Numero 30/2019

22 Luglio 2019

Wührer: una delle più antiche fabbriche di birra italiane

Wührer: una delle più antiche fabbriche di birra italiane

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Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

La storia della Wührer ebbe inizio in un sobborgo della cittadina di Obernberg am Inn (nel principato arcivescovile di Salisburgo che nel 1816 sarà annesso all’Austria). Fu Leonhard de Wierer che nel 1540 cominciò a produrre birra nella sua bottega. Attività che quindi si trasmise di padre in figlio; mentre il cognome subiva varie modificazioni: Wierer, De Wier e, infine, Wührer.

L’attività brassicola dei Wührer a Obernberg terminò nel 1808, quando il birrificio fu ereditato dalla figlia di Johann Adam Wührer e dal marito. Ma Johann Adam si era sposato diverse volte, e nel 1792 gli era nato anche Franz Xaver. Questi, nel 1829, venne a cercare fortuna nel Regno Lombardo-Veneto che vantava una consistente presenza di genti austriache. Si fermò a Brescia, una città di circa 45 mila abitanti, e nello stesso anno ottenne il permesso per l’esercizio di una fabbrica di birra in contrada Santa Maria Chalchera, nei pressi del centro urbano. Nasceva così la prima fabbrica italiana di birra.

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Franz Xaver (adesso Francesco Saverio) Wührer non faticò molto a farsi un nome, data la bontà del suo prodotto. Addirittura, dimostrando che vino e birra potevano convivere, riuscì in pochi anni a imporre il gusto di quest’ultima, fino ad allora poco conosciuta, non solo a Brescia, anche nelle province limitrofe.

Nel 1851, per poter in seguito ampliare lo stabilimento, Francesco comprò l’edificio in cui esso si trovava. Successivamente mise su anche una fabbrica di acque gassate. Intanto la famiglia era aumentata, con i cinque figli (Giuseppe, Pietro, Arturo, Antonio e Sigismondo) che si erano integrati molto bene nel tessuto locale, tanto che i primi due si arruolarono tra i Cacciatori delle Alpi.

Il più attaccato alla patria si mostrò Pietro, tornando a casa soltanto dopo la fine della terza guerra d’indipendenza. E fu anche l’unico dei fratelli disposto, appena ventenne, a prendersi sulle spalle la non facile conduzione dell’azienda per la morte del padre nel 1870.

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Come per altre birrerie sorte a Borgofranco d’Ivrea (e a Chiavenna sul suo esempio), anche per la Birra Wührer infatti gli affari si mantenevano a bassa quota. Nelle città le birre austriache e tedesche si facevano valere, vuoi per l’antica tradizione vuoi per l’organizzazione commerciale.

Pietro non si perse comunque d’animo e, dedicando alla piccola impresa tutte le proprie energie, sorrette da uno scalpitante entusiasmo, riuscì ad andare avanti abbastanza bene. Nel 1889 poté addirittura comprare un vasto appezzamento di terreno a tre chilimetri dalla città, in una zona denominata La Bornata, e vi costruì un moderno stabilimento, che sarà completato nel 1895 e continuerà ad espandersi strutturalmente fino al 1946.

Sembrava del resto che fosse finalmente arrivato il boom della birra: si contavano 150 birrifici. Ma, per un decreto governativo che tassava pesantemente la fabbricazione di birra per favorire il mercato vinicolo, tra il 1894 e il 1895 la produzione calò di brutto, e le birrerie cominciarono a scomparire. Anche Pietro dovette arrendersi. Chiuso il nuovo stabilimento, riattivò il vecchio impianto di Santa Maria Chalchera, in attesa di tempi migliori.

Nel 1898 la situazione era ancora stagnante, e proprio non s’intravedeva una via d’uscita. Sfiduciato, Pietro passò le redini dell’attività al figlio.

