Numero 08/2021

22 Febbraio 2021

La birra, protagonista nella storia – Capitolo 11

La birra, protagonista nella storia – Capitolo 11

Condividi, stampa o traduci: X

 

“Sanford and Son” era una serie televisiva statunitense trasmessa per la prima volta nel corso tra il 1972 ed il 1977. Era una sitcom con protagonisti due rigattieri di colore che vivevano a Los Angeles, Fred G. Sanford e suo figlio trentunenne Lamont.

Fred è un uomo sarcastico, furbo ed irascibile che spesso si fa venire in mente strampalate idee per diventare ricco e che falliscono regolarmente. Suo figlio Lamont vorrebbe avere la propria indipendenza, ma ama troppo suo padre per abbandonarlo a sé stesso. Sebbene possieda una quota pari nell’azienda di famiglia (tecnicamente Fred è il “capo”), Lamont spesso si trova a dover fare tutto il lavoro da solo. Fred insulta spesso il figlio, chiamandolo “demente”, e in tutta risposta Lamont si riferisce a lui con l’epiteto “vecchio pazzo”. Nonostante i loro continui battibecchi, i due hanno un legame molto stretto e si aiutano fra di loro. Una gag ricorrente nella serie, durante i momenti di stress, vede Fred rivolgere gli occhi al cielo (al paradiso) con una mano sul cuore, mentre simula un infarto dicendo: «Sto arrivando, Elizabeth! Vengo a raggiungerti tesoro».

 

Lamont a momenti viene mostrato ingenuo e sciocco, come nella puntata dove egli invita dei suoi “nuovi amici” a giocare a poker a casa sua. L’esperto e navigato padre capisce immediatamente che i tizi sono dei bari, pronti solo a spillare denaro al “pollo” Lamont. Dopo che Lamont ha perso tutti i soldi, Fred si siede al tavolo da gioco fingendo di non saper giocare, e barando a sua volta riesce a recuperare tutto il denaro del figlio. Una costante del personaggio (particolarmente nel corso della seconda stagione del programma) è il desiderio di espandere il business di famiglia, distanziandosi dalla professione di rigattiere, ma i suoi sforzi vengono spesso resi vani dal padre.

Fred e Lamont da un lato, Jacobsen e Carl dall’altro. Americani i primi, danesi i secondi. Rigattieri, il duo dalla pelle scura, imprenditori e filantropi quelli dal pigmento chiaro. Entrambi congiunti (padre e figlio) e tutti e quattro non se le mandano a dire. I padri che a loro modo cercano di aiutare i figli, figli che si sentono soffocati e non riescono a fare emergere la loro personalità, potenzialità e sogni.

Poco meno di un secolo prima che uscisse la serie comica americana, a Roma, dove si trovava in vacanza, il 30 Aprile del 1887 veniva a mancare il fondatore del birrificio Carlsberg.

Tra Jacob Christian Jacobsen (Copenaghen, 2 settembre 1811 – Roma, 30 aprile 1887) e il figlio c’era sempre stato un rapporto conflittuale di amore ed odio, tanto che al capezzale del padre, Carl gli chiese se fosse felice di vederlo.

Nel 1847 venne fondato il birrificio a cui Jacobsen diede il nome del figlio Carl (2 Marzo 1842 – 11 Gennaio. Nacque di fatto la Carl-sberg (una delle più importanti società produttrici di birra al mondo, presente in circa 50 nazioni).

La prima cotta fu prodotta il 10 novembre 1847. L’esportazione della birra Carlsberg iniziò nel 1868. Tra i loghi originali della società vi è l’elefante (da cui il nome di alcune delle sue lager) e la svastica (originariamente simbolo della Ny Carlsberg). L’uso di quest’ultima fu interrotto negli anni Trenta a causa della sua associazione con il nazismo.

 

Compiuti i trentanni Carl si trovò alla guida di una nuova divisione del birrificio ma la sua testardaggine mista al forte orgoglio non gli permisero di eccelere nel ruolo assegnato. I dissensi tra Carl e J.C. andarono avanti a lungo (fino agli anni Settanta). Padre e figlio gareggiavano nei livelli di produzione, nella qualità della birra e, infine, arrivarono addirittura a competere su chi fosse il mecenate più generoso e più prestigioso. Per circa sei anni arrivarono perfino a smettere quasi del tutto di rivolgersi la parola.

