Numero 24/2022

15 Giugno 2022

Un po’ di Village al Mosaic

Un po’ di Village al Mosaic

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Sere fa sono stato al Pub Mosaic di Cesena per assistere alla performance di improvvisazione poetica di Max Mario. Si, avete capito bene, ho detto proprio Poesia.
Parlando poi con Luca Ceccaroni, uno dei soci del locale, ho scoperto che non è la prima volta che organizzano eventi come questo anzi ne avevano fatti altri come gli “Slam” poetici ovvero giovani che in versi si mettono in gioco per poi essere votati da una giuria popolare scelta tra i frequentatori del locale.
Che stile… quella sera appena mi sono seduto al tavolo ho chiuso gli occhi ed ho provato ad immaginare di essere nel secolo scorso, in uno scantinato del Greenwich Village di New York a bere birra, nel pieno periodo della Beat Generation e ascoltare giovani Allen Ginsberg e Jack Kerourac su un piccolo palco che con prosa spontanea regalano libera ed immediata espressione di sensazioni di vita vissuta.
Devo dire grazie al Mosaic e a Daniele “Gnigne” Vaienti dell’Associazione Voceversa che promuove l’Arte della Poesia se ho fatto un salto nel passato.
Per completare il quadro mancavano solo Bob e Lou a suonare la chitarra come al Cafè Wha ed Andy ad “imbrattare” quadri e pareti al Factory .
Non escludo di poterli incontrare al Mosaic perché lì a volte si realizzano piccole magie.
Ora parliamo con Daniele di Poesia da pub, ma non solo…

 

Ciao Daniele o devo chiamarti Gnigne?
Va benissimo Gnigne, è un soprannome che mi porto dietro da così tanto tempo che ormai è come fosse il mio vero nome.

Ci racconti cos’è l’Associazione Voceversa di cui fai parte e che progetti ha?
VoceVersa non è una vera associazione, è più qualcosa di simile a un collettivo, o per usare un termine preso in prestito dal rap, una crew.
Con VoceVersa organizziamo eventi che hanno lo scopo principale di togliere la poesia dai suoi luoghi più classici, come salotti o teatri, e portarla in spazi più “vivi” come ad esempio pub o piazze.
Lo facciamo attraverso reading e più spesso poetry slam.

Come hai capito che la forma d’arte che volevi perseguire era la poesia?
Non è una cosa che ho deciso, io non ho una cultura classica, ho studiato da elettricista.
La mia passione per le parole è iniziata da giovanissimo grazie ai testi dei cantautori. Col tempo mi sono appassionato alla lettura, soprattutto romanzi. Anche nei romanzi però ho sempre prediletto lo stile alla trama.
Quando scrivo non penso di fare poesia, penso a scrivere quello che ho dentro.

Chi sono i tuoi autori preferiti?
Amo lo stile di Erri De Luca e la follia di Chuck Palahniuk. Agota Kristof ha scritto quello che ritengo uno dei miei libri preferiti, “La trilogia della città di K”.
E ho un debole per i primi libri di Alessandro Baricco.
Come si può notare sono cose molto varie, nessun classico e soprattutto nessun poeta.

Che cosa occorre per diventare un poeta?
Bisognerebbe chiederlo ai poeti, sempre che lo sappiano.
Sicuramente sensibilità.

 

 

Alcune definizioni per descriverti…
Pigro, egocentrico, esuberante, buono.
Questo per quanto riguarda il mio carattere.

Chi ti legge o ascolta qual è la prima cosa che percepisce?
Credo sia l’onestà. I miei testi sono scritti in maniera semplice, mi piace essere diretto e tutto quello che scrivo è “vero”, scrivo più per necessità che per la voglia di creare qualcosa.
Anche quando recito non mi imposto in maniera teatrale, sono me stesso, sono Gnigne che racconta qualcosa.

«Poesia è quel suono che si rincorre fra una parola e l’altra in un chiaroscuro di ombre rapide e lucenti… poesia corre veloce e sfugge alla vita nonostante la vita sia madre naturale ed artefice poetica dell’immortalità del dire…»
C
os’è per te la poesia? Qual è lo stato di salute della poesia oggi?
Su cosa sia poesia o meno si potrebbe aprire un dibattito e io temo di essere la persona meno adatta a parlarne.
Per quel che mi riguarda è poesia ogni accostamento di parole che per suono e significato riesce a smuovermi delle emozioni.
È molto semplice la mia idea di poesia.

A tuo avviso perché siamo più un paese di poeti che non di lettori?
Scuola, librai, media, editori, poeti: di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?
Non penso si legga poi così poco, negli ultimi anni ho girato molto per l’Italia e ho trovato davvero tante persone, e delle età più disparate, interessate alla poesia.
Si legge poca poesia perché si leggono pochi libri in generale.

Quanto le nuove generazioni sono aperte alla poesia?
Cosa occorrerebbe fare per appassionare a questa arte?
I giovani sono aperti alla poesia, spesso però serve proporgliela in una chiave che possa essere loro.
La poesia come ogni forma d’arte è qualcosa di vivo e credo debba parlare la lingua del suo tempo.

Quando ci siamo visti la prima volta ho erroneamente chiamato gli eventi poetici organizzati al Pub Mosaic di Cesena una Battle, usato per il rap, invece di Slam. Il rap in certe forme potrebbe essere definita la poesia della strada?
Non mi piace il termine ”della strada” credo sminuisca una cultura. Il rap è un genere musicale che si basa tanto sulle parole, ovviamente non tutti i rapper sono poeti, ma penso che molti lo siano.
Questo vale per il rap come per qualsiasi altro genere musicale.

Il testo di quale canzone potresti definire “una poesia”?
C’è l’imbarazzo della scelta, il cantautorato italiano è pieno di canzoni che sono vere e proprie poesie.

#Instapoets è un hashtag, ma anche un’identità: sono persone comuni, quelle che scrivono nei social network, in particolare Instagram. Che ne pensi?
Instapoets è un termine che mi rimanda a un sacco di frasi, spesso banali, che vedo diventare virali sui social. Personalmente ritengo che il problema non sia di chi le scrive, credo sia piuttosto nella pigrizia di chi le ricondivide senza la voglia di trovare qualcosa di più originale.

Hai mai pensato di scrivere un romanzo?
Si, spesso. La prosa mi piace molto, ma sono pigro. Scrivere un romanzo richiede una costanza che non ho.
Mi diletto con racconti brevi, sono più alla mia portata.

Un tuo sogno nel cassetto?
Riuscire un giorno a vivere grazie alla mia arte, senza dover avere un lavoro che mi impegni otto/dieci ore al giorno.

 

Per chiudere l’intervista, ci regali qualche tuo verso?

Credo che l’indifferenza
salverà l’umanità
che il mondo andrà a puttane uguale
ma vederlo non vi farà male”

(Credo-La notte passerà senza miracoli)

 

 

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.