Numero 30/2016

27 Luglio 2016

A Marano sul Panaro nuovi passi avanti verso un luppolo italiano!

A Marano sul Panaro nuovi passi avanti verso un luppolo italiano!

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Che l’attenzione per gli studi inerenti al luppolo autoctono sia alta è univocamente noto.

Ma che l’affluenza al consueto convegno sullo stato del progetto in corso a Marano sul Panaro potesse raddoppiarsi in un solo anno, ha lasciato di stucco organizzatori e tutti i partecipanti.

Nella consueta cornice del Centro Culturale del paesino sulle colline modenesi, si sono infatti affollati 300 spettatori (nella prima edizione del 2012 erano solamente 20, mentre poco oltre il centinaio un anno fa), a dimostrazione delle tante aspettative per questo questo filone di ricerca. Titolo della presentazione di quest’anno, ‘Coltivando la rivoluzione’ e i molti presenti in sala hanno avuto certamente la percezione che un altro passettino di questa senso sia stato effettivamente compiuto.

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Primo intervento del convegno, lo stato di avanzamento del progetto presentato dal prof. Tommaso Ganino e dalla dott.ssa Margherita Rodolfi dell’università di Parma. Sul campo sperimentale alle porte di Marano sono state infatti impiantati 59 genotipi di luppoli selvatici a cui sono stati accostati anche 11 tipologie commerciali. Allo stato attuale della sperimentazione, sono tre le tipologie di luppoli autoctoni già pronti per entrare in cotta e per i partecipanti al convegno, oltre alla possibilità di suggerirne il nome, era presente una degustazione di birre monoluppolo su base Tipo Pils del birrificio Italiano. Analizzando queste tipologie autoctone, è emerso che quasi tutte sono caratterizzate da una componente erbacea caratterizzante, la componente citrica/agrumata, legnosa o speziata si manifesta solo in alcuni genotipi, mentre è praticamente assente la nota resinosa che caratterizza luppoli affini di origine straniera. Altra caratteristica comune è la capacità amaricante bassa, a fronte di un intensità aromatica decisamente buona e con un considerevole mix di sentori.

Nonostante questo primo risultato, la sperimentazione prosegue con lo scopo di arrivare ad almeno 10 varietà che garantiscano oltre ad un buon bouquet di aromi, anche una resa per ettaro significativa con sufficiente resistenza alle malattie patogene.

A seguire, l’intervento di Eugenio Pellicciari, titolare di Italian Hops Company, la prima azienda italiana che commercializza luppoli coltivati sul suolo nazionale. Dopo la raccolta 2015 incentrata sul fresh hop di sole due varietà, Cascade e Nugget, Pellicciari ha annunciato che in questo 2016 saranno disponibili anche Crystal, Centennial, Willamette, Bravo e Chinook, ma soprattutto i primi batch di queste varietà autoctone.

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Foto di Paolo Focherini Coizzi.

 

Ma cosa ne pensano i birrai di questo fenomeno? Agostino Arioli del Birrificio Italiano ha ricordato il suo iniziale scetticismo che col passare degli anni e il seguirsi dei risultati si è tramutato in grande interesse per “qualcosa di assolutamente grandioso”. Lo stesso mastro birraio ha poi sottolineato che “la birra artigianale italiana, poiché sta iniziando ad essere osservata con interesse da tutto il mondo, ha bisogno di una proprio identità e il luppolo autoctono può dare un deciso apporto a realizzarla.”

Sulla stessa lunghezze d’onda anche Pietro Di Pilato , fondatore di Brewfist, che ha evidenziato come l’utilizzo di luppoli freschi cresciuti sul suolo italiano nell’esperienza del 2015 ha cambiato decisamente il profilo aromatico delle birre, per cui questa rivoluzione rappresenta “un salto nel buio decisamente interessante in cui ogni mastro birraio potrà reinventare le proprie creazioni”.

Proprio sul collegamento sperimentazione-birrai punta il dito Eugenio Signoroni, responsabile della Guida alle birre d’Italia di Slow Food. Grazie a questo legame all’interno della filiera, ha sottolineato Signoroni, si sono raggiunti risultati importanti sia dal punti di vista scientifico che commerciale, gettando le basi per un deciso apporto alle birre del domani.

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.Foto di PaFoto di Paolo Focherini Coizzi.

Per Unionbirrai è intervenuto Simone Monetti, che oltre a ricordare il recente riconoscimento legislativo della birra artigianale ha sottolineato come sia stato deliberato un sostegno per incentivare e sostenere quest’importante filone di ricerca.

Quanto tempo ci vorrà prima di avere un luppolo italiano commerciabile? La risposta a questa domanda è arrivata dall’intervento di Alexander Feiner, responsabile ricerca e sviluppo di Hopsteiner, che ha portato esempi della metodologia adottata da questa multinazionale con sedi in Germania e USA. L’attività che porta alla definizione di una nuova tipologia di luppolo infatti ha una durata di una decina di anni, in cui da una cinquantina di incroci si a arriva a isolarne una o due con le caratteristiche organolettiche e agronomiche richieste.

Non potevano mancare a questo convegno le autorità, a cominciare dalla padrona di casa, il sindaco di Marano, Emilia Muratori, per passare al dott. Di Rubbo del Ministero delle politiche agricole e concludere con il sindaco di Modena Giancarlo Muzzarelli.

Le grandi speranze e aspettative degli spettatori al convegno non sono di certo rimaste disattese. Il cammino sembra ancora lungo, ma un passo alla volta anche gli ultimi scettici che il luppolo in Italia possa diventare una realtà si stanno ricredendo.

 

 

 

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Paolo Testi
Info autore

Paolo Testi

Ho 31 anni e vivo in una cittadina tra Bologna e Imola. Ingegnere per professione, amo giocare a pallacanestro, leggere e viaggiare.
Ho imparato ad apprezzare e ricercare le birre artigianali per il gusto e le sensazioni che sanno regalarmi: in ogni bottiglia è racchiusa la storia di un birraio, le peculiarità del suo territorio, il tutto condito da tanta creatività e passione.
Con i miei racconti spero di trasportarvi in questo affascinante viaggio tra luppoli, malti, lieviti ma soprattutto persone.