Per Jacobsen padre la nuova divisione del birrificio Carls­berg, avrebbe dovuto dedicarsi alla produzione di birre Ale e Porter. Ma Carl aveva un altro punto di vista. Pensando di vederci lungo e certo di interpretare correttamente le prospettive economiche della rapida crescita urbanistica della Danimarca (che aveva fatto esplodere la domanda di birra), decise di privilegiare la produzione delle birre a bassa fermentazione.

La nuova divisione guidata da Carl aumentò rapidamente la sua produzione, arrivando ai livelli della casa madre. Il padre era preoccupato. A suo avviso Carl produceva quantità di birra troppo alte a scapito della qualità, e sul mercato esistevano con la medesima etichetta due birre molto diverse tra loro, di cui una sola soddisfaceva gli standard prefissati. Se per J.C. una lunga conservazione a freddo era indispensabile per la qualità della birra, per Carl invece il tempo di stoccaggio poteva essere accorciato senza problemi, in modo tale che le dimensioni dei magazzini frigoriferi non costituissero più un limite per la produzione. Ben presto padre e figlio entrarono in disaccordo anche per il formato di vendita, in fusti («come si faceva un tempo», auspicava J.C.) oppure in bottiglia (come sosteneva Carl).

 

J.C. Jacobsen era uomo dai sani principi. Per molti anni aveva fatto beneficienza e investito in arte. In politica era iscritto al Partito liberale nazionale. In ambito lavorativo basava il suo operato sulla produzione della birra secondo due principi: solide basi scientifiche ed evitare una crescita incontrollata del birrificio per dargli modo di controllare tutto. Anche Carl avrebbe dovuto fare altrettanto ed accettare quelle linee guida.

Negli anni Settanta il volume di affari della nuova divisione Carls­berg (guidata dal figlio) raggiunse quello del birrificio principale tanto che nel 1879 il padre pretese da Carl che riducese la sua produzione e che non usasse più il nome Carls­berg nella commercializzazione della sua birra. Altro scontro. Jacobsen figlio s’infuriò e quasi come una partita a Risiko, i due comparti del birrificio Carls­berg entrarono in forte competizione, sia in termini di quantità prodotte sia di prezzo. Pronti a dominare uno sull’altro.

Ci fu un momento in cui la pace sembrò regnare. Era il periodo in cui a Carl venne concesso di costruire un proprio birrificio. Ma i motivi di scontro non erano finiti. Carl voleva chiamare il suo birrificio Ny Carls­berg (Nuovo Carls­berg), ma J.C. era ancora fermamente convinto di possedere l’esclusiva sul nome. Venne coinvolto il Ministero competente, che diede ragione a Carl.

Le lotte interne proseguirono fino al limite del ridicolo. La strada ai lati della quale sorgevano i birrifici si chiamava Alliance Vej (via dell’Alleanza), ma a causa dell’ultimo strappo sul marchio Carl volle ribattezzarla “Pasteurs Vej” (via Pasteur).

Nel 1882 J.C. riscrisse il suo testamento, decidendo di lasciare la sua intera fortuna alla Fondazione Carls­berg (sorta nel 1876). Allora Carl per dispetto gli consegno su un carro tutti i regali che aveva ricevuto da lui nel corso degli anni per non ricordare l’uomo che lo aveva diseredato.

 

 

Padre e figlio erano della stessa stoffa molto simili tra loro. Ambiziosi, testardi, con un grande interesse per le questioni sociali ed il fascino per la bellezza.

Nel 1879 Jacobsen figlio diede vita alla fondazione Albertina il cui fine era quello di dare un supporto economico per finanziare la realizzazione di statue nei parchi pubblici. Per il padre questa fu una onta in quanto era come entrare senza diritto nel suo territorio. Carl era amante degli scultori francesi contemporanei, mentre J.C. li detestava. Carl comprava ogni sorta di opera non appena se ne presentava l’occasione. A differenza sua, il padre era molto più attento alle spese esaminando con attenzione i bilanci della società e gli indicatori di liquidità. Parallelamente il birrificio Ny Carls­berg perdeva profitti e quote di mercato.

