Numero 01/2017

4 Gennaio 2017

LAMBIC: i segreti delle botti – Parte 14

LAMBIC: i segreti delle botti – Parte 14

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Trascorsa una notte in soffitta, il mosto ricco di vita deve finalmente raggiungere il legno. Solitamente alcuni produttori di Lambic pompano il liquido dalla vasca di raffreddamento a un tino metallico, con lo scopo di mescolarlo bene e permettere una equa distribuzione dei microrganismi acidificanti. A questo punto il Lambic è pronto per le botti, le stesse che Bruegel dipinse in “Gioco di bambini” nel 1560. Quelle botti e quei cerchi con cui giocano i giovinetti in primo piano nel dipinto, potrebbero appartenere a qualsiasi birraio del Pajottenland moderno. In “Censimento a Betlemme”, del 1566,le botti sono ricoperte dalla neve. I carretti che le trasportano sostano fuori dalla locanda in attesa di essere scaricati.

Correva l’anno 1899 quando si parlò per la prima volta dell’importanza del legno nella crescita e nello sviluppo dei microrganismi acidificanti necessari per la produzione del Lambic. Il legno, grazie alla sua struttura porosa, è colonizzato a fondo da lieviti e batteri. Non molto tempo dopo, nei primi anni del XX secolo, si scoprì la correlazione tra la lentezza della fermentazione e la scarsa presenza di ossigeno. Questa fa sì che nelle botti ci sia una quantità minima di cellule che lo usano solitamente per riprodursi, rendendo le botti stesse il terreno ideale per lo sviluppo del Brettanomyces, che richiede una piccola quantità di ossigeno per riprodursi e sopravvivere.

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I produttori di Lambic non usano assolutamente botti nuove, ma preferiscono quelle usate per il vino, bianco o rosso che sia, come Porto, Sherry, Madeira o Cognac. Principalmente sono costituite di rovere e castagno (come quelle utilizzate sia da Cantillon che da Belle-Vue), ma anche di quercia e cedro. Ne esistono di diverse dimensioni, che vanno da barriques di 250 litri, tonneaux di 500 litri, pipe da 650 e foudre da 30.000. Le botti migliori, prodotte in Francia, sono fatte di legno essiccato all’aria aperta per più di 24 mesi, le cui tavole vengono poi spaccate lungo le venature. Siccomesono già state usate una o più volte per l’affinamento di vino o distillati, hanno ceduto già gran parte delle sostanze estraibili, quindi non interferiscono eccessivamente sul colore e sul gusto del Lambic. Trasferiscono comunque vanillina, tannini e metil-octalattoni dal carattere speziato, i tre principalicomponenti aromatici del legno.Tutti i birrifici acquistano “nuove” botti per ampliarsi e sostituire quelle vecchie.Ci vogliono comunque da due a quattro utilizzi con mosto di birra e microrganismi acidificanti prima che una botte produca Lambic col giusto carattere e dall’ottimo gusto.

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Botti più grandi producono birre selvagge più complesse e potenzialmente di qualità superiore, poiché consentono una fermentazione più lenta. Nelle botti più piccole la presenza elevata di ossigeno velocizza la fermentazione dei Brettanomyces, ma ciò non comporta una migliore qualità, né una maggior quantità di acidi ed esteri prodotti.

Ogni volta che una botte deve accogliere Lambic deve necessariamente essere preparata: rimossi i sedimenti in maniera meccanica con una spazzola, essa viene pulita con catene ad azione abrasiva profonda. Durante tutto il processo la botte è continuamente lavata con acqua calda e trattata con vapore. Viene anche usato del diossido di zolfo per eliminare muffe e batteri superficiali, senza intaccare quelli che vivono nel legno. Tuttavia, nessuna di queste operazioni porta alla sterilizzazione della botte: infatti, i produttori di vino bruciano le botti che sono state infettate dal Brettanomyces, perché questo è impossibile da eliminare e potrebbe contaminare la cantina enologica.

Il Lambic rimane nelle botti da uno a tre anni, nella maggior parte dei casi. Alcuni hanno sperimentato di lasciarlo maturare anche per cinque o più anni. Più a lungo rimane nelle botti più matura, prendendo un più complesso profilo organolettico grazie a lieviti e batteri che interagiscono creando acidi ed esteri.

 

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Federico Borra
Info autore

Federico Borra

Classe 1982, nato a Milano, ma comasco d’adozione, ho iniziato il mio viaggio nel mondo della birra artigianale nella cantina di un ormai famoso birraio: io facevo i compiti della quinta elementare, lui poneva le basi per un brillante futuro.
Per anni però ho vissuto ai margini di un movimento che diventava sempre più grande e delle cui meraviglie finalmente e totalmente mi sono innamorato nell’estate del 2011… da allora si può dire che io e la birra artigianale siamo inseparabili.
Sono un autodidatta (adoro leggere), ho però frequentato alcuni corsi presso i birrifici vicino a casa (mi piace anche ascoltare, soprattutto i birrai!). Grazie ad un tifoso lariano del West Ham (di cui forse un giorno vi racconterò), riesco facilmente a raggiungere birre da tutto il mondo, dalla Danimarca al Giappone, passando per Nuova Zelanda, Francia, Inghilterra, Belgio, Germania, U.S.A., Italia e chi più ne ha più ne metta…e dove non arriva lui, c’è sempre internet!
Fosse per me sarei sempre in giro per il mondo, scoprire nuove culture mi affascina soprattutto attraverso la musica, il cibo e, perché no, la birra. Da sempre sono appassionato di cucina, cerco di scavare a fondo nella tradizione senza mai chiudere la porta alla creatività. Sfoglio volentieri, anche solo per passare il tempo, libri di ricette e ne ho una piccola collezione comprata in tutto il mondo (beh, più o meno tutto). Questa mia passione si è unita a quella della birra sfociando nella ricerca dell’ abbinamento perfetto.
Dal 2012 sono homebrewer. Producendo birra mi piacerebbe imparare a conoscere gli aromi del luppolo e le sfumature del malto, l’utilizzo dei lieviti e l’influenza che ha l’acqua sulla nostra bevanda preferita (la sperimentazione in prima persona è fondamentale!!).
Attraverso questa nuova esperienza con www.giornaledellabirra.it vorrei poter condividere con voi le mie idee e le mia scoperte, confrontarmi e soprattutto ampliare i miei orizzonti! Tra i miei ispiratori, l’autore Jef Van Den Steen ed il suo libro Gueuze & Kriek: The Magic of Lambic