Numero 37/2023
13 Settembre 2023
Birra in Italia: definizione e distinguo secondo la normativa
La birra è una tra le bevande alcoliche più consumate in tutto il mondo. Caratterizzata da una storia millenaria, assume forme e stili capaci di attrarre appassionati dai più diversi gusti e background culturali, riuscendo così ad essere apprezzata in ogni paese e da qualsiasi tradizione. Composta da una lavorazione di acqua, lieviti, malto d’orzo e luppolo, la birra è entrata nelle abitudini di consumo di moltissime persone proprio grazie alla sua semplice e
comoda reperibilità. Negli anni ha subito trasformazioni, ha attraversato mode e tendenze ma ha sempre mantenuto la sua natura di bevanda di facile beva, aggregativa, da consumare in compagnia, sociale e socializzante.
Il mondo della birra è in continua evoluzione, attualmente si hanno a disposizione innumerevoli materie prime da impiegare nella produzione birraria così da ottenere di continuo nuovi sapori.
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A pensarci bene è proprio il bello di questo mondo, non esiste un modo o una ricetta unica ed insostituibile per fare la birra, ogni singola variazione nel processo produttivo, nell’impianto utilizzato, nelle materie prime e nello stesso birraio porta alla nascita di sapori completamente diversi.
In Italia il panorama birrario si evolve di anno in anno, ormai è da una decina di anni che il nostro Paese si è fatto riconoscere per le sue birre, la normativa italiana sulla birra recita che:
- Art.1 (Così sostituito da D.P.R. 30.6.98 n. 272) La denominazione “birra” è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o con entrambi. La fermentazione alcolica del mosto può essere integrata con una fermentazione lattica.
Nella produzione della birra è consentito l’impiego di estratti di malto torrefatto e degli additivi alimentari
consentiti dal Decr. MINISAN 27.2.96, n. 209. Il malto di orzo o di frumento può essere sostituito con altri cereali, anche rotti o macinati o sotto forma di fiocchi, nonché con materie prime amidacee e zuccherine nella misura massima del 40% calcolato sull’estratto secco del mosto.
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- Art. 2 (Così sostituito da D.P.R. 30.6.98 n. 272) La denominazione “birra analcolica” è riservata al prodotto con grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8 e con titolo alcolometrico volumico non superiore a 1,2%.
La denominazione “birra leggera” o “birra light” è riservata al prodotto con grado Plato non inferiore a 5
e non superiore a 10,5 e con titolo alcolometrico volumico superiore a 1,2% e non superiore a 3,5%.
La denominazione “birra” è riservata al prodotto con grado Plato superiore a 10,5 e con titolo alcolometrico
volumico superiore a 3,5%; tale prodotto può essere denominato “birra speciale” se il grado Plato non è
inferiore a 12,5 e “birra doppio malto” se il grado Plato non è inferiore a 14,5. Quando alla birra sono
aggiunti frutta, succhi di frutta, aromi, o altri ingredienti alimentari caratterizzanti, la denominazione di vendita è completata con il nome della sostanza caratterizzante.
Di seguito nel 2016 è stata codificata una definizione legislativa per chiarire cosa si intende per birra artigianale.
La legge sulla birra artigianale (154/2016) recita così:
Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi.
Quindi, secondo la legge italiana, una birra può essere definita artigianale solo se rispetta tre criteri fondamentali:
1. Non deve essere pastorizzata o microfiltrata.
2. Deve essere prodotta da un birrificio indipendente.
3. Il birrificio non deve superare i 200.000 hl di produzione annui.
Sono dunque esclusi dalla definizione tutti i birrifici controllati da altre aziende del settore, come quelli acquistati in tempi recenti dalle multinazionali birrarie.
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La birra in aggiunta non deve subire processi tipici dei prodotti industriali come la pastorizzazione che consiste nel riscaldare la birra, dopo la fermentazione, a temperature elevate per uccidere tutti i microbi e batteri, oppure la microfiltrazione.
Infine il birrificio non deve superare un limite ben preciso di produzione annua. E’ doveroso anche ricordare che sei anni prima dell’emanazione della legge sulla birra artigianale è stata compiuta una piccola grande rivoluzione rispetto all’universo brassicolo italiano, ovvero l’emanazione del Decreto Ministeriale 212/2010 che, riconoscendo la
birra come prodotto agricolo a tutti gli effetti e il birrificio agricolo come azienda impiegata nella produzione e nella vendita diretta di Birra Agricola, ha segnato una svolta importante nel quadro normativo e, di conseguenza, nel mercato di produzione e commercializzazione della bevanda in Italia. Per poter rimanere nel concetto di birra agricola, gli agricoltori devono produrre birra agricola, ovvero con almeno il 51% di materia prima prodotta in proprio.
Il concetto di birra agricola è basato su una similitudine con quanto già esisteva da tempo per le case vinicole:
un agricoltore che nelle sue vigne coltiva uva destinata alla produzione vinicola può anche produrre e commercializzare il proprio vino. Ormai da diversi anni è passato, anche a livello legislativo, il concetto che la stessa autoproduzione può essere applicata anche ad altri prodotti agricoli, tra i quali l’orzo e quindi la birra.
Si può dire che il fenomeno birrario in Italia sia cominciato principalmente dal Nord d’Italia, principalmente in Piemonte, Lombardia e nel Nord Est del paese che hanno dato vita ai primi brewpub ispirati ai paesi Europei già riconosciuti per il loro panorama birrario quali Belgio, Gran Bretagna e Germania.
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Con il passare del tempo però, si è riusciti a identificare, addirittura a livello internazionale, uno stile riconosciuto come made in Italy, nonostante l’Italia non abbia una radicata tradizione birraria, ovvero le Italian Grape Ale (I.G.A.) che è uno stile di birra ad alta fermentazione aromatizzato con il mosto d’uva.
La birra artigianale in Italia si sta differenziando dall’offerta estera per un importante fattore: il legame con i territori dove essa viene prodotta. La cultura enogastronomica del Bel Paese da sempre ha come suo punto di forza la straordinaria varietà di prodotti, sapori e profumi che si differenziano di regione in regione e che esprimono le variegate peculiarità di ogni angolo della nostra terra. Nel settore brassicolo l’emblema di questa diversità non è tanto nelle materie prime, che pur possono creare la riconoscibilità territoriale se prodotte in loco (parliamo, in particolare, del malto, del lievito, dei luppoli e dell’acqua), ma soprattutto nella figura del mastro birraio.