Com’era accaduto al padre, anche Pietro junior aveva solo 20 anni. La sua posizione però si presentava ben diversa. Aveva studiato a Brescia, nel Collegio Peroni e nella Scuola Professionale Moretto; imparato il tedesco in Svizzera, a Rorschach; seguito il corso di industrie chimiche a Torino; frequentato l’Alta Scuola tedesca di specializzazione birraria a Worms; partecipato a corsi di perfezionamento a Monaco di Baviera.

Il giovane si rese subito conto che era troppo importante rilanciare la fabbrica de La Bornata, ma con criteri diversi. Non bastava l’acquisto di macchinari moderni. Bisognava rinnovare i procedimenti, organizzare la distribuzione commerciale, far ricerche di laboratorio, in particolar modo sperimentare nuovi processi; e, perché no, mettere in atto il nuovo sistema di fermentazione chiusa per le birre speciali studiato in Germania. Il metodo Hansen, quest’ultimo, che non faceva venire il mosto a contatto con l’aria, consentendogli di fermentare grazie a lieviti selezionati puri. In tal modo, la birra compiva il ciclo completo di maturazione in minor tempo e arrivava sterile all’imbottigliamento. Ne guadagnavano la durata, la fragranza e l’aromaticità del gusto.

Nel 1903 Pietro ridefinì la ragione sociale, con la costituzione di una società. Mentre nel 1912 moriva il padre.

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In pochi anni l’azienda pervenne al successo. La vecchia sede in contrada Santa Maria Calchera diventò ristorante e café chantant, con le graziose chellerine dei paesi tedeschi. Dal piccolo ma efficiente palcoscenico del teatrino invece attiravano il pubblico ballerine mozzafiato, cantanti, fini dicitori della portata di Franzi, Pasquariello.

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Poi, nel 1915, il ristorante e il teatrino furono spostati nell’attuale corso Magenta, in un ampio chalet stile liberty fatto di legno e vetrate in uno splendido giardino. E i camerieri presero il posto delle chellerine.

Per la Wührer il periodo di concentrazione dei produttori di birra ebbe inizio già nel 1918, quando fu acquistata la birreria Bluman di Prato all’Isarco (presso Bolzano) che venne subito dopo smantellata. Nel 1924 fu rilevata la birreria Spiess di Rimini, fallita durante la prima guerra mondiale e non più riaperta; ma alla Wuhrer interessava portarsi a Brescia il suo impianto all’avanguardia Nathan per la produzione di birre speciali. Nello stesso anno avvenne il lancio sul mercato, con enorme successo, dell’estratto di lievito per il brodo.

Durante la grande guerra, Pietro si era reso conto di quanto fosse importante il non poter dipendere dall’estero per l’approvvigionamento di malto. E, con la fine del conflitto, oltre ad ampliare la fabbrica installandovi nuove macchine, creò una più efficiente malteria. Ma, per fare il malto, occorreva l’orzo, e questo doveva essere nazionale.

Cominciò a sperimentare su larga scala la coltivazione di orzi speciali in terreni poco adatti per il frumento. All’inizio i contadini storcevano la bocca, nella loro tradizionale diffidenza. Infine le precise istruzioni tecniche fornite con assiduità da Pietro, supportate da una propaganda messa in atto intelligentemente, portò gli agricoltori stessi a chiedere di allargare gli esperimenti. Il raccolto del 1929, a opera di 370 unità agrarie, fu strabiliante, e di un orzo perfettamente adatto per fare la birra.

A Firenze, la Birra Carlo Paszkowski e C., sorta nel 1903, produceva birra, orzo tallito, ghiaccio, gazzose, seltz e affini. Aveva anche rilevato nel 1920, in via degli Apuli a Roma, la Società Anonima Birra Roma non più in attività, dopo averle costruito vicino un centro di produzione. Con l’acquisto della Paszkowski, l’azienda di Brescia costituì nel 1935 la Birra Wührer Firenze.