 

Nell’autunno 1886 i Jacobsen arrivarono infine a un accordo iniziando un processo di fusione delle due società. I birrifici Carls­berg e Ny Carls­berg si unirono definitivamente nel 1906. Per festeggiare i Jacobsen si recarono a Roma. Carl sognava di acquistare nuove opere d’arte mentre J.C. si pregustava perlopiù visite alle gallerie d’arte ed ai giardini della città. Ma gli eventi li costrinsero a ben altre vicissitudini. Sotto la pioggia primaverile romana, J.C. ormai anziano si prese un brutto raffreddore, con conseguenze fatali.

 

Carl ne pianse sinceramente la perdita, nonostante gli annosi conflitti. J.C. era scomparso, ma la sua ombra sul figlio non si dileguò, cambiò semplicemente forma.

 

Subito dopo la morte del padre, Carl conobbe l’archeologo tedesco Wolfgang Helbig (Dresda, 2 febbraio 1839 – Roma, 6 ottobre 1915), che sarebbe diventato il suo acquirente d’arte per un quarto di secolo. Grazie alla sua competenza ed allo spunto ricevuto (dare vita alla più ricca, bella ed istruttiva collezione di sculture) nello stesso autunno a Copenaghen arrivò una collezione di diciotto busti d’imperatori romani. Negli anni per conto di Carl Jacobsen, Helbig arricchì la collezione di ben 955 oggetti antichi.

 

La Ny Carls­berg Glyptotek raggiunse la fama internazionale. Nel 1902 Carl Jacobsen donò alla fondazione Ny Carls­berg la sua collezione, la quale si meritò un nuovo spazio espositivo all’interno di un museo completato nel 1906. Copenaghen aveva conquistato per sempre un posto sulla mappa dell’arte e Carl Jacobsen fu definito «il nuovo Mecenate». Dato l’ampio impegno caritatevole e culturale di Jacobsen padre e figlio, il paragone con la famiglia Medici che fecero di Firenze la capitale dell’arte nel Cinquecento non potrebbe essere più calzante. Del resto, anche la ruvidità e la veemenza dei Medici sembrano essere state caratteristiche di J.C. e Carl Jacobsen.

 

Condividi, stampa o traduci: X

Giovanni Messineo
Info autore

Giovanni Messineo

Giuliano di adozione di origini siciliane (nato a Palermo nel 1972), dal 2009 vivo a Gorizia.
Perito elettrotecnico mancato ho un diploma informatico e prediligo tutto ciò che riguarda la tecnologia a supporto delle attività umane (senza però sostituirle).
Lavoro nel settore della siderurgia da anni occupandomi di Operation e formazione del personale italiano ed estero.
Sono appassionato della nostra bella lingua italiana e credo fermamente in una comunicazione che sia chiara, diretta e concisa per evitare dubbi e/o incomprensioni.
Mi piace affrontare nuove sfide cercando i miei limiti. Mi dedico con passione, sempre da autodidatta alla musica (suono l’armonica a bocca e la batteria), “fai da te” in generale. Incido il legno con il pirografo dedicandomi alla mtb, corsa e sport vari.
La passione per l’homebrewing nacque per caso nel 2012.
Al mio rientro da una lunga permanenza in Cina, mia sorella e mio cognato per il mio compleanno mi regalarono il primo KIT.
Dopo un paio di anni di pratica, esperimenti, assaggi, degustazioni, mi sono appassionato. Nel ho voluto provare tutte le tecniche fino ad arrivare all’ AG in quanto permette di esprimere di più la mia creatività di Mastro Birraio (da cui il nome MMB).
Da allora progetto, sperimento e realizzo una vasta gamma di prodotti per i quali creo in modo autonomo anche le relative etichette che hanno un filo conduttore con la birra e la sua storia.
Non ho mai smesso perchè lo trovo un passatempo che rilassa, mi diverte, mi soddisfa e riempie la casa di ottime fragranze.
Inoltre amici e parenti apprezzano. Le loro critiche mi danno modo di migliorare sempre.
Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma…(in birra)