materie prime coltivate e trasformate direttamente in azienda, luppoli e malti compresi.
Abbiamo anche messo a punto un sistema per raccogliere e conservare i fiori di luppolo e realizzato un micro sistema di maltazione pilota che ci permette di coprire tutto il nostro fabbisogno.
Unica e preziosa è inoltre l’acqua usata nelle nostre birre, quella delle Dolomiti del Primiero.
Oltre ad avere straordinarie caratteristiche è anche il motore del nostro birrificio in quanto l’energia elettrica impiegata è derivante dai bacini idroelettrici locali, la prima energia rinnovabile di sempre.
Spero veniate a visitarci.
Sono tematiche e tecniche che necessitano di essere viste personalmente per capirne appieno il valore.
Ti aspetto quindi e quel giorno ti farò provare la mia cucina…

 

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Quando sentiamo parlare di Biodinamica non fermiamoci alla prima battuta, ma facciamoci delle domande.

Accettiamo lo scetticismo che può nascere come la prospettiva per la quale non sarebbe possibile accettare la veridicità di un’affermazione se non dopo averla controllata.

(ammetto che quando ho scritto questa frase non l’ho capita subito nemmeno io e ho ancora dubbi sul suo esatto significato. Vi posso prestare la mia enciclopedia, può essere d’aiuto).
Il sapere è conoscere il cosa, ma conoscerne anche il come.

(questa è un po’ più semplice)

Umberto cerca di spiegarlo col suo lavoro e le Birre della Terra sono un mezzo per farlo.

A volte dietro una birra non si nasconde solo una storia, ma anche una filosofia.

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.