Nel corso del secondo conflitto mondiale, oltre ai reparti estratti, fu distrutta la vetreria che Pietro aveva costruito nel 1938 per la produzione diretta di bottiglie e bicchieri. Non solo. Nel 1943 fu pesantemente bombardata la fabbrica di Roma, che sarà successivamente ricostruita. Nel 1944 la fabbrica di Brescia fu requisita dai militari tedeschi che ne assunsero la gestione assorbendo quasi tutta la produzione peraltro molto ridotta.

Ripresasi in fretta dalla parentesi bellica, nel 1949 la Wührer, sempre retta da Pietro ma già con la collaborazione di due dei tre figli, lanciò sul mercato la scura St. Peter’s Beer e la chiarissima speciale Crystall, fiore all’occhiello dell’azienda giunta fino ai nostri giorni. Sempre nel 1949 la Birra Wührer Firenze diventò Birra Wührer, col passaggio della sede sociale a Brescia (ma la fabbrica, nel 1966, sarà chiusa per l’alluvione dell’Arno).

Nel 1954, al suo 125° anno di storia, la Wührer vantava il 12% della produzione nazionale, mentre le birrerie si erano ridotte a 30. Seguì la compera, nel 1958, delle Fabbriche Riunite Birra Ronzani e Bologna. Nel 1962 anche le Fabbriche Riunite Birra Ronzani e Bologna cambiarono la ragione sociale in Birra Wührer Bologna per essere infine, nel 1970, incorporate nella Birra Wührer. Ma, contrariamente alla prassi abituale di rilevare vecchie fabbriche per toglierle dal mercato, quella di Casalecchio di Reno venne mantenuta attiva.

Nel 1963 fu assorbita la modernissima Birra L.E.O.N.E. (Lavorazione Estratti Orzi Nazionali ed Esteri) di San Cipriano Po (PV), fondata da appena un anno da una famiglia di commercianti di vino ma che aveva subito incontrato grosse difficoltà. Nel 1969 anche la Wührer volle tentare l’avventura nel Sud, dove già aveva un impianto d’imbottigliamento a Napoli, aprendo uno stabilimento a Battipaglia (SA), che nel 1975 prenderà la denominazione di Birra Wührer Sud.

Le varie fabbriche producevano la birra Wührer normale, mentre le speciali (St. Peter’s Beer, Crystall e la doppio malto) uscivano esclusivamente dallo stabilimento di Brescia. Un tentativo di produrre la Crystall a Casalecchio di Reno era fallito per la qualità dell’acqua poco adatta.

Purtroppo, con la morte di Pietro, avvenuta nel 1967, la storia della Wührer aveva cominciato a esaurirsi. Sopraggiunte difficoltà economiche obbligarono i tre figli (Francesco, Walter e Cesare) a cercare nuovi capitali e, quindi, nuovi soci: Luigi Lucchini, Mario Dora, Antonio Spada e Giovanni Santambrogio. Quest’ultimo, che era già stato proprietario della Birra Italia a Milano (nata nel 1906 e chiusa nel 1972), possedeva la Birra Sempione di Verbania, fondata nel 1921 dai fratelli Beretta di Locarno con la denominazione S.A. per Azioni Nazionale.

Firmato il contratto nel 1974, i Wuhrer, dopo 145 anni, persero la maggioranza nella società. L’anno successivo la sede sociale della Birra Sempione fu spostata a Brescia; mentre i suoi prodotti venivano commercializzati dalla Wührer con il marchio Simplon Bier.

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Ulteriori difficoltà economiche comportarono la cessione, nel 1979, del 29% delle azioni alla multinazionale francese BSN Gervais-Danone, tramite la sua controllata Kronenbourg.

Nel 1981 morì Francesco, il primo dei tre fratelli, e, con lui, si spense anche il potere gestionale della famiglia Wuhrer.

Nel 1982 Lucchini, Dora e Spada cedettero la loro partecipazione alla BSN che assunse così, nel 1983, il controllo dell’azienda con il 78% delle azioni, arrivando al 90% nel 1986. Nel 1988, a seguito di un’offerta pubblica di acquisto, la multinazionale francese si aggiudicò l’intero pacchetto azionario.

Da parte sua, sempre nel 1988, la Peroni (in quel tempo la maggiore industria birraria in Italia) aveva firmato un accordo sia con la BSN che con la Ifil (Istituto Finanziario Industriale Laniero), società d’investimento controllata dalla famiglia Agnelli e legata alla multinazionale francese da partecipazioni. Poté così acquisire la maggioranza della SO.GE.PA. (Società Gestione Partecipazioni), che aveva inglobato la società Wuhrer. E, a dimostrazione che alle grosse aziende non interessavano le fabbriche di birra, bensì il loro marchio, a cominciare da quello di Brescia, chiuse tutti gli stabilimenti ex Wührer, eccetto quello di San Cipriano Po, che subirà la stessa sorte nel 1993.

È doveroso ricordare che Pietro junior, tra le tante cariche di prestigio, rappresentò, per volere unanime dell’Unione Fabbricanti Birre, l’Italia nel Consiglio della Convenzione Birraria Europea (E.B.C.). Nel 1906 fu tra i soci fondatori della Birra Italia di Milano. Negli anni Cinquanta fu lui a proporre a tutti i produttori di adottare il vuoto a perdere, iniziativa che ebbe successo facendo cadere la scelta del modello di bottiglia su quello della Wuhrer. Non solo, pubblicò anche trattati di grande interesse: Teoria e pratica sulla preparazione del malto e fabbricazione della birra e Enzimi e lieviti, editi dalla Hoepli, il primo, nel 1926 e nel 1960, il secondo; nonché Origini e storia della birra, stampato nel 1958 a cura dell’Unione Italiana Fabbricanti Birra e Malto.

 

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Antonio Mennella
Info autore

Antonio Mennella

Sono nato il primo gennaio 1943 a Lauro (AV) e oggi risiedo a Livorno.
Laureato in giurisprudenza, sono stato Direttore Tributario delle Dogane di Fortezza, Livorno, Pisa, Prato.
 
La scrittura è sempre stata una delle mie passioni, che è sfociata in numerose pubblicazioni di vario genere, alcune specificatamente dedicate alla birra. Gli articoli riportati sul Giornale della Birra sono tratti da La birra nel mondo, in quattro volumi, edita da Meligrana.

Pubblicazioni: 
Confessioni di un figlio dell’uomo – romanzo – 1975
San Valentino – poemetto classico – 1975
Gea – romanzo – 1980
Il fratello del ministro – commedia – 1980
Don Fabrizio Gerbino – dramma – 1980
Umane inquietudini – poesie classiche e moderne – 1982
Gigi il Testone – romanzo per ragazzi – 1982
Il figlioccio – commedia – 1982
Memoriale di uno psicopatico sessuale – romanzo per adulti – 1983
La famiglia Limone, commedia – 1983
Gli anemoni di primavera – dramma – 1983
Giocatore d’azzardo – commedia – 1984
Fiordaliso – dramma – 1984
Dizionario di ortografia e pronunzia della lingua italiana – 1989
L’Italia oggi – pronunzia corretta dei Comuni italiani e nomi dei loro abitanti – 2012
Manuale di ortografia e pronunzia della lingua italiana – in due volumi – 2014
I termini tecnico-scientifici derivati da nomi propri – 2014
I nomi comuni derivati da nomi propri – 2015
 
Pubblicazioni dedicate alla BIRRA:
La birra, 2010
Guida alla birra, 2011
Conoscere la birra, 2013
Il mondo della birra, 2016
 
La birra nel mondo, Volume I, A-B – 2016
La birra nel mondo, Volume II, C-K -2018
La birra nel mondo, Volume III, L-Q – 2019
La birra nel mondo, Volume IV, R-T – 2020
 La birra nel mondo, Volume V, U-Z– 2021
Ho collaborato, inoltre, a lungo con le riviste Degusta e Industrie delle Bevande sull’origine e la produzione della birra nel mondo.